Ho il privilegio di conoscere Toni Servillo, uomo misurato, gentile, sensibile, rigoroso, riservato, scabro, quasi timido. Capace di grande humour e di slanci di affetto solo quando ti ha almeno un po’ conosciuto. Divino antimondano, quando non è sul set o in tour teatrale per il mondo vive con la sua famiglia a Caserta, in mezzo alla terra dei fuochi, dove sua moglie fa la professoressa. Non si è mai voluto muovere di lì.

Eppure che ieri abbia sbroccato con la giornalista di Rainews 24 (“ma vaffa…”), non mi ha più di tanto stupito, oltre ad avermi deliziato. E’ Toni anche quello, l’ho riconosciuto, incapace di credere che il successo americano di “La Grande Bellezza”, film diretto dall’amico Paolo Sorrentino di cui lui è strepitoso protagonista, non venga inteso come un successo per la cultura del nostro Paese.

Un “vaffa” patriottico e di cuore all’indirizzo di tutti gli inzigatori e rosicanti che non avendo apprezzato il film vivono questo successo quasi come uno scacco personale, e non sembrano rassegnarsi al Golden Globe e alla prospettiva di un Oscar. Così, quando la giornalista è tornata sul tema delle “critiche” al film, il nostro più grande attore -subito dopo metterei Elio Germano- ha ritenuto di riportarla bruscamente alla realtà di un trionfo che lui, intellettuale “civile”, vive come un fatto politico: che per una volta del nostro Paese malandato, incivile, corrotto e internazionalmente sbeffeggiato si possa parlare bene lui lo intende come un grande guadagno per tutti.

Ho amato da subito “La Grande Bellezza” -e non pregiudizialmente, e credo di riconoscerne anche qualche difetto: tra l’altro di Sorrentino e anche di Servillo ci sono cose che non mi sono piaciute- e sono molto felice di questo exploit americano. Lo sento davvero come il simbolo di un possibile giro di boa. Il nostro cinema, del resto, ha svolto un ruolo decisivo nella ricostruzione del Dopoguerra, quando il Paese era ridotto altro che così. La notizia del Golden Globe quindi mi ha messo di ottimo umore.

Certo, se un film non ti ha convinto, che stia piacendo agli americani non è ragione sufficiente per cambiare idea. Ma raramente, devo dire, ho visto tanto accanimento critico. Una vera e propria militanza contro “La Grande Bellezza”, con toni esacerbati e da crociata: in questi giorni i social network sono un campo di battaglia. Si va dall’arzigogolo meditabondo al franco insulto: “la Grande Bruttezza”, “uno spottone pubblicitario”, “una conferma dei nostri peggiori stereotipi”, “Servillo ha sempre la stessa faccia inespressiva”, “chi dice che il film è bello è un porco sciovinista”. Perfino la meravigliosa performance del direttore della fotografia Luca Bigazzi è messa in questione. Una rabbia ingiustificata, con sfumature “antikasta”, che testimonia soltanto di un sordo e preoccupante tutti-contro-tutti: malumore, chiamiamolo così, che ha le sue ragioni, ma che non ci porterà da nessuna parte.

Il Grande Vaffa di Toni liquida tutti i conti in una volta sola.

Io direi questo: anche mantenendo tutte le proprie legittime riserve, ci mancherebbe altro, è possibile ammettere che questo successo italiano non ci farà poi così male. Ed eventualmente sopportare l’Oscar.

 

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