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cinema, italia, Politica Gennaio 14, 2014

Il Grande Vaffa di Toni Servillo

Ho il privilegio di conoscere Toni Servillo, uomo misurato, gentile, sensibile, rigoroso, riservato, scabro, quasi timido. Capace di grande humour e di slanci di affetto solo quando ti ha almeno un po’ conosciuto. Divino antimondano, quando non è sul set o in tour teatrale per il mondo vive con la sua famiglia a Caserta, in mezzo alla terra dei fuochi, dove sua moglie fa la professoressa. Non si è mai voluto muovere di lì.

Eppure che ieri abbia sbroccato con la giornalista di Rainews 24 (“ma vaffa…”), non mi ha più di tanto stupito, oltre ad avermi deliziato. E’ Toni anche quello, l’ho riconosciuto, incapace di credere che il successo americano di “La Grande Bellezza”, film diretto dall’amico Paolo Sorrentino di cui lui è strepitoso protagonista, non venga inteso come un successo per la cultura del nostro Paese.

Un “vaffa” patriottico e di cuore all’indirizzo di tutti gli inzigatori e rosicanti che non avendo apprezzato il film vivono questo successo quasi come uno scacco personale, e non sembrano rassegnarsi al Golden Globe e alla prospettiva di un Oscar. Così, quando la giornalista è tornata sul tema delle “critiche” al film, il nostro più grande attore -subito dopo metterei Elio Germano- ha ritenuto di riportarla bruscamente alla realtà di un trionfo che lui, intellettuale “civile”, vive come un fatto politico: che per una volta del nostro Paese malandato, incivile, corrotto e internazionalmente sbeffeggiato si possa parlare bene lui lo intende come un grande guadagno per tutti.

Ho amato da subito “La Grande Bellezza” -e non pregiudizialmente, e credo di riconoscerne anche qualche difetto: tra l’altro di Sorrentino e anche di Servillo ci sono cose che non mi sono piaciute- e sono molto felice di questo exploit americano. Lo sento davvero come il simbolo di un possibile giro di boa. Il nostro cinema, del resto, ha svolto un ruolo decisivo nella ricostruzione del Dopoguerra, quando il Paese era ridotto altro che così. La notizia del Golden Globe quindi mi ha messo di ottimo umore.

Certo, se un film non ti ha convinto, che stia piacendo agli americani non è ragione sufficiente per cambiare idea. Ma raramente, devo dire, ho visto tanto accanimento critico. Una vera e propria militanza contro “La Grande Bellezza”, con toni esacerbati e da crociata: in questi giorni i social network sono un campo di battaglia. Si va dall’arzigogolo meditabondo al franco insulto: “la Grande Bruttezza”, “uno spottone pubblicitario”, “una conferma dei nostri peggiori stereotipi”, “Servillo ha sempre la stessa faccia inespressiva”, “chi dice che il film è bello è un porco sciovinista”. Perfino la meravigliosa performance del direttore della fotografia Luca Bigazzi è messa in questione. Una rabbia ingiustificata, con sfumature “antikasta”, che testimonia soltanto di un sordo e preoccupante tutti-contro-tutti: malumore, chiamiamolo così, che ha le sue ragioni, ma che non ci porterà da nessuna parte.

Il Grande Vaffa di Toni liquida tutti i conti in una volta sola.

Io direi questo: anche mantenendo tutte le proprie legittime riserve, ci mancherebbe altro, è possibile ammettere che questo successo italiano non ci farà poi così male. Ed eventualmente sopportare l’Oscar.

 

Corpo-anima, esperienze Maggio 13, 2012

Napoli cambia. Ma non si fa cambiare

Torno a Napoli, dopo qualche mese. E niente spazzatura. L’ultima volta erano mucchi fumiganti, da via Chiaia ai sobborghi, fetido inferno senza soluzione di continuità. Che cos’abbia fatto il sindaco De Magistris non lo so, ma a meno che non siano giorni fortunati, la terapia -prudenzialmente lo dico a bassa voce- sembra funzionare.

Ma la meraviglia è il lungomare Caracciolo chiuso al traffico, da Santa Lucia fin quasi a Palazzo Donn’Anna. Dal purgatorio delle auto strombazzanti di colpo si arriva dritti in paradiso. Gente che passeggia, corre, pattina, va in bicicletta. Skate, carrozzelle, risciò. Gente che nuota nell’acqua pulita (qualità: Excellent), che sbocconcella una sfogliata, che s’abbronza sulla scogliera. Ragazze che caracollano sui tacchi, ridono, amoreggiano, Posillipo a destra e il Vesuvio a sinistra.

Un bel salto culturale, se penso a quell’amico che qualche anno fa, avendo scelto temeriariamente ed ecologicamente di muoversi in bicicletta, da un automobilista spazientito si sentì appellare “Ué, ricchiò!”.

Hanno chiuso al traffico per America’s Cup, e ora si dibatte sul futuro. I temi sono gli stessi di tutte le città che sperimentano le Ztl: i commercianti che si lamentano di non commerciare, gli automobilisti furiosi perché non possono automobileggiare, ma è tale la meraviglia di quella scogliera bianca fiancheggiata dai giardini, la quiete ottocentesca di quel lunghissimo viale inondato di sole e di brezza marina -pare Barcellona, anzi, molto di più- che mi auguro che si tenga duro.

Lì si vede bene come Napoli può cambiare, ma senza farsi cambiare, resistendo con la sua vitalità vulcanica a qualunque omologazione. I bambini non smettono di parlare la lingua. I santi sono sempre lì, dappertutto, una cappella votiva ogni cinquanta metri (a “faccia gialla” San Gennaro ora si affianca Padre Pio, che insidia il suo spazio), e nascono sempre nuovi santi, come il ragazzo morto malamente a cui gli amici dedicano un’edicola piena di fiori. Lo spirito sgorga e fumiga dappertutto, come le solfatare a Pozzuoli, cupole barocche incistate tra frettolose edificazioni anni Sessanta, e il canto perenne che si alza in cielo dai Quartieri. E’ l’ultima tappa. Di lì puoi salire, o scendere all’inferno.

Dopo il magnifico “Passione” di John Turturro, esce nelle sale proprio in queste ore “Napoli 24“. Ventiquattro brevi diretti da altrettanti registi, fra cui Paolo Sorrentino, che propone “la Principessa di Napoli” e dice: “Credo che Napoli si presti molto bene a rendere pregi e difetti degli italiani”.  Produzione di Angelo Curti (Teatri Uniti), Nicola Giuliano (Indigo) e Giorgio Maglulo (Skydancers) e Ananas in collaborazione con Rai Cinema, l’idea nasce “da una committenza politica” spiega Nicola Giuliano. “Ci hanno chiesto, tre anni fa, di realizzare un documentario che cercasse di risollevare la città, ma non ci siamo prestati. Non volevamo alterare una realtà sotto gli occhi del mondo, ma far vedere che, pur in ginocchio, ha talento da vendere”.

P.S. Una promessa fatta alle amiche napoletane, che mantengo. Mi appello al sindaco De Magistris perché onori l’impegno preso di una “Casa delle Donne a Napoli”. Il comune aveva annunciato l’assegnazione temporanea di alcuni locali dell’ex-asilo Filangieri. Ma la “Casa” è stata di fatto sfrattata “da un gruppo di uomini che rivendicano l’occupazione dell’intero stabile e contestano la legittimità della presenza delle donne”. Non avendo intenzione di ingaggiare una lotta contro altre associazioni, la Casa delle Donne chiede uno spazio effettivamente disponibile. Di questi tempi ce n’è molto bisogno.

 

 

esperienze, Senza categoria Ottobre 11, 2011

Che faccia, quella faccia

Che faccia, quella faccia. Di questo uomo quasi-vecchio con i capelli cotonati e il rossetto (“... per farlo durare sotto ci devi mettere la cipria“). Quella faccia unica, inconfondibile, sbiancata dalla biacca -genere Robert Smith dei Cure-, incisa dalla vita, ci si stamperà nel cervello, entrerà a fare parte del nostro bagaglio, del nostro immaginario, della nostra memoria condivisa. Un segno, un’icona, una possibilità umana. Il ritratto di una generazione condannata al post-sballo e al forever young. Una faccia ibrida tra quella di un bambino e di una vecchia signora con la tinta e gli occhiali da presbite sulla punta del naso. La voce stridula, strascicata e mite dello sconfitto radicale: e non lo siamo un po’ tutti, da un certo punto della vita in poi?

Cheyenne è una vecchia rockstar genere goth che vive in un maniero irlandese, nell’agio più assoluto e ormai lontano da tutto. Dalla musica, dal successo, dalla folla, dagli abusi alcolici e anche da se stesso, tenuto in piedi da una moglie che gli sta accanto da 35 anni come un affettuoso esoscheletro (la fantastica Frances McDormand di Fargo, con tutte le sue rughe di cinquantenne).

La prima parte di This Must Be the Place, ultimo film di Paolo Sorrentino, si svolge in una Dublino strepitosamente fotografata da Luca Bigazzi, il nostro più importante direttore della fotografia: mattoni rossi, cieli grigi, centri commerciali, solitudine, una malinconia rarefatta e disincarnata, Cheyenne che fa la spesa trascinando se stesso e un carrello malconcio, partite di pelota e corsi di tai chi nella piscina vuota come sono vuote le giornate.

Nella seconda parte siamo nel più classico on the road, partenza da New York traversando praterie fino al New Mexico, a caccia dell’aguzzino nazista che aveva perseguitato suo padre, ebreo detenuto in un campo di concentramento. Viaggio alla ricerca delle proprie radici passando attraverso la vita del padre, perduto da trent’anni e ritrovato solo sul letto di morte. Sembra troppo tardi per tutto, e invece c’è ancora tempo per qualcosa, forse per molto.

Musiche di David Byrne, già Talking Heads (chioma candida, interpreta se stesso), Sean Penn da Oscar, all’apice della sua grandezza, This Must Be the Place è un film difficile, perturbante e già indimenticabile. Con momenti di umorismo folgorante. A Cannes non ha avuto l’accoglienza sperata. Ma per Hollywood ha molte chances. Potete vederlo al cinema -peccato che con il doppiaggio un po’ del fascino vada perduto- dal 14 ottobre.

Ve lo raccomando con tutto il cuore e l’amicizia. 

P.s. Mi viene in mente, ripensandoci, che in fondo ci sono parecchie analogie tra questa storia e una delle più belle storie mai scritte, quella di Pinocchio. Lui e il padre -della madre non c’è traccia-, una Fata Turchina -la moglie- e soprattutto quel finale… Vedetelo, poi ne parliamo.

 

Donne e Uomini Aprile 23, 2010

LIBERE ASSOCIAZIONI

corpo3

Intanto vi dico che Il corpo delle donne di Lorella Zanardo è diventato un libro, edito da Feltrinelli.

Poi vi dico che oggi, nel reportage di Aldo Cazzullo sulla grande rissa nel Pdl leggo con profonda tristezza questo: “Le donne, dalla Carfagna in nero alla Mussolini informale con la coda, dalla Lorenzin in mocassini alla Carlucci che con i tacchi arriva quasi a due metri…”. Ecco, le donne restano mocassini, o code di cavallo, o tacchi.

E infine, da Hanno tutti ragione di Paolo Sorrentino (sempre Feltrinelli), libro pieno di possibili citazioni: “Le biografie si fanno sempre deludenti e complicate quando ci si mette in testa di inseguire le fiabe attraverso una regolare, metodica apertura di cosce. E tutte, indistintamente, a pensare ossessivamente che la loro bellezza era stata conquistata col sudore della fronte, un’ingenuità che non mette nessuna tenerezza, mentre invece si trattava di una ordinaria, fortunosa combinazione di cromosomi… E’ difficile odiare i malvagi, questa attività viene più facile con gli illusi. E i frequentatori di scorciatoie“.