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Corpo-anima, salute Maggio 21, 2015

Anoressia: TSO e alimentazione forzata (proposta di legge Moretto). Fabiola Declerq: crudeltà pericolose e inutili. La replica di Sara Moretto e Alessandra Arachi

 

Mentre l’attrice americana Rachel Farrock lancia su Youtube il suo drammatico appello perché qualcuno l’aiuti, anche economicamente, a curare l’anoressia che l’ha ridotta uno scheletro di appena venti chili, in Italia la parlamentare Sara Moretto del Pd firma una proposta di legge per autorizzare il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) con alimentazione forzata per le anoressiche che rifiutino anche occasionalmente i trattamenti medici.

Proposta “securitaristica” e autoritaria che fa molto discutere: “obbligare a mangiare”, anche con un sondino, non è mai stata ritenuta una strada per curare l’anoressia nervosa.

Fabiola De Clerq è stata anoressica ed è fondatrice e presidente di Aba, associazione per lo Studio e la Ricerca su anoressia, bulimia, obesità e disturbi alimentari nata nel 2002 a Milano e che assiste circa 700 anoressiche ogni mese. Come valuta la proposta?

“Molto pericolosa” dice. “Non ho mai creduto alla riabilitazione alimentare. Il disturbo dell’alimentazione è il sintomo di un disagio profondo. Si deve lavorare sulle ragioni del disagio, non sul sintomo, che va visto come una specie di autoterapia”.

Essere costretta al cibo forse è la peggior forma di tortura per un’anoressica: ma servirebbe?

“A peggiorare le cose. Dopo il trattamento obbligatorio la paziente potrebbe “vendicarsi” con comportamenti autolesionistici, fino al suicidio”.

Le è mai capitato di far ricoverare qualcuna?

“Raramente, e solo in caso di pericolo gravissimo(*). Che cosa potrebbe capitare se una famiglia con una figlia che non vuole mangiare si rivolgesse al sindaco del paese, magari un amico, per fargli firmare la richiesta di TSO? Anche perché molto spesso i veri pazienti sono i genitori. Anche loro devono seguire una terapia. E un sondino può essere perfino pericoloso”.

In che senso?

“Le anoressiche possono essere nevrotiche o psicotiche: lo stesso sintomo è la punta di iceberg molto diversi. Se una paziente è psichiatrica, con l’alimentazione forzata puoi innescare una bomba. A una psicotica non puoi togliere l’anoressia, perché la scompensi. Un ragionevole grado di anoressia, o anche di bulimia, può essere l’elemento che la tiene in equilibrio. Ho per esempio ex-pazienti psichiatriche bulimiche che hanno ridotto considerevolmente gli episodi di vomito. Magari capita ancora solo sotto stress, ma serve a garantire loro un assetto compatibile con la vita: pur sempre meglio che sentire le voci o credersi la Madonna. Qui si va a tagliare una materia delicatissima con un coltello grossolano”.

La minaccia di un TSO non potrebbe essere un incentivo a curarsi? -mi scusi, non lo credo affatto, ma glielo domando lo stesso-.

“Ma se non hanno neanche paura della morte! Quando glielo dico io, che sono stata anoressica: “Guarda che muori”, un po’ mi danno ascolto, perché sanno che le capisco. Ma se a dirglielo è un medico quasi sempre è inutile. Le anoressiche sono in costante delirio di onnipotenza. La chiave del disturbo è il controllo: credono di poter controllare tutto, anche la morte”.

E invece possono morire.

“L’anoressia è la prima causa di morte tra le pazienti psichiatriche. Spesso si tratta di suicidi. Ma in tanti anni non mi è mai morta nessuna, e prendo anche ragazze ridotte a 25 kg. Guarire si può, eccome. Abbiamo guarigioni di continuo. E guarire è anche guarire ragionevolmente, ridurre il disturbo fino alla compatibilità con una buona vita. Viceversa, puoi ingrassare 25 kg e non guarire affatto, finendo con l’esprimere il tuo disagio in disturbi anche peggiori. Nell’80 per cento dei casi dietro il disturbo alimentare ci sono maltrattamenti e abusi intrafamiliari. Che cosa fai, gli dai anche la mazzata del TSO? Perché, allora, non il TSO obbligatorio per gli alcolisti? In fondo l’anoressia è una dipendenza, come l’alcolismo: sei dipendente dal non-mangiare-niente. Ci mettiamo a curare così tutte le dipendenze, con i trattamenti obbligatori?”.

Se non questa legge, di quale legge ci sarebbe bisogno?

“Guardi, io non mi aspetto più niente dalla politica. Niente di niente. Faccio tutto da sola. Anche perché spesso, quando la politica si muove, i risultati sono cretinate come questa. Ci vorrebbe almeno l’umiltà di studiare, prima di proporre una cosa tanto grave. La cosa importante sarebbe che le Asl si attrezzassero, che i medici di famiglia venissero formati. Ma di una legge così i giornali non parlerebbero”.

 

(*) Una precisazione d’obbligo

Rispondendo alla mia domanda: “Le è mai capitato di far ricoverare qualcuna?”, Fabiola Declerq risponde: “Raramente, e solo in caso di pericolo gravissimo”. La mia domanda diretta può ingenerare equivoci e lasciare intendere che sia stata Declerq in persona a disporre il ricovero delle pazienti in pericolo. Naturalmente non è così: a disporre i pur rari ricoveri non è stata la signora Declerq, ma i medici che collaborano con Aba, i soli titolati a farlo.

 

22 maggio: ricevo e pubblico replica dell’on. Sara Moretto

 

Gentile dott.ssa Terragni,
vorrei fare un po’ di chiarezza sulla mia proposta di legge sul trattamento sanitario obbligatorio nei casi di disturbi del comportamento alimentare e sulle dichiarazioni di Fabiola De Clerq, presidente di Aba, associazione per lo Studio e la Ricerca su anoressia, bulimia, obesità e disturbi alimentari. La mia pdl è animata dalla volontà di salvare delle vite umane, non certo di introdurre metodi repressivi. Essendo i DCA delle patologie psichiatriche, la normativa vigente prevede già oggi la possibilità di fare i Tso. Non solo. Il ricorso a questo strumento (ovviamente eccezionale e di brevissima durata) è contemplato anche nei quaderni del Ministero della Salute. La proposta di legge specifica essenzialmente due cose: la prima è che i Tso devono essere mirati alla nutrizione, come trattamenti salvavita, la seconda che questi trattamenti vanno erogati nelle strutture pubbliche, uniformandone le modalità a livello nazionale. La proposta di legge chiede l’individuazione di posti letto “sicuri” e di équipe formate per la gestione di queste situazioni drammatiche. Inoltre, non vi è alcun accenno alla “alimentazione forzata”. L’alimentazione meccanica non è un metodo forzato ma un programma di trattamento. L’aggettivo “meccanica” si riferisce al fatto che mangiare deve essere qualcosa che si fa indipendentemente dai propri pensieri e sensazioni, come una medicina.

Per concludere, definire la proposta “una cretinata” significa quantomeno non tener conto delle posizioni espresse dai principali psichiatri italiani che si occupano di queste patologie né dalle associazioni che rappresentano le famiglie. 

Ci vorrebbe almeno l’umiltà di leggere la proposta, prima di criticarla.


On.le Sara Moretto

 

UN ALTRO CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE: ALESSANDRA ARACHI

Alessandra Arachi è una collega del Corriere della Sera. Conosce personalmente il problema di cui si discute qui, sul quale ha scritto in “Briciole. Storia di un’anoressia” (Feltrinelli) e nel romanzo “Non più briciole”, da qualche settimana in libreria per Longanesi.

Secondo Arachi ogni proposta è perfettibile, ma la legge Moretto costituirebbe un passo avanti nella gestione della malattia.

“Si deve tenere conto” dice “che il TSO si pratica già nei casi più gravi e nelle fasi acute della malattia. E infatti la giovane anoressica di cui racconto nel romanzo viene sottoposta al trattamento. Il senso della proposta di Moretto è: visto che i TSO li facciamo già, facciamoli meglio. Invece di ricoverare forzatamente le anoressiche in reparti di psichiatria, costruiamo ambiti specializzati e multifunzionali dedicati alla patologia”.

Anorexia Unit, insomma.

“Potrebbe essere un’idea. La proposta non introduce il TSO per le anoressiche, semplicemente precisa come questo strumento dovrebbe essere utilizzato”.

Come spieghi allora la contrarietà di molti addetti ai lavori?

“Io ho ascoltato anche molte voci favorevoli. L’anoressia è una malattia molto mediatica, e troppi la cavalcano improvvisandosi esperti”.

C’è anche un problema culturale: si legittima un principio autoritario nella gestione della malattia. Probabilmente molte famiglie pensano che il problema si risolverebbe se potessero alimentare a forza le figlie.

“Ripeto: qui non si vuole usare il TSO per costringere le anoressiche a mangiare. Il TSO è inteso come un salvavita. Rinunciando alla coazione nella cura delle patologie psichiatriche, Basaglia ha fatto una cosa meravigliosa, ma la sua legge è stata applicata solo a metà con tutti problemi che sappiamo”.

Conosci casi di anoressiche che hanno subito TSO?

“Come dicevo, la protagonista del mio romanzo viene trattata in un reparto di psichiatria, dove si cumulano errori su errori. Quando scopre che l’alimentazione forzata le ha fatto prendere peso la sua rabbia esplode. Ma la stessa prassi gestita in centri specializzati e multidisciplinari avrebbe tutt’altro senso. Esistono realtà d’eccellenza dove le cose funzionano bene. Non si deve avere ideologicamente paura della parola TSO”.

Hai mai visto un TSO? E’ un evento drammatico, spesso servono le forze dell’ordine.

“Nel caso delle anoressiche in fase acuta ho visto solo ambulanze e personale sanitario. Sono sfinite, non hanno la forza fisica di ribellarsi”.

Troppo spesso in Italia le leggi sono soggette a interpretazioni e applicazioni arbitrarie. Metti il caso di una famiglia che vive in un piccolo paese, che si ritrova con una figlia che non mangia e credendo di fare la cosa giusta chiede al sindaco amico di autorizzare un TSO…

“Ma così si violerebbe la legge. Ripeto: La proposta Moretto prevede il TSO solo in fase acuta, come salvavita. In ogni caso il TSO, che è l’unico strumento coercitivo sopravvissuto alla rivoluzione di Basaglia, può essere disposto dall’autorità amministrativa solo su richiesta dello psichiatra”.

 

 

 

bambini, Corpo-anima, diritti, TEMPI MODERNI Marzo 30, 2015

The Body affitta un body per avere un figlio a 51 anni

La ex-stra-top Elle Macpherson (The Body), 51 anni, vorrebbe un terzo figlio. Per via naturale, com’è ovvio, non ce la farebbe mai, perciò avrebbe deciso per una madre surrogata. The Body affitterebbe un altro body in cui fare impiantare i suoi ovuli (congelati anni fa) fecondati con il seme del terzo  marito Jeffrey Soffer, anche lui già ampiamente padre insieme ad altre donne.

Di figli, volendo, ce ne sarebbero già abbastanza. Ma Elle e Jeffrey ne vorrebbero uno tutto loro, e avrebbero già individuato l’utero, quello di una donna di trent’anni. Non so come escano certe notizie: forse è un modo per avere i riflettori, o forse il close-insider è la candidata-utero che vuole arrotondare e ha spifferato tutto alla rivista Woman’s Day, che ha diffuso la notizia.

Per i paladini e le paladine delle “libertà” femminili –sempre pronte-i  a difendere in il diritto di ciascuna di vendere o affittare il proprio corpo, con particolare riferimento agli annessi sessuali: perché i diritti sono inviolabili, mentre vagina, utero etc sono violabilissimi– dico che se The Body maiuscolo e the body minuscolo trovano un accordo, e se la legge lo consente (in Italia no), si potrebbe anche dire che sono affari loro.E dico anche che mi piacerebbe vederli sostenere, con uguale accanimento, il diritto di avere figli entro la scadenza biologica, contro tutto e contro tutti (le aziende che non ti assumono o ti licenziano, le banche che non ti danno il mutuo casa, etc.).

Quanto a me penso che una coppia di cinquantenni già plurigenitori, in buona salute e pieni di soldi dovrebbero ringraziare Dio ogni giorno, fare del bene per condividere la propria buona sorte, e magari baloccarsi con il pensiero di un bambino tutto loro, e poi guardarsi negli occhi e dirsi: “Ma no, lasciamo stare…” e aspettare e sperare nei bambini dei propri figli.

E a quella ragazza così bisognosa, al punto di affrontare gravidanze per conto terzi, offrire il proprio aiuto senza pretendere niente in cambio.

Non metterebbero al mondo un bambino, ma ho la sensazione che darebbero alla luce qualcosa di più grande: un’umanità più adulta, capace di accettare il limite.


bambini, Corpo-anima, Donne e Uomini, scuola Marzo 24, 2015

Contro l’educazione sessuale

 

C’è un limite anche al cretinismo progressista e laicista, in sostanza: tutti possiamo fare tutto e abbiamo diritto a qualunque cosa senza alcun limite, la fase dell’onnipotenza infantile tirata fino agli 80 anni.

Fa parte di suddetto cretinismo anche un certo concetto di “educazione sessuale” per infanti e adolescenti, espressione che è quasi un ossimoro perché il sesso è tutto fuorché educato. Basterebbe leggersi un bigino di Michel Foucault per inquadrare la questione: detto alla buona, meno parole si fanno sul sesso e meglio è, per il piacere. Perché poi lui avverte che la sessualità non esiste, esistono i corpi e i piaceri.

Mi viene la pelle d’oca, quindi, all’idea che dei formatori appositamente formati (il business della formazione oggi è colossale) pretendano di spiegare a dei ragazzini-e come dovranno regolarsi nelle cose di sesso, addirittura come ci si masturba e altre idiozie del genere. Corre anche una certa ipocrisia, se vogliamo, perché siamo stati tutti bambini e bambine e dovremmo ricordare che quanto a corpi-e-piaceri, da liberi e perfetti perversi polimorfi, sono i ragazzini e le ragazzine a poter formare gli adulti, liberandoli dalla parola normativa (ricordo come un’enorme violenza ogni intervento invadente del mondo adulto sui nostri giochi).

La cosa che si dovrebbe fare è dare una mano ai genitori a fare meno danni possibili, e collaborare con loro in questo senso, attenendosi a due semplici principi educativi:

  1. rispetto del-la partner, a qualunque genere appartenga, sempre e comunque
  2. responsabilità procreativa di ciascuno, che sia maschio o femmina, e protezione di se stessi e dei partner dalle malattie a trasmissione sessuale (+ altre informazioni sanitarie, se servono).          Punto. Finito. Impostati i due binari, gioco assolutamente libero. Questa è la sola educazione sessuale che concepisco. Anche il sesso, come i temi eticamente sensibili, vuole il minimo indispensabile di parole.

 

Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Marzo 4, 2015

Diciassettenne rischia la vita per aborto fai-da-te. Martedì il voto in Europa

A Genova una ragazza di 17 anni ha rischiato di morire per emorragia interna dopo aver assunto un farmaco abortivo, a quanto pare acquistato online con l’aiuto del fidanzato di 20 anni. In quanto maggiorenne, ora il ragazzo è indagato dalla Procura per procurato aborto, mentre la ragazza è ancora ricoverata in ospedale- Con ogni probabilità si trattava di un noto farmaco antiulcera: molto siti indicano come acquistarlo e come assumerlo per l’aborto fai-da-te.

Con il sostanziale blocco della legge 194 siamo tornati in pieno all’aborto clandestino. Le giovani donne non si stanno affatto mobilitando in difesa una legge che garantirebbe loro di non rischiare la salute, e che le loro madri hanno conquistato a prezzo di molte lotte. Le nuove generazioni sono tornate ad “arrangiarsi” tra contraccezione del giorno dopo e farmaci abortivi, e capita con una certa frequenza che le cose finiscano male, con ricoveri d’urgenza per finti aborti spontanei.

Ignorando la questione nonostante un richiamo del Consiglio d’Europa, il governo sceglie la strada della resistenza passiva, sostenendo che la 194 è sufficientemente applicata e che il problema non esiste, e ritenendo la ri-clandestinizzazione una buona strategia contro l’aborto.

Costringere le donne a rivolgersi alle mammane online non è politica contro l’aborto, è politica contro le donne.

Con la speranza che qualche parlamentare italiano rivolga un’interrogazione sul caso genovese alla ministra per la Salute Beatrice Lorenzin, si segnala che il prossimo martedì 10 marzo il Parlamento Europeo si esprimerà sulla risoluzione Tarabella, in cui tra l’altro si afferma “che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva».

Il dibattito è già acceso. La speranza è che la risoluzione venga sostenuta dalla maggioranza degli europarlamentari, con particolare riferimento a quegli esponenti Pd (Toia, Sassoli, Costa e altri) che nel 2013 con la loro astensione impedirono l’approvazione di una risoluzione dai contenuti analoghi presentata dalla portoghese Estrela. Stavolta gli auspici sembrano migliori: un gruppo di deputati di partiti diversi ha lanciato l’iniziativa All of us, per difendere il diritto della donna alla scelta in tema di salute sessuale e riproduttiva. Tra loro le piddine Elena Gentile ed Elly Schlein.

Occhi puntati su Strasburgo.

 

 

 

Corpo-anima, Femminismo, Politica, questione maschile Febbraio 13, 2015

Gli intoccabili diritti del c…o: la Consigliera di Parità (!) del governo difende i quartieri a luci rosse

Giovanna Martelli, consigliera di parità del governo Renzi

 

  • Dunque Giovanna Martelli, consigliera per le Pari Opportunità del governo Renzi, decide di rompere il suo abituale silenzio per schierarsi con veemenza a favore della zona rossa per la prostituzione all’Eur. La consigliera per la Parità –non ci credo, non può essere vero- trova che sia giusto istituire un quartiere dove gli uomini possano andare in tutta tranquillità a farsi una s…a o altro a pagamento e anzi, rampogna i suoi compagni di partito, invitandoli a “riconnettersi con la realtà dei problemi. Devono fare uno sforzo, avvicinarsi alle persone”, poiché “viviamo in una società del mercato e del consumo, dove c’è una domanda sempre più forte di sesso da pagare in denaro”. Secondo la consigliera di Parità si tratterebbe di prenderne atto per rendere il tutto più agevole e decoroso. In altre parole, l’omo è omo, o anche, detto lacanianamente, il Fallo è il Grande significante, a quanto pare anche delle Pari Opportunità, e non è nemmeno immaginabile che la sessualità maschile rinunci alla possibilità di usare il corpo di una donna come se fosse una cosa morta. Insomma: la prostituzione viene incontro a un bisogno fisiologico ineliminabile, che somiglia pericolosamente a un diritto.

Strano, perché viceversa  in Svezia, in Norvegia, in Canada, in Islanda e altrove si pensa senza mezzi termini che la prostituzione rappresenti una forma di sfruttamento e che derivi sempre da uno squilibrio di poteri. E, nota interessante per una consigliera di parità, si ritiene che poter comprare donne per fare sesso alimenta una percezione della donna che pregiudica la parità dei diritti e danneggia tutte quante. Di più:  la legalizzazione non serve a nulla contro la tratta, anzi la favorisce.

Dal 1999 la Svezia punisce clienti, papponi e trafficanti, ma non le prostitute. Risultato: in Svezia la prostituzione è diminuita e non è più un grande affare per gli sfruttatori, e un numero crescente di giovani maschi  dimostra non solo di poter vivere senza andare a p…e, ma anzi considera quello dei puttanieri un comportamento indegno e riprovevole. L’Europa indica il modello svedese come l’eccellenza a cui fare riferimento: anche in Uk ci stanno pensando seriamente, e la Francia ha calendarizzato a fine marzo il dibattito parlamentare per introdurre la punibilità dei clienti.

Ma proprio mentre quegli strambi dei francesi discuteranno di questo, il nostro Senato sarà probabilmente impegnato a dibattere sul disegno di legge Spilabotte & altre, che sembrerebbe intenzionato a importare un prodotto, quello della regolarizzazione della prostituzione, già ampiamente scaduto altrove, perfino nell’Olanda dei sex club e delle ragazze in vetrina dove il numero delle “professioniste” regolarizzate è molto basso, il fenomeno della tratta è addirittura aumentato secondo il rapporto di polizia dal titolo di Schone Schijn (Salvare le apparenze), e almeno il 90 per cento delle prostitute risponde ai magnaccia. L’obiettivo di recidere i legami tra prostituzione e criminalità è fallito. Ogni anno vengono riciclati nei Paesi Bassi 18,5 miliardi, il 10 per cento dei quali derivano dal gioco d’azzardo e dallo sfruttamento della prostituzione.

Proponendo di togliere le ragazze dalla strada per metterle in luoghi chiusi e sottratti alla vista dei cittadini, il ddl Spilabotte sembra ignorare anche il fatto che lo sfruttamento sessuale avviene soprattutto al chiuso: è lì che le ragazze corrono maggiori rischi e sono più controllate. Nel ddl si parla di depenalizzazione dei locatori di immobili, si istituisce lo stato pappone, stabilendo precise tariffe per l’autorizzazione a battere -6.000 per l’attività full time, 3.000 per quella part time- con relative sanzioni per chi non si è registrata in Camera di Commercio. E si parla addirittura di certificati di idoneità psicologica alla prostituzione(!!!!!!) rilasciati dalle Asl (*).

Dice Carolyn Maloney, fondatrice del comitato anti-tratta al Congresso degli Stati Uniti: “C’era una volta la convinzione naif che legalizzare la prostituzione consentisse di migliorare la vita delle prostitute, di eliminare la prostituzione nelle zone dove rimaneva illegale e di scacciare il crimine organizzato. Come tutte le fiabe, anche questa convinzione si è rivelata essere pura fantasia”. Perché noi mostriamo, da Paese di retroguardia, di crederci ancora?

Difficile capire che cosa abbia indotto la parlamentare del Pd Maria Spilabotte (e le sue colleghe) a esercitarsi appena eletta su una questione così delicata. Ma se ancora vi fossero dei dubbi sul fatto che contro la tratta e lo sfruttamento della prostituzione la strada non è questa, mi permetterei di suggerire a lei, alla consigliera Martelli e a tutte la lettura di un’impressionante inchiesta di Der Spiegel intitolata “Bordello Germania”, dove si racconta il fallimento della decennale legalizzazione della prostituzione, della nascita di megabordelli “all you can eat”, dove puoi avere sesso a volontà con una tariffa forfettaria, un mercato fatto per l’80 per cento di schiave bulgare e rumene anche vendute dalle famiglie in tempo di crisi. Su 400 000 prostitute solo 44 sono ufficialmente registrate. Il Ministero della Famiglia tedesco sostiene che non vi è stato “ alcun apprezzabile miglioramento reale nella sicurezza sociale delle prostitute”. Per un terzo dei pubblici ministeri tedeschi la legalizzazione della prostituzione ha reso anzi più complesso il loro lavoro contro la tratta e lo sfruttamento.

Perché dovremmo oggi intraprendere una strada già verificata come fallimentare, baloccandoci con l’idea –o l’ideologia- delle prostitute autonome e per libera scelta (“professioniste” che l’associazione Papa Giovanni XXIII, impegnata su questo fronte, valuta in un esiguo 5 per cento)? La consigliera Martelli dice che “se c’è da cambiare la legge Merlin, va bene, facciamolo”. Ma prima di cambiarla e di fare stupidaggini contro le donne, proviamo quanto meno a dare un occhio alla risoluzione europea proposta dall’inglese Mary Honeyball e approvata a maggioranza, secondo la quale sfruttamento sessuale e prostituzione hanno pesanti conseguenze sulla parità tra i sessi, e che indica come prioritaria la lotta alla tratta e allo sfruttamento, utilizzando come strumento la punibilità di chi acquista servizi sessuali e non di chi li vende. Ecco alcuni passaggi della risoluzione, interessanti anche per i clienti irriducibili: chissà che non si smuova qualcosa nelle loro coscienze ottusamente testosteroniche.

 La prostituzione è una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana.

La maggioranza delle persone che praticano la prostituzione sono persone vulnerabili all’interno della nostra società.

Vi è un impatto della crisi economica sul crescente numero di donne e ragazze minorenni, comprese le donne migranti, obbligate a prostituirsi.

L’80-95 per cento delle persone che praticano la prostituzione ha subito forme di violenza prima di iniziare a prostituirsi (stupro, incesto, pedofilia), il 62 per cento riferisce di avere subito uno stupro e il 68 per cento soffre di un disturbo post-traumatico da stress, (una percentuale analoga a quella delle vittime di tortura).

La prostituzione e la prostituzione forzata sono fenomeni di genere che coinvolgono circa 40-42 milioni di persone al mondo, la grande maggioranza delle persone che si prostituiscono è costituita da donne e ragazze minorenni, quasi tutti i clienti sono uomini e la prostituzione è pertanto al contempo causa e conseguenza di una disparità di genere che aggrava ulteriormente.

Lo sfruttamento della prostituzione è strettamente legato alla criminalità organizzata.

Qualsiasi politica in materia di prostituzione influisce sul conseguimento della parità di genere, sulla comprensione delle questioni di genere e trasmette messaggi e norme alla società, compresi i giovani.

La prostituzione e la prostituzione forzata incidono sulla violenza contro le donne in generale, dal momento che le ricerche sugli acquirenti di servizi sessuali dimostrano che gli uomini che acquistano sesso hanno un’immagine degradante delle donne; si suggerisce quindi alle autorità nazionali competenti di affiancare al divieto di acquistare servizi sessuali una campagna di sensibilizzazione tra gli uomini.

La normalizzazione della prostituzione ha un impatto sulla violenza contro le donne: dati dimostrano come gli uomini che acquistano servizi sessuali siano più inclini a commettere atti sessualmente coercitivi e altri atti di violenza contro le donne e spesso mostrino tendenze misogine.

I mercati della prostituzione alimentano la tratta di donne e minori e aggravano la violenza nei loro confronti soprattutto in paesi in cui l’industria del sesso è stata legalizzata.

I dati dimostrano che la criminalità organizzata svolge un ruolo di rilievo laddove la prostituzione è legale.

Depenalizzare l’industria del sesso in generale e rendere legale lo sfruttamento della prostituzione non è una soluzione per proteggere donne e ragazze minorenni vulnerabili dalla violenza e dallo sfruttamento, ma sortisce l’effetto contrario.

Il modo più efficace per combattere la tratta di donne e ragazze minorenni a fini di sfruttamento sessuale e per rafforzare la parità di genere segue il modello attuato in Svezia, Islanda e Norvegia (il cosiddetto modello nordico), e attualmente in corso di esame in diversi paesi europei, dove il reato è costituito dall’acquisto di servizi sessuali e non dai servizi resi da chi si prostituisce.

La riduzione della domanda dovrebbe essere parte di una strategia integrata per la lotta contro la tratta di esseri umani negli Stati membri; la riduzione della domanda può essere raggiunta mediante disposizioni legislative che facciano ricadere l’onere criminale su chi acquista servizi sessuali piuttosto che su chi li vende, nonché mediante l’imposizione di ammende per rendere la prostituzione finanziariamente meno remunerativa per le organizzazioni criminali/la criminalità organizzata.

 

* dal ddl Spilabotte:

“1. Per l’esercizio volontario della prostituzione
è necessario:
a) comunicare presso una qualunque
sede delle camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura (CCIAA) presenti
sul territorio nazionale l’intenzione di esercitare
la professione;
b) corredare la comunicazione di un
certificato di idoneità psicologica ottenuto
presso una qualunque azienda sanitaria locale
(ASL) sul territorio nazionale, che attesti
la effettiva volontà personale ad esercitare
la professione, in assenza di condizioni
psicologiche che evidenzino stati di vulnerabilità,
costrizione, debolezza e che sia anche
strumento di informazione circa le misure
volte a favorire l’inserimento sociale di coloro
che vogliono uscire ed affrancarsi dalla
prostituzione;
c) il pagamento anticipato, su conto
corrente intestato alla CCIAA alla quale si
è scelto di effettuare la comunicazione, di
una somma stabilita in euro 6.000 per l’esercizio
full-time e in euro 3.000 per l’esercizio
part-time, specificando tre dei giorni della
settimana durante i quali si decide di esercitare.
2. È facoltativo allegare alla comunicazione
di cui al comma 1 un certificato di
sana e robusta costituzione che escluda la
positività a qualunque malattia che potrebbe
essere trasmessa per via sessuale”.

 

 

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, Politica, questione maschile Febbraio 12, 2015

Ancora sulla prostituzione “legale”: parla Alessandra Bocchetti

Alessandra Bocchetti

Pubblico (e condivido senza riserve) questo intervento di Alessandra Bocchetti

IL BISOGNO DI SESSO E’ UNA REALTA’ CHE RIGUARDA UOMINI E DONNE

L’idea di dedicare alcune strade della capitale alla compravendita del sesso mi ha sgradevolmente colpito, così come l’idea più generale di regolamentare la prostituzione con tanto di elenchi depositati alla Camera di Commercio e ricevute fiscali.
Abbiamo una legge che proibisce il favoreggiamento della prostituzione, l’adescamento, la compravendita dei corpi, questo dovrebbe bastare.

A chi ci dice che è un problema di ordine pubblico rispondo semplicemente che la legge va rispettata.

A chi ci dice che è un bisogno naturale forte che si deve soddisfare, rispondo che siamo contrarie a considerare la sessualità maschile al di sopra delle leggi. Il bisogno di sesso è una realtà che riguarda uomini e donne, senza che questo debba produrre scandalo, sottomissione, schiavitù e perdita di dignità. I corpi non si comprano e non si vendono, chi lo fa lo fa per un gioco perverso, dato che ormai c’è libertà sessuale di tutti, o per avidità di denaro e mi rincresce pensare che questo gioco continui a cercare autorizzazioni pubbliche. Disgraziati e disgraziate invece sono coloro che lo fanno per poter sopravvivere, per mangiare e dar da mangiare o per paura. Di questo e non di altro lo Stato si dovrebbe preoccupare.

A chi ci dice che questo “ordine” nella prostituzione può contrastare la tratta degli esseri umani e la schiavitù, rispondo che, tra i servizi segreti, polizia internazionale e polizia di casa nostra, tratta e schiavitù potrebbero essere eliminate in poco tempo se solo lo si volesse veramente. Non è così.
E’ questo il vero problema da affrontare: la grande autorizzazione e connivenza che, implicite e esplicite, fanno vivere la prostituzione.

AMARE GLI ALTRI, Corpo-anima, esperienze Febbraio 6, 2015

Nascono in Toscana gli “assistenti sessuali” per disabili

Che l’iniziativa farà molto discutere è certo. Ma i corsi per i trenta aspiranti “assistenti sessuali” (love giver), una dozzina di week end teorico-pratici, dovrebbero partire a breve in Toscana, prima regione a riconoscere il diritto delle persone disabili a un soddisfacimento sessuale.

Gli argomenti di possibile discussione sono molti: dall’attenzione pubblica nei riguardi di un bisogno che alcuni potrebbero ritenere secondario rispetto ad altri; al fatto che il confine fra l’attività assistenziale e quella prostitutiva potrebbe apparire pericolosamente labile; fino all’ovvia domanda: gli assistenti sessuali sarebbero volontari o professionisti retribuiti?

Anche se probabilmente in cima ai problemi c’è la difficoltà di rompere il tabù che ci fa ritenere naturalmente “angelicate” e libere da impulsi sessuali donne e uomini portatori di disabilità.

Proviamo a parlarne con sincerità e con garbo.

p.s. io sto rimuginando qualche pensiero. La domanda che mi faccio: può essere questa la risposta a quella domanda?

Interverrò nella discussione. Intanto posto un documento che leggete come primo commento.

Corpo-anima, Donne e Uomini, Politica, salute Dicembre 15, 2014

Parlare d’aborto con un antiabortista: Luigi Amicone, direttore di “Tempi”

Luigi Amicone è fondatore e direttore della rivista “Tempi”. Wikipedia lo definisce “esponente dei teocon”. Di sicuro è un cattolico fervido e intelligente. Parlo di aborto con lui, perché parlarne con le mie amiche è troppo facile.

Mettiamo i piedi nel piatto, senza preamboli. La legge 194 ormai non esiste quasi più causa obiezione di coscienza, che supera il 70 per cento, con punte del 90, e molti casi di obiezione di struttura come il Policlinico, il più grande ospedale di Roma.

La legge 194 è nata a tutela della maternità. Questo spirito è andato via via perdendosi. Della legge è rimasta la “conquista” dell’aborto. Se c’è una cosa da recuperare è quello spirito originario, frantumando le cristallizzazione ideologiche estreme: da una parte chi pensa all’aborto come a una bandiera di libertà, elaborazione cinica di un dramma umano; dall’altra le manifestazioni dei pro-life che fanno i funerali agli embrioni. Io sono per la difesa della vita, dal concepimento alla morte, ma non mi pare che la posizione dei pro-life, la preghiera brandita come memento mori, sia così utile alla causa. Paola Bonzi, fondatrice del Centro Aiuto alla Vita in Mangiagalli, è una che non ha mai fatto crociate: è costantemente presente là dove le donne soffrono, e il primario Alessandra Kustermann rispetta il suo impegno. Due donne ai poli estremi che dimostrano come si può affrontare la questione”.

Resta il fatto che tante oggi sono costrette agli aborti clandestini e fai-da-te da un’obiezione in gran parte opportunistica. Vero che non si può frugare nelle coscienze per discernere il grano dal loglio. Ma la non applicazione della legge serve solo ad aumentare il rischio per le donne, non a diminuire il numero degli aborti. Non c’è riduzione del danno, ma aumento del danno. E tu sai che il Consiglio d’Europa ci richiama ad applicare la 194.

“L’Europa pensa l’aborto come un ordinario evento della vita riproduttiva”.

Veramente l’Europa ha bocciato la risoluzione Estrela…

“Comunque in Europa circola l’idea un po’ orwelliana del diritto d’aborto come un fatto di progresso. A questo tipo di legalità preferisco l’illegalità“.

Stai dicendo una cosa enorme. Spero tu non intenda dire che preferisci la clandestinità, con i rischi che comporta. Spero che tu intenda dire che preferisci la depenalizzazione, ovvero l’abolizione del reato d’aborto: ti ricordo che oggi l’aborto non è reato soltanto se praticato nelle strutture pubbliche. La depenalizzazione fu un’opzione minoritaria nel movimento delle donne: forse ci si dovrebbe ripensare.

Depenalizzazione, forse. Ma anche libertà delle coscienze. D’accordo sul fatto che mettere a rischio la salute delle donne non aiuta. Ma faccio notare che il primo rischio è per la pelle dei bambini. La depenalizzazione, ovvero la possibilità di attuare in sicurezza gli interventi fuori dalle strutture pubbliche, potrebbe essere un’idea da pensare. Anche se poi si aprirebbe il pericolo di un mercato degli aborti”.

E invece l’ipotesi di concorsi pubblici che riservino metà dei posti ai non-obiettori?

“Non puoi chiedermi questo! Io mi augurerei il cento per cento di obiezione”.

Be’, quasi ci siamo arrivati. Quindi a te va bene andare avanti su questa strada. Cioè fare finta che non applicando la legge l’aborto sparisce. Ignorare il problema è buona politica?

“Forse non è buona politica. Forse, ripeto, la depenalizzazione potrebbe essere una soluzione. Ma so che i fatti determinano cultura. Anche con la depenalizzazione l’aborto verrebbe banalizzato. Forse la vera cosa da fare sarebbe vietare l’aborto su tutto il territorio nazionale e costringere le donne ad andare all’estero…”.

Stai provocando? La tua logica è punire le donne. Non è così che gli aborti diminuiranno.

“E’ una provocazione per dire che quello su cui si dovrebbe davvero lavorare è una cultura dell’accoglienza. Fare sapere a tutte le donne che non sono in condizioni di avere un bambino che possono metterlo al mondo lo stesso, che ci sarà qualcun altro a prendersi cura di lui. Per esempio le ruote degli innocenti, ti ricordi?”.

Ci vorrebbero piuttosto le ruote dei dirigenti: la maternità incide per lo 0.23 per cento nei bilanci aziendali, dice Federmanager. Eppure le madri sono viste come un pericolo per la produttività. E’ un fatto di cultura che stenta a cambiare.

“Il mio pensiero è questo: lotta a tutto campo perché le donne non siano impedite a fare bambini, a partire dal mondo del lavoro. E accoglienza per tutti i bambini, anche quelli non voluti. Cominciando per esempio con il facilitare le adozioni“.

Mi permetto di ricordarti che più le donne lavorano, più figli fanno: c’è una proporzionalità diretta e verificata. E invece restiamo inchiodati all’idea che le donne fanno più figli se stanno a casa.

“Lasciamelo ridire: se io fossi al governo lancerei la sfida del divieto di aborto su tutto il territorio nazionale.

Insisti? Ripeto che il divieto c’è già nei fatti, con questi livelli di obiezione.

“Ma quanti migliaia di aborti sono stati praticati dal 1978 a oggi? Troviamo il modo per fare crescere la natalità, pensiamo anzitutto a questo. Siamo il Paese più vecchio del mondo dopo il Giappone: denatalità è sinonimo di declino economico e sociale. Investiamo su questa grandezza femminile, il fatto di poter dare la vita. Diamo valore a questa potenzialità, costruiamo accoglienza. Poi anche la depenalizzazione ci può stare, ma non la metterei al centro delle politiche”.

Su questo si può discutere. Però discutiamone. Smettiamola di fare finta di niente.

p.s: facile confrontarsi solo con chi la pensa come te.

Corpo-anima, diritti, Femminismo, salute Novembre 28, 2014

Policlinico Roma: niente più aborti causa obiezione. Ecco una proposta per uscirne. Ma serve la lotta di tutte

Il cartello affisso al Policlinico di Roma

Policlinico Umberto I, Roma. L’ultimo non obiettore è andato in pensione. Il servizio Ivg è sospeso.

Non è il primo caso nè l’unico di “obiezione di struttura” in Italia. Ma il Policlinico è il più grande ospedale di Roma. Ora la direzione sanitaria sta cercando «un giovane ricercatore o associato da destinare all’attività assistenziale». Al netto delle responsabilità sul singolo caso, che devono essere accertate (direttore generale, direttore sanitario e di presidio, fino al ministero per la Salute), il caso del Policlinico è solo la punta di un iceberg: in Lazio l’obiezione di coscienza è al 90 per cento e costringe le utenti a migrare in altre regioni, l’obiezione media in Italia supera ampiamente il 70 per cento, con intere regioni sostanzialmente scoperte.

A quanto pare, e nonostante il Consiglio d’Europa pochi mesi orsono abbia condannato L’Italia che “a causa dell’elevato numero degli obiettori di coscienza viola i diritti delle donne”, il governo Renzi non intende affrontare la questione. La logica -del tutto insensata- è che se la 194 non sarà più applicata, non vi saranno più aborti. La non applicazione della legge garantisce invece solo una crescita esponenziale degli aborti clandestini e fai-da-te (il moderno prezzemolo sono i farmaci antiulcera), con gravissimo rischio per la vita delle donne.

Molte e molti indicano come soluzione la proibizione dell’obiezione. Ma questa strada non è praticabile, e scatenerebbe raffiche di ricorsi. L’obiezione di coscienza -che si spieghi con effettive ragioni di coscienza o che sia solo opportunistica- è un diritto sancito dall’articolo 9 della legge 194, che è una legge a rilevanza Costituzionale, oltre che dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, laddove sancisce che “gli stati membri sono tenuti a organizzare i loro servizi sanitari in modo da assicurare l’esercizio effettivo della libertà di coscienza dei professionisti della salute”.
Ma la Corte di Strasburgo afferma che ciò non deve impedire ai pazienti di accedere a servizi a cui hanno legalmente diritto (sentenza della Corte del 26.5.2011). L’Europa quindi sostiene la necessità che lo Stato preveda l’obiezione a condizione che non ostacoli l’erogazione del servizio.

La soluzione, quindi, non può essere il divieto di obiezione. C’è un’altra strada che merita di essere considerata, e sostenuta con la lotta: che ogni reparto di ostetricia preveda il 50 per cento di medici non obiettori, con presenza H24 di un’équipe che garantisca l’intera applicazione della legge 194, dalla prescrizione della pillola del giorno dopo all’aborto terapeutico, e consenta così la rotazione del personale medico e paramedico.

Questa soluzione si fonderebbe su almeno due sentenze: una sentenza del TAR PUGLIA (14/09/2010, n. 3477, sez. II) afferma infatti che “ è possibile predisporre per il futuro bandi finalizzati alla pubblicazione dei turni vacanti per i singoli Consultori ed Ospedali che prevedano una riserva di posti del 50% per medici specialisti che non abbiano prestato obiezione di coscienza e al tempo stesso una riserva di posti del restante 50% per medici specialisti obiettori”; un’altra sentenza del TAR dell’Emilia Romagna  (sez. Parma, 13 dicembre 1982, n. 289, in Foro amm. 1983, 735 ss), sostiene “la clausola che condiziona l’assunzione di un sanitario alla non presentazione dell’obiezione di coscienza ai sensi dell’art. 9 risponde all’esigenza di consentire l’effettuazione del servizio pubblico per il quale il dipendente è assunto, secondo una prospettiva non estranea alle intenzioni del legislatore del 1978”.

L’alternativa è solo la depenalizzazione dell’aborto, ipotesi che negli anni Settanta fu sostenuta solo da una minoranza del movimento delle donne. In sostanza: non sia lo Stato a occuparsi della questione, si consenta al privato di praticare interruzioni di gravidanza (con le indispensabili garanzie igienico-sanitarie) senza che questo costituisca reato. La 194 invece stabilì che l’aborto non è perseguibile come reato unicamente se praticato nelle strutture pubbliche.

Una cosa è certa: qualunque sia la soluzione individuata contro la non applicazione della 194, senza una lotta massiccia e diffusa delle donne di questo Paese non si arriverà da nessuna parte.

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze Ottobre 31, 2014

Il Ceo di Apple è gay: e dove sta la notizia?

Tim Cook, Ceo di Apple

Tim Cook, Ceo di Apple, decide il coming out globale e rivela di essere gay,uno dei più grandi doni che Dio mi ha fatto“. E finisce in prima pagina sui giornali di tutto il mondo.

Bene, mi sono detta: dove sta la notizia? Lui dice: “se sapere che il Ceo di Apple è gay può aiutare una persona in difficoltà ad accettarsi, o essere di conforto a chi si sente solo, o di incoraggiamento a chi rivendica la propria uguaglianza, vale la pena di rinunciare per questo alla mia privacy“.

Non sono omosessuale, forse ho meno titoli per parlare di queste cose. Ma l’operazione non mi convince affatto. Mi suona così: anche se sei gay puoi diventare perfino Ceo di Apple. Insomma, la notizia perpetua lo stupore che a quanto pare dovremmo provare se un uomo a cui piacciono gli uomini o una donna a cui piacciono le donne raggiungono gli apici della carriera, guadagnano un’ottima posizione professionale, fanno splendidi business o cose del genere, confermando l’eccezionalità di questi traguardi per un non-etero.

Ve lo vedete un maschio Ceo o ministro o altro scrivere una lettera pubblica in cui rivela: a me piacciono le donne?

Il fatto è che io conosco molte persone omosessuali in ottime posizioni. Per fare un esempio “settoriale”, ho sempre pensato che le lesbiche sono politiche particolarmente brave e audaci perché non si pongono il problema di compiacere gli uomini, e ne conosco parecchie. Sono sicura che la stragrande maggioranza dei miei concittadini e delle mie concittadine, di fronte ai luminosi successi di una persona omosessuale, non commenta: “Wow, guarda dov’è arrivato/a, nonostante sia gay“. E ormai da tempo non ho molto interesse riguardo all’orientamento sessuale di chi mi sta di fronte: se uno/a sia etero o omo non è certo fra le prime domande che mi faccio, quando lo/a incontro, ritenendola una domanda fortemente condizionata e condizionante. Non penso che il coming out sia sempre e comunque la miglior cosa da fare, per sé e per gli altri. Né penso che chi fa coming out sia necessariamente più coraggioso o più risolto di chi non lo fa.

Quindi nell’uscita di Tim Cook, senz’altro animato dalle migliori intenzioni (a meno che non si tratti di un’operazione di marketing, serie: Apple è gay friendly), paradossalmente vedo il rischio di un passo indietro sul fronte dei diritti delle persone LGBT.

Ma forse sbaglio, ditemi voi.