La notizia è che alcune imprese di Silicon Valley (Facebook, Apple) hanno deciso di rimborsare la crioconservazione degli ovociti alle proprie dipendenti.

Il social egg freezing è una pratica di grande utilità per quelle donne che, dovendo sottoporsi a chemioterapia o altre terapie invasive, congelano i propri ovuli per non privarsi della possibilità avere figli in futuro. La pratica si va tuttavia diffondendo anche tra donne in età fertile che non possono fare figli per ragioni diverse da una malattia: perché non hanno un partner, perché non hanno una casa, perché non ottengono un mutuo, perché non ci sono servizi, perché nessuno potrebbe aiutarle nel lavoro di cura, perché non hanno un lavoro o perché il lavoro è precario, o perché non possono interrompere la carriera. La speranza è di poter conquistare nel tempo condizioni economiche, sociali e relazionali migliori, e di poter intraprendere una gravidanza alla scadenza dell’età fertile con il patrimonio di ovuli di un tempo (sempre che ci si riesca: in campo di fecondazione assistita il numero degli insuccessi continua a prevalere su quello dei successi, ma non si dice mai).

In sostanza queste giovani donne sono impedite nel loro desiderio di avere figli come se fossero malate. Il fatto è che le malate non sono loro. Malato è il mondo che esercita questa violenza su di loro -una specie di sterilizzazione forzata-, costringendole a non concepire all’età giusta o ad abortire nel caso in cui il corpo, ribellandosi alla pianificazione obbligatoria, dia corso al loro desiderio inconscio.

Abbiamo trovato rivoltante l’obbligo al figlio unico in Cina, ma non siamo capaci di leggere la brutalità di questo diktat occidentale. La teologa femminista Mary Daly ha affermato che “la libertà riproduttiva delle donne è repressa ovunque”. Pensiamo all’autodeterminazione come alla libertà di non avere figli se non si vogliono, e mai come alla libertà di avere figli come e quando si vogliono (libertà che comprende la prima).

Ho parlato recentemente di queste faccende ai ragazzi del liceo Manzoni di Milano: sono stati loro a voler discutere delle Sixteen and Pregnant, delle giovanissime “disubbidienti” che fanno un figlio da ragazzine e in condizioni socioeconomiche pessime, leggendo in quei comportamenti un segno di ribellione al mainstream che interpreta la maternità come un lusso per cui combattere (comportamenti da non riprodurre! ho raccomandato loro).

Che Apple e Facebook abbiano deciso per questo benefit alle dipendenti, che nella Valle del Futuro, dove si concentrano le imprese dell’economia digitale, si concepisca il rimborso del social egg freezing, indicando il differimento della maternità sine die come idea all’avanguardia, costituisce un salto simbolico di un certo rilievo. Insomma: congelare gli ovuli è una cosa moderna, buona e giusta, hightech come uno smartphone. Perché compromettere la tua luminosa carriera -e rompere i c…ni alla tua direzione del personale- quando hai a disposizione tutti i mezzi per rinviare la maternità più a lungo possibile, eventualmente per sempre? Molto più smart essere “madri maschili” (sempre Mary Daly), espropriate della propria potenza riproduttiva che viene docilmente consegnata al business dei centri antisterilità. Una sorta di “dimissioni in bianco” ma più moderne, tecnologiche e women friendly. Insomma: non ti caccio se fai un figlio, ma ti pago per non farne.

Quello che sconcerta, e che mi induce a ipotizzare una sorta di “analfabetismo femminista”, è l’entusiasmo con cui tante hanno accolto la notizia del nuovo benefit in Silicon Valley. Traggo dai social network:

“Questo “benefit” proposto da FB e Apple alle sue impiegate lo ritengo un’ottima iniziativa. Infatti, se per le donne è già difficile fare carriera quando si è (non vorrei dire “sterile) senza figli, con i figli è praticamente impossibile, a meno che non si lavori in proprio. D’altronde, negli anni 70, un saggio di Elizabeth Badinter intitolato “L’amour en plus” proponeva che la maternità venisse delegata a delle donne preposte alla funzione procreativa. Laicamente parlando, se non ammettiamo che la maternità é ancora e sempre sarà un ostacolo sia al lavoro sia alla carriera non andremo mai da nessuna parte”.

“Ritengo che siano scelte, quelle del rinvio o di accesso alla PMA o al criocongelamento di gameti che siano e debbano essere sempre personali e da non giudicare. Da rispettare semmai”.

Un figlio tra i venti e i trent’anni oramai è un’utopia anche nei paesi più evoluti anzi forse proprio nei paesi più evoluti. Le ragazze finiscono di studiare a 25 quando va tutto bene e non fanno master”.

“Mi sembra una cosa assolutamente positiva. Altrimenti questi vantaggi della tecnologia rimarranno a vantaggio dei facoltosi, lasciando a noi poveri comuni mortali le briciole…”.

è un bene che le cure contro la sterilità vengano a far parte di un’associazione sanitaria aziendale e come la scelta di mettere al mondo un figlio venga incoraggiata con un sostegno concreto. Mica come in Italia”.

Si dovrebbe lottare contro quegli impedimenti -economici, sociali, relazionali, culturali- che ostacolano il desiderio di avere figli quando il corpo li sa e li vuole fare, prevenire l’infertilità da continuo rinvio e da altro, e non lottare contro il corpo femminile “indisciplinato” per piegarlo alle esigenze del profitto. Questo sarebbe il lavoro politico da fare.

Che tante donne che si dichiarano “femministe” collaborino all’agguato alla libera potenza materna, intendendo questo come un progresso e un’occasione di libertà, è un fatto che andrebbe posto con urgenza al centro della discussione.   

p.s. si potrebbe anche pensare a un superbonus aziendale per legatura tube o asportazione utero. Così archiviamo definitivamente la pratica e non ne parliamo più.

 

 

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