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cinema

cinema, Corpo-anima, esperienze Settembre 2, 2014

Venezia: Elio Germano, l’attore favoloso

Senza Elio Germano questo film non si sarebbe potuto fare”: così Mario Martone, regista di “Il giovane favoloso”, pellicola su Giacomo Leopardi applaudita ieri alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il favoloso Germano sa restituirci lo spirito universale e ribelle, la carne, l’odore, la sensualità di quel ragazzo marchigiano deforme e pieno di talenti, spazzandone via fino dalle prime scene l’immagine scolastica e addomesticata. Un bambino felice che via via si piega per non doversi spezzare, costretto da un padre amorosamente tirannico a un’esistenza claustrale che somiglia troppo poco alla vita. Squattrinato, quasi-drop out, un uomo in rivolta fino alla fine, perfino contro il suo stesso slancio rivoluzionario e utopico costantemente messo al vaglio alla luce fredda di uno scetticismo titanico, applicato a ogni esperienza.

Del film, dei suoi interpreti, della sua formidabile sceneggiatura, realizzata quasi interamente con citazioni letterali del poeta, trovate qui un ampio resoconto. Intendevo solo rendere il senso di quello che per me è stato un incontro: con Giacomo in carne e ossa, come non l’avevo mai conosciuto, e con Elio Germano che supera se stesso, nella sua passione e nel suo rigore.

cinema, italia, Politica Gennaio 14, 2014

Il Grande Vaffa di Toni Servillo

Ho il privilegio di conoscere Toni Servillo, uomo misurato, gentile, sensibile, rigoroso, riservato, scabro, quasi timido. Capace di grande humour e di slanci di affetto solo quando ti ha almeno un po’ conosciuto. Divino antimondano, quando non è sul set o in tour teatrale per il mondo vive con la sua famiglia a Caserta, in mezzo alla terra dei fuochi, dove sua moglie fa la professoressa. Non si è mai voluto muovere di lì.

Eppure che ieri abbia sbroccato con la giornalista di Rainews 24 (“ma vaffa…”), non mi ha più di tanto stupito, oltre ad avermi deliziato. E’ Toni anche quello, l’ho riconosciuto, incapace di credere che il successo americano di “La Grande Bellezza”, film diretto dall’amico Paolo Sorrentino di cui lui è strepitoso protagonista, non venga inteso come un successo per la cultura del nostro Paese.

Un “vaffa” patriottico e di cuore all’indirizzo di tutti gli inzigatori e rosicanti che non avendo apprezzato il film vivono questo successo quasi come uno scacco personale, e non sembrano rassegnarsi al Golden Globe e alla prospettiva di un Oscar. Così, quando la giornalista è tornata sul tema delle “critiche” al film, il nostro più grande attore -subito dopo metterei Elio Germano- ha ritenuto di riportarla bruscamente alla realtà di un trionfo che lui, intellettuale “civile”, vive come un fatto politico: che per una volta del nostro Paese malandato, incivile, corrotto e internazionalmente sbeffeggiato si possa parlare bene lui lo intende come un grande guadagno per tutti.

Ho amato da subito “La Grande Bellezza” -e non pregiudizialmente, e credo di riconoscerne anche qualche difetto: tra l’altro di Sorrentino e anche di Servillo ci sono cose che non mi sono piaciute- e sono molto felice di questo exploit americano. Lo sento davvero come il simbolo di un possibile giro di boa. Il nostro cinema, del resto, ha svolto un ruolo decisivo nella ricostruzione del Dopoguerra, quando il Paese era ridotto altro che così. La notizia del Golden Globe quindi mi ha messo di ottimo umore.

Certo, se un film non ti ha convinto, che stia piacendo agli americani non è ragione sufficiente per cambiare idea. Ma raramente, devo dire, ho visto tanto accanimento critico. Una vera e propria militanza contro “La Grande Bellezza”, con toni esacerbati e da crociata: in questi giorni i social network sono un campo di battaglia. Si va dall’arzigogolo meditabondo al franco insulto: “la Grande Bruttezza”, “uno spottone pubblicitario”, “una conferma dei nostri peggiori stereotipi”, “Servillo ha sempre la stessa faccia inespressiva”, “chi dice che il film è bello è un porco sciovinista”. Perfino la meravigliosa performance del direttore della fotografia Luca Bigazzi è messa in questione. Una rabbia ingiustificata, con sfumature “antikasta”, che testimonia soltanto di un sordo e preoccupante tutti-contro-tutti: malumore, chiamiamolo così, che ha le sue ragioni, ma che non ci porterà da nessuna parte.

Il Grande Vaffa di Toni liquida tutti i conti in una volta sola.

Io direi questo: anche mantenendo tutte le proprie legittime riserve, ci mancherebbe altro, è possibile ammettere che questo successo italiano non ci farà poi così male. Ed eventualmente sopportare l’Oscar.

 

AMARE GLI ALTRI, cinema Settembre 27, 2012

“Reality”: una festa per il cinema italiano

“Cesare deve morire”, film dei fratelli Taviani che rappresenterà l’Italia agli Oscar, già vincitore dell’Orso d’oro a Berlino, vi confesso, non l’ho visto. Ma non nascondo che mi sarebbe piaciuto che l’Italia segnalasse “Reality” di Matteo Garrone (che invece ho visto in anteprima), e per almeno tre ragioni:

1. “Reality” è un film straordinario. Straordinariamente diretto, interpretato, fotografato (da Marco Onorato). E straordinariamente italiano, raccogliendo e innovando il meglio della nostra tradizione, da Pirandello a Eduardo, oltre al cinema di De Sica, Zavattini, Fellini, Visconti di “Bellissima”, e alla critica pasoliniana sulla perdita dell’innocenza del nostro popolo. Un film che piacerebbe molto anche agli americani, innamorati del nostro cinema.

2. E’ una fiaba amara e struggente che rappresenta la desolazione di un presente miserabile e quasi post-bellico, che mostra le macerie di un Paese da ricostruire, anzitutto moralmente e spiritualmente -con tratto neorealista– ma incoraggia la fiducia nella forza del desiderio.

3. Matteo Garrone, ancora giovane, è tra i nuovi grandissimi del nostro cinema, e ha molto da dare.

La storia la dovreste conoscere, non ve la racconto più di tanto -io stessa detesto leggere prima quello che vedrò-: in breve, un pescivendolo napoletano, che vive tutto sommato serenamente del suo commercio e arrotonda con qualche piccola truffa, viene travolto dalla prospettiva di partecipare al Grande Fratello, perdendo la sua serenità e quasi il senno di fronte alla prospettiva di una vita più vera del vero, larger than life. Ma è soprattutto l’innocenza ad andare perduta, come per la cacciata dal Giardino.

Matteo Garrone non giudica, rinuncia a ogni sarcasmo e a ogni ideologismo, racconta quello che accade con sguardo compassionevole, conferendo grandezza ai suoi personaggi. Lo strepitoso protagonista Aniello Arena -detenuto nel carcere di Volterra in permesso-set: una faccia, qualcuno ha notato, che realizza un’impossibile sintesi tra Totò e Bob De Niro, “quando Matteo mi ha scelto” ha detto, “la mia anima ha ballato la tarantella”-  dà un tratto umanissimo e gentile al suo Luciano. Formidabili tutti, e in particolare Loredana Simioli (Mary, moglie di Luciano) e Nando Paone (il buon amico Michele). Il senso di amore prevale.

In un’intervista Matteo Garrone ha detto che girare “Reality”, che ha vinto il Gran Premio della Giuria a Cannes, è stato molto più difficile che girare “Gomorra”. Perché ogni scena, ogni sequenza, chiedeva la ricerca di un equilibrio sottile tra il grigiore della realtà e i colori squillanti della fiaba, sfuggendo al rischio del grottesco e del picaresco.

Oscar o non Oscar -ma com’è che vengono selezionati i film?-, una grandissima festa per il cinema italiano.

Nelle sale da domani sera.