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Corpo-anima

bellezza, Corpo-anima, Donne e Uomini Ottobre 23, 2014

Bridget Jones e il diritto di invecchiare

La nuova “vecchia” Renée Zellweger

Renée Zellweger fatta a pezzi sui media di tutto il mondo.

Non ha più quel suo faccino tondo da Bridget Jones. C’è un po’ di ptosi palpebrale, le sopracciglia sembrano scese, lo sguardo è meno luminoso, rughe verticali solcano le guance, la pelle è meno trasparente, e forse sì, giusto un po’ di botox è stato iniettato tra gli occhi, conferendo la consueta espressione imbambolata e instupidita di chi paralizza la naturale e commovente motilità della fronte.

Renée Zellweger è semplicemente invecchiata. E’ sui 45, e a quanto pare non ha più la faccia d’ordinanza di quando ne aveva 20 come invece capita a grande parte delle sue colleghe. E’ un po’ che non si vedeva in giro ed effettivamente è cambiata.

In realtà la sua faccia non è il risultato della chirugia estetica. Al contrario. Quello che vediamo è il risultato di un difetto di chirurgia estetica. Renée non si è “curata”, scucita, ricucita, riempita e siliconata come avrebbe dovuto. Non troppi lifting, semmai troppo pochi. E’ questo a fare scandalo.

Diversamente lo sguardo sarebbe ben aperto, le sopracciglia rialzate, le rughe inesistenti, la pelle tesa, niente zampe di gallina e cedimenti della linea mandibolare. Fintamente “la stessa di sempre”. La ragazza sta invecchiando, ma non sta invecchiando comme il faut nell’immaginario hollywoodiano. Sta rompendo gli schemi, non segue alla lettera i codici, forse se ne sbatte, ha paura di farsi tagliuzzare, giusto due iniezioncine nelle rughette glabellari. La sua faccia non è la faccia della nuova vecchia -forever young, zigomi prorompenti, occhi spalancati, bocca tumida, pelle senza ombre- inchiodata ai canoni della competitività sessuale. La sua faccia è la prova provata che tutte le altre, anche quelle perfettamente stirate e zigomate, non sono altro che vecchie mascherate, e minaccia il colossale business dell’inganno estetico.

Per questo la ragazza è ridicolizzata e messa alla berlina dal sistema mediatico globale, Renée prima- Renée dopo, “che cosa ti è successo Bridget?” e dileggiamenti di ogni tipo.

Ci dev’essere qualcosa di veramente spaventoso in una donna che invecchia, e che non giustifica più il suo stare al mondo con la quantità di desiderio sessuale che è in grado di suscitare, che fuoriesce dallo spazio angusto dello sguardo maschile, perfettamente libera e autonoma.

Questa forza femminile deve costituire davvero una grande minaccia.

 

Corpo-anima, economics, Femminismo, lavoro, Politica, questione maschile Ottobre 16, 2014

Silicon Valley: anche le madri hightech. Congela gli ovuli, paga l’azienda

La notizia è che alcune imprese di Silicon Valley (Facebook, Apple) hanno deciso di rimborsare la crioconservazione degli ovociti alle proprie dipendenti.

Il social egg freezing è una pratica di grande utilità per quelle donne che, dovendo sottoporsi a chemioterapia o altre terapie invasive, congelano i propri ovuli per non privarsi della possibilità avere figli in futuro. La pratica si va tuttavia diffondendo anche tra donne in età fertile che non possono fare figli per ragioni diverse da una malattia: perché non hanno un partner, perché non hanno una casa, perché non ottengono un mutuo, perché non ci sono servizi, perché nessuno potrebbe aiutarle nel lavoro di cura, perché non hanno un lavoro o perché il lavoro è precario, o perché non possono interrompere la carriera. La speranza è di poter conquistare nel tempo condizioni economiche, sociali e relazionali migliori, e di poter intraprendere una gravidanza alla scadenza dell’età fertile con il patrimonio di ovuli di un tempo (sempre che ci si riesca: in campo di fecondazione assistita il numero degli insuccessi continua a prevalere su quello dei successi, ma non si dice mai).

In sostanza queste giovani donne sono impedite nel loro desiderio di avere figli come se fossero malate. Il fatto è che le malate non sono loro. Malato è il mondo che esercita questa violenza su di loro -una specie di sterilizzazione forzata-, costringendole a non concepire all’età giusta o ad abortire nel caso in cui il corpo, ribellandosi alla pianificazione obbligatoria, dia corso al loro desiderio inconscio.

Abbiamo trovato rivoltante l’obbligo al figlio unico in Cina, ma non siamo capaci di leggere la brutalità di questo diktat occidentale. La teologa femminista Mary Daly ha affermato che “la libertà riproduttiva delle donne è repressa ovunque”. Pensiamo all’autodeterminazione come alla libertà di non avere figli se non si vogliono, e mai come alla libertà di avere figli come e quando si vogliono (libertà che comprende la prima).

Ho parlato recentemente di queste faccende ai ragazzi del liceo Manzoni di Milano: sono stati loro a voler discutere delle Sixteen and Pregnant, delle giovanissime “disubbidienti” che fanno un figlio da ragazzine e in condizioni socioeconomiche pessime, leggendo in quei comportamenti un segno di ribellione al mainstream che interpreta la maternità come un lusso per cui combattere (comportamenti da non riprodurre! ho raccomandato loro).

Che Apple e Facebook abbiano deciso per questo benefit alle dipendenti, che nella Valle del Futuro, dove si concentrano le imprese dell’economia digitale, si concepisca il rimborso del social egg freezing, indicando il differimento della maternità sine die come idea all’avanguardia, costituisce un salto simbolico di un certo rilievo. Insomma: congelare gli ovuli è una cosa moderna, buona e giusta, hightech come uno smartphone. Perché compromettere la tua luminosa carriera -e rompere i c…ni alla tua direzione del personale- quando hai a disposizione tutti i mezzi per rinviare la maternità più a lungo possibile, eventualmente per sempre? Molto più smart essere “madri maschili” (sempre Mary Daly), espropriate della propria potenza riproduttiva che viene docilmente consegnata al business dei centri antisterilità. Una sorta di “dimissioni in bianco” ma più moderne, tecnologiche e women friendly. Insomma: non ti caccio se fai un figlio, ma ti pago per non farne.

Quello che sconcerta, e che mi induce a ipotizzare una sorta di “analfabetismo femminista”, è l’entusiasmo con cui tante hanno accolto la notizia del nuovo benefit in Silicon Valley. Traggo dai social network:

“Questo “benefit” proposto da FB e Apple alle sue impiegate lo ritengo un’ottima iniziativa. Infatti, se per le donne è già difficile fare carriera quando si è (non vorrei dire “sterile) senza figli, con i figli è praticamente impossibile, a meno che non si lavori in proprio. D’altronde, negli anni 70, un saggio di Elizabeth Badinter intitolato “L’amour en plus” proponeva che la maternità venisse delegata a delle donne preposte alla funzione procreativa. Laicamente parlando, se non ammettiamo che la maternità é ancora e sempre sarà un ostacolo sia al lavoro sia alla carriera non andremo mai da nessuna parte”.

“Ritengo che siano scelte, quelle del rinvio o di accesso alla PMA o al criocongelamento di gameti che siano e debbano essere sempre personali e da non giudicare. Da rispettare semmai”.

Un figlio tra i venti e i trent’anni oramai è un’utopia anche nei paesi più evoluti anzi forse proprio nei paesi più evoluti. Le ragazze finiscono di studiare a 25 quando va tutto bene e non fanno master”.

“Mi sembra una cosa assolutamente positiva. Altrimenti questi vantaggi della tecnologia rimarranno a vantaggio dei facoltosi, lasciando a noi poveri comuni mortali le briciole…”.

è un bene che le cure contro la sterilità vengano a far parte di un’associazione sanitaria aziendale e come la scelta di mettere al mondo un figlio venga incoraggiata con un sostegno concreto. Mica come in Italia”.

Si dovrebbe lottare contro quegli impedimenti -economici, sociali, relazionali, culturali- che ostacolano il desiderio di avere figli quando il corpo li sa e li vuole fare, prevenire l’infertilità da continuo rinvio e da altro, e non lottare contro il corpo femminile “indisciplinato” per piegarlo alle esigenze del profitto. Questo sarebbe il lavoro politico da fare.

Che tante donne che si dichiarano “femministe” collaborino all’agguato alla libera potenza materna, intendendo questo come un progresso e un’occasione di libertà, è un fatto che andrebbe posto con urgenza al centro della discussione.   

p.s. si potrebbe anche pensare a un superbonus aziendale per legatura tube o asportazione utero. Così archiviamo definitivamente la pratica e non ne parliamo più.

 

 

AMARE GLI ALTRI, bambini, Corpo-anima, esperienze Ottobre 9, 2014

Perché ho dato il mio seme: parla un donatore

Anna ci ha raccontato la sua esperienza di ovodonatrice. Parliamo ora con Paolo, donatore di seme.

38 anni, Paolo è avvocato e vive a Catania. Sposato con una quarantenne, è in attesa della prima figlia che nascerà a novembre.

“Concepita con fecondazione assistita omologa” racconta. “Sei cicli, tre anni di tentativi, e infine mia moglie è rimasta incinta. Al centro restava una parte del mio seme congelato. Anziché distruggerlo ho pensato di donarlo“.

Anche se distruggere del seme non è come distruggere ovociti: produrne di nuovo è semplicissimo, e non richiede alcun intervento medico…

“Capisco che possa sembrare strano. Ma chi non vive queste situazioni non può comprendere fino in fondo. C’è troppa disinformazione, c’è paura, c’è l’idea che sia qualcosa di oscuro e di magico. Il 95 per cento della gente con cui parli non sa nulla di queste faccende. Il centro ci ha comunicato la possibilità di donare il seme residuo. E io mi sono detto: perché buttarlo?“.

Quindi ha deciso di donare.

“Prima della sentenza della Consulta che ha autorizzato l’eterologa in Italia mia moglie e io avevamo pensato anche a tentare un’eterologa all’estero, con donazione di ovociti. Nel nostro caso il problema era una scarsa qualità ovocitaria…”.

Forse perché la signora non era più giovanissima.

“L’età ha la sua importanza, certo. Ma questa condizione si può verificare anche in donne più giovani. In ogni modo, come dicevo: poco prima che lei rimanesse incinta anche noi stavamo considerando di ricorrere a eterologa, o in alternativa di adottare. Quindi avremmo potuto avere necessità di una donazione: quel bisogno l’ho conosciuto da vicino. Ecco perché ho deciso di donare“.

Ne ha parlato con sua moglie?

“Sì. E non è stato difficile decidere. Per me è come una qualunque altra donazione in vita: come donare sangue, o midollo... Certo, ha agevolato il fatto che quel seme era già lì, disponibile. Se avessi dovuto produrre del seme a questo scopo, non so… Forse avrei donato, forse no. Non saprei dire”.

La impressiona l’idea di bambini nati dal suo seme?

“No, affatto. Sarebbe come sapere che qualcuno vive grazie a un tuo rene“.

Ha chiesto di sapere se il suo seme verrà utilizzato e se si avvieranno delle gravidanze?

“No. Non voglio sapere nulla. Ho donato, e fine. Sono assolutamente sereno”.

E se un giorno volessero sapere loro? I bambini nati dal suo seme, intendo.

Se l’anonimato non fosse garantito non avrei mai donato. Non voglio essere rintracciabile. La cosa potrebbe turbare la mia serenità familiare“.

Anche la serenità di quei bambini potrebbe essere turbata dal fatto di non poter conoscere le proprie origini biologiche.

Non è un obbligo dirgli come sono venuti al mondo“.

Però la gran parte delle linee guida consiglia la strada della verità.

“I figli sono di chi li cresce. Se qualcuno di questi bambini volesse sapere chi è il padre biologico, purtroppo non potrà saperlo. Tutto qui”.

Lei sarà a conoscenza dei ricorsi presentati da molti figli di eterologa che hanno rivendicato il diritto di sapere.

“Questo non ha ostacolato la mia decisione. Ribadisco: impossibile capire se non ci si è passati”.

Dal fatto di non riuscire ad avere figli, intende?

“Sì. Per noi era un grosso problema. Una pesante privazione. Certo, se non ci fossimo riusciti alla fine ce ne saremmo fatta una ragione…”.

Una domanda delicata: posso?

“Prego”.

Non c’è anche un piccolo sogno di onnipotenza, dietro la scelta di donare il proprio seme? La volontà inconscia di massimizzare le occasioni per i propri geni?

“Ma no, mi creda. Si tratta di semplicissimo altruismo. Nessuna esaltazione. Insisto: chi non sa sulla propria pelle non può capire”.

 

(grazie a Aidagg, Associazione dei donatori di gameti, per il contatto con Paolo)

 

 

AMARE GLI ALTRI, bambini, Corpo-anima, diritti Ottobre 7, 2014

Perché ho dato i miei ovociti: parla una donatrice

Anna ha 32 anni, vive in Sicilia, è laureata in Scienze Politiche e lavora in una società finanziaria. Soffre di policistosi ovarica, e ha messo al mondo due gemellini con fecondazione assistita. Dalla stimolazione ovarica a cui si è sottoposta sono “avanzati” 11 ovociti congelati. Dopo averne parlato con suo marito, Anna ha deciso di donare i suoi ovociti: 6  a coppie con problemi di infertilità, 5 alla ricerca.

La interrogo sulla sua esperienza. Il tono di Anna è piuttosto infervorato:

 

“E’ stata una scelta di civiltà. L’ho fatto per il mio Paese, non sopporto che si debba andare all’estero per una donazione di ovociti o di seme. Un giorno potrebbe capitare anche ai miei figli. Bisogna passarci per capire che cos’è”.

Come è arrivata alla decisione?

“Avevo questi ovociti congelati, ne ho discusso con mio marito. Abbiamo deciso di donarli e mi sono rivolta a un centro per la fecondazione assistita”.

Gli ovociti sono già stati utilizzati?

“Ancora no”.

Come la sta vivendo?

“In modo del tutto sereno. Solo chi conosce il problema può comprendere. Gli altri magari lo capiscono di testa, ma è un’altra cosa, mi creda”.

Il resto della famiglia è a conoscenza del suo dono?

“I miei sì, e sono d’accordo. Poi magari ci sono zie e cugini che restano perplessi”.

Non è semplice come donare il sangue…

“Ovvio che ci sia qualche difficoltà, ma è solo questione di mentalità. Se posso aiutare una coppia perché non dovrei farlo? Avendo una policistosi ovarica la stimolazione mi ha fatto produrre molti ovociti. Non ho dimenticato nulla del mio percorso. Lì sì che è stata dura, non la donazione”.

Ha sofferto molto?

“15 giorni ricoverata con flebo di albumina. Non potevo camminare. Avevo liquido nell’addome che arrivava fino ai polmoni. Un calvario. Non capita sempre così con le stimolazioni ovariche. A me è successo per la mia patologia. Non voglio che altre soffrano come ho sofferto io”.

Secondo lei è possibile che qualcuna decida di sottoporsi a stimolazione ovarica all’unico scopo di donare i suoi ovociti?

“Molto difficile, credo. Ci saranno anche donne che lo fanno, ma ci vuole una grande motivazione, una grande consapevolezza. Più facile che le donazioni avvengano quando ci sono ovociti in più, come nel mio caso”.

Che effetto le fa l’idea di avere al mondo figli genetici che non incontrerà mai?

“Nessun effetto. Non ci penso affatto. L’unica speranza è che chi utilizzerà i miei ovociti lo faccia in piena consapevolezza, e voglia bene a quel bambino. La genetica non ha niente a che vedere con i sentimenti“.

Mi pare un’affermazione categorica. Per altri non è così.

Non penso a quei bambini come a miei figli e come a fratelli dei miei gemellini. Sono figli di chi li chiamerà al mondo”.

La sua donazione è anonima, la legge italiana dispone così. Ma se un giorno uno di quei bambini manifestasse il desiderio di conoscerla?

“Non so. Da un lato potrei essere incuriosita. Ma dall’altro non vedo la necessità di questo incontro”.

A quanto pare la vedono molti nati da eterologa. Proprio in seguito ai loro ricorsi le legislazioni di molti paesi sono passate dall’anonimato al non anonimato.

“Sinceramente non mi sono posta il problema. Ho pensato ai bisogni della coppia, non ai bambini“.

Il fatto è proprio qui. Le leggi e le convenzioni internazionali convergono sul superiore diritto del minore. Al centro dovrebbero stare i suoi bisogni, non quelli della coppia.

“Bisogna passarci per sapere cos’è, non riuscire ad avere un figlio”.

Immagino sia una grande frustrazione e un grande dolore. Ma i diritti di chi viene chiamato al mondo vengono prima di tutto.

“Ma se si può fare qualcosa per aiutare queste coppie perché non si dovrebbe?”.

Glielo diranno, quando utilizzeranno i suoi ovociti?

“Sì. Ho chiesto anche di essere informata sul decorso dell’eventuale gravidanza, e di sapere quando il bambino nasce“.

Perché?

“Per curiosità. Mi interesserebbe saperlo”.

Pensa che proverà qualche emozione?

“Felicità per la donna, per il fatto di essere riuscita ad aiutarla”.

E per il bambino?

“No, non credo. L’unica cosa che conta è che sia amato“.

 

(grazie ad Aidagg, associazione di donatori di gameti, per il contatto con Anna)

 

 

bellezza, Corpo-anima, esperienze, personaggi Settembre 18, 2014

Mi ricordo Moana

Quello che vedete è un frame dell’ultimo film di Moana Pozzi, girato poche settimane prima della sua morte. La malattia si intuisce nel viso appena scavato, negli zigomi appuntiti.

Si riparla di lei in questi giorni per il ventennale della scomparsa. Ho conosciuto la ragazza, incontro non dimenticabile. Magnificamente ritoccata dal bisturi di un vero maestro che aveva perfezionato alcuni particolari (viso, seno) di una naturale bellezza, Moana era un sogno incarnato, una Venere luminosa avvolta in un visone color ciliegia. La voce soave, un po’ infantile e priva di inflessioni dialettali, il tono garbato della ragazza borghese, una certa frigida e malinconica cortesia. Che cosa non ha funzionato nella vita di questa donna? è stata la prima cosa che mi sono chiesta.

Dopo l’incontro a Roma, aveva insistito perché vedessi il suo show in un locale di Milano. “Ti lascio il biglietto. Devi venire”. Invito accolto senza entusiasmo: mettetevi nei miei panni, sprofondata nella poltroncina in mezzo a tanti uomini.

Era stata felice di vedermi quando nel gran finale del porno-spettacolino aveva fatto il suo abituale giro d’onore in platea. Nuda, tintinnante di bijoux, profumatissima di Trésor. Le mani, le bocche degli uomini su di lei, dentro di lei che mi stava parlando, sconnessa dal resto, da quelle mani, dal suo corpo, occhi sorridenti: “Ciao cara! Sono proprio contenta che ce l’hai fatta!”.

Per ragioni miseriosissime quella era la vita di Moana, l’aveva proprio voluta così, e nessuno -tanto meno io- poteva farci niente.

L’unico vero sentimento che avevo colto in quella giovane signora bene educata e self-controlled, era stato un moto di terrore -gli occhi spalancati, la bocca piegata da un’amarezza abissale- quando durante l’intervista mi aveva confessato la sua paura di invecchiare: “Non riesco nemmeno a pensarci, non ce la faccio, è spaventoso, intollerabile”.

Il problema non si è posto. Oggi Moana avrebbe 53 anni.

 

 

bambini, Corpo-anima, Politica, salute Settembre 4, 2014

Eterologa: varate le linee guida. Stessa pelle e donatore anonimo

Le Regioni hanno varato le nuove linee guida per la fecondazione eterologa. Questo consentirà ai centri pubblici e privati di erogare il servizio secondo norme equiparate e certe.

Restano a mio parere alcune problematicità che meriterebbero un dibattito parlamentare e una definizione per legge, e dimostrano il non riconoscimento del superiore diritto del minore:

1. il nascituro dovrà avere lo stesso colore di pelle dei riceventi: per quanto possibile si manterrà, cioè, lo stesso fenotipo della coppia in relazione al colore della pelle, dei capelli e anche rispetto al gruppo sanguigno. A me pare un’enormità: il figlio “eterologo” dovrà cioè essere “simil-omologo”, come, cioé, a cancellare (per maggiore comodità dei genitori) le modalità dell’origine, che invece il figlio ha il diritto di non vedere occultate o “mascherate”. O come ad allontanare il sospetto, nel caso il nascituro fosse di pelle diversa da quella dei genitori, di essere originato da un “tradimento” della madre. O come, infine, se si volesse affermare che per dei genitori bianchi è meglio evitare un figlio di pelle nera (e viceversa). I principi sottesi a questa decisione, che affermano un concetto di “comodo” che non ha niente a che vedere con lo slancio d’amore genitoriale, mi paiono del tutto incondivisibili.

2.  Il nato da eterologa avrà la possibilità di chiedere di conoscere l’identità del padre o madre biologici una volta compiuti i 25 anni di età: a questo punto il donatore viene ricontattato e, solo se è d’accordo, conoscerà il figlio biologico. Con l’eccezione di tale caso, il documento prevede l’anonimato del donatore: si potrà risalire a notizie relativi ad aspetti genetici del donatore solo per esigenze mediche del nato. La questione non può essere frettolosamente liquidata dalle linee guida, che dovrebbero limitarsi a fissare paletti essenziali. Come dicevamo qui, il tema dell’anonimato del donatore/trice è sensibilissimo e ha visto molti Paesi, partiti dalla non notorietà del genitore biologico, cambiare rotta in seguito ai frequentissimi ricorsi dei figli di eterologa. Concedere a 25 anni (e perché non alla maggiore età????) il diritto di conoscere le generalità del donatore (che difficilmente avrà cambiato idea sul proprio anonimato, e quindi non concederà il proprio consenso) è un arzigogolo che, di nuovo, mette in secondo piano i diritti del minore rispetto a quelli di chi lo ha chiamato al mondo. Sul tema dell’anonimato è necessario un approfondito dibattito del legislatore.

cinema, Corpo-anima, esperienze Settembre 2, 2014

Venezia: Elio Germano, l’attore favoloso

Senza Elio Germano questo film non si sarebbe potuto fare”: così Mario Martone, regista di “Il giovane favoloso”, pellicola su Giacomo Leopardi applaudita ieri alla Mostra del Cinema di Venezia.

Il favoloso Germano sa restituirci lo spirito universale e ribelle, la carne, l’odore, la sensualità di quel ragazzo marchigiano deforme e pieno di talenti, spazzandone via fino dalle prime scene l’immagine scolastica e addomesticata. Un bambino felice che via via si piega per non doversi spezzare, costretto da un padre amorosamente tirannico a un’esistenza claustrale che somiglia troppo poco alla vita. Squattrinato, quasi-drop out, un uomo in rivolta fino alla fine, perfino contro il suo stesso slancio rivoluzionario e utopico costantemente messo al vaglio alla luce fredda di uno scetticismo titanico, applicato a ogni esperienza.

Del film, dei suoi interpreti, della sua formidabile sceneggiatura, realizzata quasi interamente con citazioni letterali del poeta, trovate qui un ampio resoconto. Intendevo solo rendere il senso di quello che per me è stato un incontro: con Giacomo in carne e ossa, come non l’avevo mai conosciuto, e con Elio Germano che supera se stesso, nella sua passione e nel suo rigore.

bambini, Corpo-anima, Politica, salute Agosto 11, 2014

#Fecondazioneeterologa: il governo non rispetta la legge

A quanto pare il governo non intende rispettare la sentenza della Corte Costituzionale che rende praticabile anche nel nostro Paese la fecondazione eterologa. Si potrebbe anche dire così: prevale nel governo la contrarietà alla fecondazione eterologa, sentenza o non sentenza, e si cavilla per rinviarne l’applicazione sine die.

La ministra della Salute Beatrice Lorenzin aveva prospettato un decreto in tempi strettissimi, che avrebbe sostanzialmente integrato la legge 40 con alcune linee guida (max dieci concepimenti per donatore, limite d’età per i donatori, inserimento dell’eterologa nei Livelli essenziali di assistenza, registro nazionale dei donatori per la tracciabilità donatore-nato in caso di necessità per la tutela della salute del concepito, eccetera).

Il Consiglio dei ministri ha ritenuto invece di rinunciare al decreto e di reinviare tutta quanta la materia alla discussione parlamentare, con ciò intendendo che la fecondazione eterologa non sarà praticabile fintanto che il Parlamento non avrà deliberato su tutte le questioni aperte. Questo significa che nell’intento del governo la fecondazione eterologa di fatto resterà vietata, e presumibilmente per anni.

Potrebbe in questo modo crearsi un blocco non dissimile da quello che impedisce di fatto l’applicazione della legge 194: anche in quel caso la legge c’è ed è in vigore, ma resta sostanzialmente inapplicata a causa della massiccia obiezione di coscienza. In questo caso sarebbe la politica a obiettare, non calendarizzando la discussione sulla legge 40 e bloccando di fatto la fecondazione eterologa.

Il presidente della Corte Costituzionale Giuseppe Tesauro ha un bel ribadire il fatto che la sentenza non ha creato alcun vuoto normativo, e che l‘eterologa si può fare da subito: la questione è politica, non tecnico-giuridica. La resistenza all’eterologa è fortissima, la maggioranza del governo non intende mollare e preferisce che si continui con il turismo procreativo (magari anche solo interregionale, visto che Regione Toscana ha già dato il via). Nel frattempo in alcuni centri privati in altre regioni italiane il servizio è già erogato, nel rispetto della sentenza della Consulta, con esiti quanto meno caotici e nuove presumibili battaglie legali.

La sentenza della Corte Costituzionale non lascia dubbi: la fecondazione eterologa non è più vietata nel nostro Paese, e vi si può ricorrere qui e ora. Le linee guida possono essere rapidamente ed essenzialmente aggiornate sul modello dei Paesi europei in cui l’eterologa è già consentita da tempo. Ma il governo non intende accettare questa sentenza.

Il dibattito parlamentare si potrebbe semmai esercitare su alcune questioni (sulle quali sarebbe inaccettabile che si legiferasse per decreto). Tra le altre:

• il tema sensibilissimo dell’anonimato del donatore e della donatrice (in molti Paesi europei, come in Gb, Svezia, Norvegia, Germania, Austria, Olanda da tempo si è passati dall’anonimato al non-anonimato, in particolare in seguito ai ricorsi presentati dalle associazioni dei nati da eterologa che hanno rivendicato il diritto di sapere)

• la possibilità di accesso alla fecondazione medicalmente assistita, oltre che per le coppie infertili, anche per le coppie non infertili ma portatrici di malattie genetiche e cromosomiche, con diagnosi preimpianto sugli embrioni

• la possibilità di revoca del consenso alla fecondazione medicalmente assistita con adottabilità degli embrioni non impiantati

• la possibilità di maternità surrogata solidale (utero non “in affitto”, ma “in prestito” per amore) nella trasparenza di relazione tra la coppia, la madre portatrice e il nascituro. Nel 2001 il Tribunale di Roma ha acconsentito all’uso solidale: una donna che ha condotto la gravidanza per conto di una coppia alla quale era affettivamente legata.

 

Il dibattito su questi e altri temi non osterebbe, comunque, all’immediata praticabilità della fecondazione eterologa.

 

Aggiornamento 18 agosto:

COMUNICATO STAMPA

IL TRIBUNALE DI BOLOGNA SMENTISCE IL MINISTRO: L’ETEROLOGA SI Può FARE SUBITO.

Accolto ricorso della coppia e ordinato al centro di PMA Sismer di effettuare l’eterologa

In un ricorso presentato innanzi al Tribunale di Bologna ormai oltre 3 anni fa una coppia chiedeva di praticare al centro di PMA SiSMeR di Bologna. In subordine veniva chiesto al Tribunale di Sollevare la q.l.c della legge. Il Tribunale non si pronunciava. Nel maggio 2014 , all’indomani della sentenza della Corte Cost. del 9 aprile con il quale veniva pronunciata la declaratoria di incostituzionalità della legge 40/04 in punto di divieto assoluto di PMA eterologa, veniva chiesto dall’odierna difesa che il giudice procedesse, venuto meno il divieto e precisato in sede di motivazioni dalla Consulta che nessun vuoto normativo si era determinato, ad ordinare al centro di PMA di eseguire la metodica eterologa.

In data 14 agosto il Tribunale di Bologna emetteva ordinanza con la quale accoglieva le richieste dell’attore per le seguenti motivazioni:

A)    LA PMA Eterologa è una species di quella omologa  

La Corte costituzionale ha avuto cura nel ribadire che quella di tipo eterologo è una specie di tecnica appartenente allo stesso genere (la procreazione medicalmente assistita) delle altre, di tipo omologo: dunque, va anch’essa ricondotta al quadro normativo delineato dalla l. 19 febbraio 2004, n. 40.

In altri termini, la PMA di tipo eterologo è oggi una delle tecniche consentite per realizzare le finalità previste dalla l. 19 febbraio 2004, n. 40 (cfr. l’art. 1, l. cit.).

Ciò significa, in primo luogo, che interventi di PMA di tipo eterologo possono essere realizzati solo nelle strutture autorizzate (artt. 10, 11, 12, 5° co., l. cit.) e nel rispetto delle disposizioni della l. n. 40/2004 concernenti i presupposti o requisiti oggettivi (art. 4, 1°) e soggettivi (art. 5) e dei principi di gradualità e del consenso informato (art., 4, 2° co.).

Sul punto, si vedano anche i rilievi svolti da Corte cost. n. 162/2004 (par. 11.1).”

B)   Non vi è vuoto normativo

 

Il Tribunale di Bologna, nel ricordare che la Regione Toscana ha emanato in proposito una regolamentazione tecnica di dettaglio che disciplina taluni aspetti del fenomeno in punto di presunto vuoto normativo da colmare con legge ricorda come la Corte Costituzionale nella sent 162/14 evidenzi quanto alla eccezione più volte sollevata, risulti del tutto

 

“ infondata l’eccezione di inammissibilità relativa al paventato <<vuoto normativo>>, la Corte costituzionale è stata chiara nell’escludere <<nella specie>> (ossia, con riferimento ai casi concreti sottoposti alla sua attenzione, del tutto assimilabili a quello qui in esame) l’esistenza di incolmabili lacune concernenti la regolamentazione essenziale (<<i profili di più pregnante rilievo>>) dell’accesso alla PMA con donazione di gameti, sia quanto ai presupposti che quanto agli effetti.

Al contrario, essa ha affermato, da un lato, che <<nella specie sono […] identificabili più norme che già disciplinano molti dei profili di più pregnante rilievo, anche perché il legislatore, avendo consapevolezza della legittimità della PMA di tipo eterologo in molti paesi d’Europa, li ha opportunamente regolamentati, dato che i cittadini italiani potevano (e possono) recarsi in questi ultimi per fare ad essa ricorso, come in effetti è accaduto in un non irrilevante numero di casi>> e, dall’altro, che <<non>> vi sono <<incertezze in ordine all’identificazione dei casi nei quali è legittimo il ricorso alla tecnica in oggetto>>.

Si rimanda alla motivazione di Corte cost., n. 162/2014, paragrafi 10, 11, 11.1, 12.

Oltre alle disposizioni della legge 40/04 vengono richiamate i D.Lvi 191/07 e 16/10 componendosi un quadro normativo che non abbisogna di integrazioni in punto di stoccaggio, trasferimento , conservazione, privacy e anonimato del materiale genetico donato

Nei limiti della compatibilità, in ipotesi di PMA con donazione di gameti (salva l’introduzione di una nuova e specifica disciplina) troveranno dunque applicazione le vigenti disposizioni in tema di donazione di cellule riproduttive anche se non proveniente da un partner (si applicheranno dunque i criteri di selezione del donatore di tessuti e/o di cellule e si eseguiranno gli esami di laboratorio richiesti per i donatori in generale), ma pur sempre nel rispetto dei requisiti soggettivi fissati dall’art. 5, l. n. 40/2004 (cfr. l’art. 2, 1° co., lett. b), d. lgs., n. 16/2010)”.

C)     I pericoli invocati dal ministro (numero max  donazioni, esami genetici ed infettivi da effettuare sul donatore, etc ) non sussistono e sono demandati ad una disciplina attraverso disposizioni mediche e di dettaglio che in attesa delle Linee Guida possono essere individuate nei protocolli delle Società Scientifiche.

Quanto alle disposizioni tecniche e di dettaglio nel ribadire che non vi è necessità di una legge viene evidenziato che i centri dovranno attenersi alle direttive mediche più “aggiornate e accreditate” cioè elaborate dalle società scientifiche e contenute nei protocolli medici internazionali. Dunque in attesa delle Linee Guida ministeriali che sono la sede per disciplinare gli aspetti tecnici della metodica i centri di PMA in Regione Toscana dovranno attenersi alle direttive mediche allegate alla Delibera fuori dalla Regione Toscana dovranno rifarsi alle linee guida emanate dalle società scientifiche

“Nessuna incertezza sorge in ordine allo status del nato Ciò non toglie che debba darsi attuazione al diritto riconosciuto da Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, applicando laddove necessario le norme in materia di donazione di tessuti o cellule. Nessuna incertezza può sorgere in ordine allo status del nato da PMA eterologa (è figlio della coppia che ha espresso la volontà di accedere alla PMA) e all’assenza di relazione parentale rispetto al donatore di gameti. Oltre al novellato art. 8, l. n. 40/2004, si veda l’art. 9, 3° co., che nella sua attuale formulazione così dispone: <<In caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’articolo 4, comma 3, il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi>> (estranea al tema qui in esame è la particolarissima vicenda trattata da Trib. Roma, ord. 8 agosto 2014). A garanzia del nascituro, una volta divenuto persona, erano già previste le speciali misure di cui all’art. 9, 1° e 2° co. (divieto del disconoscimento della paternità e dell’anonimato della madre) nel segno della autoresponsabilità di chi accede alla PMA.

Restano fermi il divieto di commercializzazione di gameti o embrioni e il divieto di surrogazione di maternità (art. 12, 6° co., l. n. 40/2004) ed il divieto di selezione a scopo eugenetico degli embrioni o dei gameti (art. 13, 3° co., lett. b)) (v. anche il passaggio di Corte cost., n. 162/2014 al par. 9).

D)    Preso dunque atto della natura di diritto fondamentale della persona (salute art 32 cost) autodeterminazione art 13 cost)  della pretesa di eseguire la PMA eterologa, il Tribunale afferma

“il diritto dei ricorrenti a ricorrere alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo secondo le migliori e accertate pratiche mediche;

autorizza la società convenuta ad applicare la tecnica richiesta dalla coppia ricorrente nel rispetto delle disposizioni richiamate in motivazione e delle più aggiornate ed accreditate conoscenze tecnico-scientifiche in materia di PMA con donazione di gameti;

In conclusione

Dopo il presidente Tesauro anche il Tribunale di Bologna conferma che non vi è alcun vuoto normativo, che non vi è un pericolo medico sanitario né di anonimato o compatibilità genetica tra nato e donatore. Dunque posto che le norme tecniche e di dettaglio inerenti n di donazioni ed esami da effettuare hanno natura medica, esse dovranno essere contenute in atti amministrativi, Linee Guida (Statali e/o Regionali), e non in inutili leggi. In loro assenza i centri di PMA potranno comunque eseguire la PMA eterologa seguendo le Linee Guida elaborate dalle più accreditate organizzazioni scientifiche.

 

bambini, Corpo-anima, diritti, Politica Luglio 29, 2014

#Legge40: no all’anonimato del donatore

1978: i quotidiani britannici annunciano la nascita di Louise Brown, la prima bambina nata “in provetta”

Oggi la ministra per la Salute Beatrice Lorenzin presenterà in Commissione Affari Sociali della Camera i contenuti di un imminente decreto legge sulla fecondazione medicalmente assistita.

Come saprete c’è un certo caos dopo la sentenza con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile la fecondazione eterologa, ovvero con donazione di gameti: la stessa Consulta ha chiarito che la sentenza non apre alcun vuoto normativo e che l’eterologa è immediatamente praticabile, ma il Ministero per la Salute frena; sono già in corso gravidanze ottenute con donazioni, Regione Toscana ha già dato autonomamente il via libera. Prima si chiarisce il quadro con linee guida nazionali e meglio sarà.

Sembra certa la conferma dell’anonimato assoluto del donatore, la cui identità deve rimanere segreta. Perfino sulla tracciabilità genetica, ovvero sulla possibilità di accedere ai dati genetici del donatore per ragioni di salute, a quanto pare sarà prevista solo nel caso in cui per il nascituro si ponesse la necessità di un trapianto di midollo. Ma attendiamo di conoscere le proposte.

Sull’anonimato, tuttavia, non dovrebbero esserci sorprese.

Molti fra voi sapranno che su questo punto le legislazioni si dividono. In Svezia e in Gran Bretagna, nazioni pioniere in materia di fecondazione assistita (Louise Brown, la prima “figlia della provetta”, è nata nel 1978 a Oldham, Regno Unito) l’identità del donatore o della donatrice deve essere nota.

L’Human Fertilisation and Embriology Act, stilato nel 1990 nel Regno Unito, è uno dei documenti fondamentali in materia. Il testo originario, che stabiliva l’anonimato del donatore/trice, nel 2005 è stato così implementato:

…any donor who donated sperm, eggs or embryos from that date onwards is, by law, identifiable. Since that date, any person born as a result of donation is entitled to request and receive the donor’s name and last known address, once they reach the age of 18”.

Il diritto del figlio-a essere informato sulle sue origini  è ritenuto quindi prevalente rispetto al diritto del donatore a restare anonimo, nonché della coppia a “cancellare” il donatore. Il superiore diritto del minore è peraltro sancito dall’art. 7.1 della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che riconosce, appunto, il “diritto […] nella misura possibile, a conoscere i suoi [del bambino] genitori”. Con il termine “genitore” si indicano qui sia il genitore genetico, sia il genitore biologico che partorisce (madre surrogata: attualmente vietata in Italia), sia il genitore psicologico, ossia colei/colui che cresce e si prende cura del minore per un periodo significativo della sua vita.

Il non-anonimato non è “comodo” per nessuno. Né per il donatore, che deve accettare il “rischio” di una relazione con la creatura nata dai suoi gameti (e infatti in Gran Bretagna e in Svezia il numero di donazioni è significativamente basso), né per i genitori, a cui tocca invece il rischio dell’irruzione di un minaccioso “terzo” nella vita del figlio o della figlia a scompaginare il quadro familiare. Ma questo “terzo” esiste, sia che venga nominato, sia che venga “cancellato”, ed esiste in primis nella vita del nascituro. Contro il cui superiore diritto non valgono né gli argomenti di “mercato” (con la notorietà del donatore si ridurrebbe il numero delle donazioni), né il diritto del donatore e dei genitori a non essere “disturbati”, né la salvaguardia dello statuto familiare, che prevede un solo padre e una sola madre.

Tutti i diritti sono secondari a fronte di quello della creatura che chiamiamo al mondo. Per questo sono fermamente a favore del non-anonimato del donatore/trice.

p.s. Detto a latere: sono molto stupita del fatto che si consideri progressista battersi per i diritti di una coppia infertile, anche di età avanzata, che intenda accedere a fecondazione assistita per avere un figlio; mentre battersi perché ragazze e ragazzi non infertili possano dare corso per via naturale al loro desiderio di bambini, riducendo gli ostacoli (la mancanza di lavoro e di servizi, la difficoltà di accesso ai mutui casa, etc.) che impediscono loro di realizzare il progetto genitoriale, e contribuendo a un aumento dei bassissimi livelli di natalità nel nostro Paese, è ritenuta una battaglia conservatrice, genere “figli alla patria”, quando non in odore di reazione.

 

Ultim’ora: sul tema dell’anonimato del donatore Lorenzin rinvia al dibattito parlamentare.

 

bambini, Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Luglio 22, 2014

Fecondazione assistita: anche per le single?

Nella sua ultima sentenza sulla legge 40 che regola la fecondazione medicalmente assistita, dichiarando incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa la Corte Costituzionale chiarisce anche che la legge sta comunque in piedi, cioè che non si è aperto alcun vuoto normativo e che servono solo linee guida essenziali per la sua applicazione: in particolare, vanno garantite sicurezza sanitaria e tracciabilità genetica, ovvero la possibilità per il nascituro di accedere ai dati genetici del donatore che ha “contribuito” alla sua venuta al mondo.

Servirebbe invece l’intervento del legislatore se si volesse modificare il testo della legge 40. Tra i tanti, pongo alla vostra attenzione 3 possibili temi di intervento legislativo:

1. oggi la legge consente l’accesso alla fecondazione assistita solo a coppie infertili, non invece a coppie che non hanno problemi di sterilità ma sono portatrici di malattie genetiche o cromosomiche e che grazie alla fecondazione assistita potrebbero assicurarsi di mettere al mondo figli sani

2. il donatore e la donatrice -nel caso di fecondazione eterologa- sono anonimi: anche nel caso di tracciabilità genetica, la loro identità anagrafica non è nota. In molti Paesi, per esempio in Gran Bretagna, è invece riconosciuto il diritto del figlio e della figlia ad accedere ai dati anagrafici del “genitore” biologico

3. in Italia non è previsto l’accesso dei single alle banche dei gameti. Molte donne single, turiste procreative, si rivolgono ai centri spagnoli, belgi, inglesi, danesi e altri, dove invece è ammessa questa possibilità. Esiste anche un commercio online di kit per l’home insemination, non sufficientemente garantiti dal punto di vista sanitario e genetico. Le cose sono diverse per i single uomini: dal punto di vista procreativo non esiste simmetria tra i sessi. Nel caso dei single maschi, infatti, oltre all’ovodonazione sarebbe necessaria una madre surrogata, ovvero un utero in affitto. Ma la nostra Costituzione vieta la libera disponibilità del corpo o di parti di esso, con l’eccezione di un uso solidale com’è il caso della donazione di sangue, di midollo, di un rene tra congiunti, e anche di gameti. Nel 2001 il Tribunale di Roma ha autorizzato una donna a condurre una gravidanza per conto di una coppia a cui era affettivamente legata. In nessun caso è autorizzata la commercializzazione dell’utero.

Stiamo quindi al caso delle donne single: la legge italiana dovrebbe autorizzarle ad accedere alle banche del seme?

In attesa di vostro argomentato parere. Grazie

(il mio punto di vista lo dirò poi)