Anna ha 32 anni, vive in Sicilia, è laureata in Scienze Politiche e lavora in una società finanziaria. Soffre di policistosi ovarica, e ha messo al mondo due gemellini con fecondazione assistita. Dalla stimolazione ovarica a cui si è sottoposta sono “avanzati” 11 ovociti congelati. Dopo averne parlato con suo marito, Anna ha deciso di donare i suoi ovociti: 6  a coppie con problemi di infertilità, 5 alla ricerca.

La interrogo sulla sua esperienza. Il tono di Anna è piuttosto infervorato:

 

“E’ stata una scelta di civiltà. L’ho fatto per il mio Paese, non sopporto che si debba andare all’estero per una donazione di ovociti o di seme. Un giorno potrebbe capitare anche ai miei figli. Bisogna passarci per capire che cos’è”.

Come è arrivata alla decisione?

“Avevo questi ovociti congelati, ne ho discusso con mio marito. Abbiamo deciso di donarli e mi sono rivolta a un centro per la fecondazione assistita”.

Gli ovociti sono già stati utilizzati?

“Ancora no”.

Come la sta vivendo?

“In modo del tutto sereno. Solo chi conosce il problema può comprendere. Gli altri magari lo capiscono di testa, ma è un’altra cosa, mi creda”.

Il resto della famiglia è a conoscenza del suo dono?

“I miei sì, e sono d’accordo. Poi magari ci sono zie e cugini che restano perplessi”.

Non è semplice come donare il sangue…

“Ovvio che ci sia qualche difficoltà, ma è solo questione di mentalità. Se posso aiutare una coppia perché non dovrei farlo? Avendo una policistosi ovarica la stimolazione mi ha fatto produrre molti ovociti. Non ho dimenticato nulla del mio percorso. Lì sì che è stata dura, non la donazione”.

Ha sofferto molto?

“15 giorni ricoverata con flebo di albumina. Non potevo camminare. Avevo liquido nell’addome che arrivava fino ai polmoni. Un calvario. Non capita sempre così con le stimolazioni ovariche. A me è successo per la mia patologia. Non voglio che altre soffrano come ho sofferto io”.

Secondo lei è possibile che qualcuna decida di sottoporsi a stimolazione ovarica all’unico scopo di donare i suoi ovociti?

“Molto difficile, credo. Ci saranno anche donne che lo fanno, ma ci vuole una grande motivazione, una grande consapevolezza. Più facile che le donazioni avvengano quando ci sono ovociti in più, come nel mio caso”.

Che effetto le fa l’idea di avere al mondo figli genetici che non incontrerà mai?

“Nessun effetto. Non ci penso affatto. L’unica speranza è che chi utilizzerà i miei ovociti lo faccia in piena consapevolezza, e voglia bene a quel bambino. La genetica non ha niente a che vedere con i sentimenti“.

Mi pare un’affermazione categorica. Per altri non è così.

Non penso a quei bambini come a miei figli e come a fratelli dei miei gemellini. Sono figli di chi li chiamerà al mondo”.

La sua donazione è anonima, la legge italiana dispone così. Ma se un giorno uno di quei bambini manifestasse il desiderio di conoscerla?

“Non so. Da un lato potrei essere incuriosita. Ma dall’altro non vedo la necessità di questo incontro”.

A quanto pare la vedono molti nati da eterologa. Proprio in seguito ai loro ricorsi le legislazioni di molti paesi sono passate dall’anonimato al non anonimato.

“Sinceramente non mi sono posta il problema. Ho pensato ai bisogni della coppia, non ai bambini“.

Il fatto è proprio qui. Le leggi e le convenzioni internazionali convergono sul superiore diritto del minore. Al centro dovrebbero stare i suoi bisogni, non quelli della coppia.

“Bisogna passarci per sapere cos’è, non riuscire ad avere un figlio”.

Immagino sia una grande frustrazione e un grande dolore. Ma i diritti di chi viene chiamato al mondo vengono prima di tutto.

“Ma se si può fare qualcosa per aiutare queste coppie perché non si dovrebbe?”.

Glielo diranno, quando utilizzeranno i suoi ovociti?

“Sì. Ho chiesto anche di essere informata sul decorso dell’eventuale gravidanza, e di sapere quando il bambino nasce“.

Perché?

“Per curiosità. Mi interesserebbe saperlo”.

Pensa che proverà qualche emozione?

“Felicità per la donna, per il fatto di essere riuscita ad aiutarla”.

E per il bambino?

“No, non credo. L’unica cosa che conta è che sia amato“.

 

(grazie ad Aidagg, associazione di donatori di gameti, per il contatto con Anna)

 

 

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