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Donne e Uomini, femminicidio, Femminismo, Politica, questione maschile Marzo 5, 2015

Violenza, oppressione, islamizzazione: l’8 marzo delle sorelle turche

Beren Saat, popolare attrice turca: ha raccontato le violenze subite

Dunque: “State a casa e fate figli, almeno tre, perché il destino che l’Islam riserva alle donne è quello di essere madri” (Recep Tayyip Erdogan, presidente turco). Se siete incinte, non andate per strada a esibire le pance (Akp, partito al governo). Non ridete in pubblico perché è peccaminoso (Bulent Arinc, vicepremier). “Gli studenti maschi seguano le ragazze che indossano minigonne e le facciano sentire a disagio, cosi dovranno vestirsi decentemente” (preside della Kepez Atatürk Anatolian High School di Antalya). E poi c’è il capitolo drammatico delle violenze, che, sintomaticamente, sarebbero aumentate del 400 per cento da quando è al potere il partito islamico Akp. La clamorosa protesta degli uomini in minigonna (#ozgecanicinminietekiy, una minigonna per Ozgecan) ha raccontato al mondo la rabbia per la morte di Ozgecan Aslan, 20 anni, studentessa di psicologia di Mersin picchiata, stuprata, uccisa e bruciata dall’autista di un minibus di cui era rimasta l’ultima passeggera.

Marta Ottaviani scrive di Turchia e Grecia per “La Stampa”, “Avvenire” e “East”. Le chiedo se condizione delle donne turche è davvero drammatica come appare.

“La violenza sulle donne è un fatto atavico e tribale, ma negli ultimi anni ha assunto rilevanza politica. Erdogan c’è entrato a gamba tesa, dando voce alla cultura più retriva. Per esempio, ha cercato di riscrivere la legge sull’aborto, che ha un impianto molto simile a quello della nostra 194, facendolo tornare reato”.

Mi pare che le turche reagiscano vivacemente e compattamente.

“Le più attive sono femministe di Amargi e le associazioni Kader e Mor Cati. All’assassinio di Ozgecan Aslan sono seguite proteste impressionanti, la popolazione ha sentito moltissimo la vicenda. Oltre agli uomini in minigonna, finiti su tutti i media occidentali, c’è stata la grande mobilitazione su Twitter: tantissime donne hanno raccontato le violenze subite. Beren Saat, attrice molto popolare, ha suscitato grande scalpore raccontando di essere stata palpeggiata dal produttore in occasione di uno show tv di grande audience”.

Perché a Erdogan conviene politicamente una fisionomia da anti-Ataturk, il grande modernizzatore della Turchia?

“Non dobbiamo pensare alla Turchia come se fosse solo Istanbul o Ankara. L’Anatolia resta molto arretrata e conservatrice, è lì che Erdogan pesca il più dei suoi consensi. Da quando è presidente ha tutto in mano, con sfumature di onnipotenza delirante: per esempio, le foto da neo-sultano con il presidente dell’Autorità Nazionale palestinese Abu Mazen tra due ali di soldati bardati come guerrieri ottomani”.

Non è “Il Trono di Spade”, ma il presidente turco Erdogan con Abu Mazen e i guerrieri ottomani

Negli anni Venti l’occidentalista Mustafa Kemal Ataturk abolì il califfato, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, proibì il velo in pubblico, abrogò ogni norma giuridica riconducibile alla legge islamica, legalizzò le bevande alcoliche e depenalizzò l’omosessualità. Una modernizzazione imposta e tumultuosa, ma forse solo apparente. La Turchia profonda non l’ha seguito?

“Anche per la sua posizione geografica la Turchia è sempre stata un Paese borderline, incerto tra le sirene occidentali e l’oriente islamico. Durante l’Impero Ottomano ci furono sultani occidentalizzati e altri più tradizionalisti. Erdogan si è presentato inizialmente come un modernizzatore, ma da tempo la sua politica sembra voler segnare la fine del kemalismo. Proprio ieri ha voluto ricevere il leader della Bosnia a bordo dello yacht che appartenne ad Ataturk, come a voler contrapporre simbolicamente la propria personalità quella di Mustafa Kemal. Da giugno è proibita la pubblicità degli alcolici, anche i claim della birra nazionale sono vietati. Il fatto di non portare il velo non è più una libera scelta, ma sta diventando un segno di opposizione politica. Le barbe e gli abiti islamici tradizionali, che erano fuorilegge, sono ricomparsi nei quartieri periferici di Istanbul. Nessuno osservava il Ramadan: oggi, anche opportunisticamente, se vuoi lavorare per certe aziende o ottenere certi incarichi non puoi esimerti. La condizione attuale delle donne turche si iscrive in questo quadro. Alle grottesche dichiarazioni di Erdogan o di Arinc corrispondono politiche precise. E l’islamizzazione aggrava la condizione femminile, specie nelle zone più arretrate e tribali del Paese “.

Bizzarro che la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne porti il nome di Convenzione di Istanbul.

“Al governo turco non dispiace esibire una certa modernità di facciata”.

La non-ammissione della Turchia in Europa ha dato una mano ai tradizionalisti?

“A Erdogan non è mai importato davvero entrare in Europa: l’Ue semmai gli è servita per liquidare i conti con i militari e con certi giudici scomodi. Anche i cittadini e le cittadine non ci hanno mai del tutto creduto. Certo: ponendo paletti inaggirabili, l’Europa ha finito per sospingere la Turchia verso Oriente”.

A Erdogan sembra sembra importare poco anche della minaccia Isis: i veri nemici restano i curdi, molti foreign fighters passano indisturbati dalle frontiere turche.

“Un paio di settimane fa l’esercito turco si è inoltrato in Siria, a pochi chilometri da Kobane, per prelevare la tomba di uno storico leader ottomano e riportarla in Turchia. Isis non ha disturbato l’operazione. La sensazione è che vi siano canali aperti trale bandiere nere e il governo Erdogan“.

Che 8 marzo sarà, quello delle sorelle turche?

“Un 8 marzo di orgoglio e consapevolezza. Le turche non hanno intenzione di mollare, hanno un’incredibile grinta, senza distinzione tra velate e non velate. In primo piano c’è il tema della violenza, ma anche il lavoro e l’ingerenza della famiglia nelle scelte delle donne sono questioni molto sentite

 

 

 

 

 

 

Donne e Uomini, femminicidio, Politica, questione maschile Novembre 25, 2014

25 novembre, Sagra della Violenza. E Case delle Donne a rischio chiusura

Una nota azienda di cereali per la prima colazione “festeggia” il 25 novembre. In giro per l’Italia ci sono Festival della Violenza (sic!), sagre e perfino dinner party “Scarpette Rosse”. Insomma, mancano i cioccolatini e i bouquet “antiviolenti” da regalare all’amorosa e abbiamo businessizzato, marketinghizzato, mediatizzato, televisionizzato, spettacolarizzato pure la lotta contro violenza e femminicidio, che si arricchisce di giorno in giorno di pericolosissimi esperte/i improvvisati, di nuovi sportelli e centri last minute affidati alle clientele politiche e alle amiche degli amici, nati unicamente per intercettare fondi dedicati.

Intanto le persone serie che sulla faccenda lavorano in silenzio da decenni e molto spesso senza aiuti pubblici, penso per esempio alla Casa delle Donne Maltrattate di Milano e a molte altre realtà, rischiano di chiudere bottega per cedere il passo a questo mix tra istituzionalizzazione, burocratizzazione, business e showbitz. Qui diamo l’allarme da tempo, ma le cose vanno peggio di come si era temuto.

Il 27 novembre, dopodomani, la Conferenza Stato-Regioni presenterà le linee guida per i centri, elaborate dal Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio (una ministra autonoma Matteo Renzi non l’ha voluta). Linee guida obbligatorie per accedere ai finanziamenti pubblici, che contravvengono ai metodi di intervento maturati in anni e anni di esperienza sul campo: la logica è “mettere in sicurezza le donne”, come disse qualcuna (Fabrizia Giuliani, parlamentare Pd) ai tempi del decreto omnibus contro il femminicidio. E’ trattarle come minori “malate” da tutelare e non come soggetti che, in relazione con altre donne, ricostruiscono passo dopo passo la propria vita libera e autonoma, ciascuna in modi e con tempi propri e non standardizzati.

Neutralizzando la differenza e “depurando” l’approccio da ogni sospetto di femminismo e di politica delle donne, le linee guida “sanitarizzano” l’intervento, prevedono la presenza obbligatoria di psicologi e assistenti sociali (anche uomini: errore capitale), un servizio H24, 5 giorni su 7 di apertura, centralino sempre attivo (e chi paga?), separano l’attività dei centri dalle case-rifugio: impostazione stigmatizzata dalle storiche Case, associate in D.i.RE, che parlano di “criteri che schiacciano la connotazione politico-culturale dei centri antiviolenza, volti a produrre cambiamento sociale, sulla logica del mero servizio” (il comunicato qui).

Il rischio è che le Case delle Donne, a meno di stravolgere i propri criteri di intervento, non possano accedere ai fondi governativi.

La speranza è che Giovanna Martelli, nuova consigliera alle PPOO del governo Renzi, possa porsi in ascolto per trarre importanti spunti da un’esperienza quasi trentennale, senza la quale oggi la lotta contro la violenza maschile non esisterebbe.

 

Donne e Uomini, questione maschile Novembre 18, 2013

Scoperto giro di vecchi maiali ai Parioli

Artemisia Gentileschi, “Susanna e i vecchioni”

 

Continua, morbosa e un po’ onanistica, l’attenzione mediatica sulle “baby-prostitute” dei Parioli. Mia mamma, che pure non è Marshall McLuhan, mi dice: “Ma non è che con tanto parlarne poi qualche altra bambina si mette idee in testa?”. Potrebbe essere. Ma parlare delle ragazzine, eccitare le fantasie sulle minigonne, sui rossetti, sulla loro disponibilità e sulla loro lingerie fa senz’altro più audience che soffermarsi sulla bruttezza e sulla turpitudine di quei vecchi ingordi che da che mondo è mondo si abbeverano alla fonte vitale di una fanciulla in pieno trionfo ormonale per dimenticarsi della loro decadenza e mortalità. Bambine scrutate, spiate, vivisezionate.

Un mondo ancora pieno di vecchi uomini non ancora raggiunti dalla notizia della soggettività femminile, che prendono in moglie bambine di 10 anni, vestite da sposa in fretta e furia all’alba delle nozze senza essere avvisate di nulla per venire consegnate al loro nuovo padrone, con la benedizione delle famiglie e del villaggio. L’Occidente pullula di turpi individui che pretendono di godere sessualmente di creature appena slattate. Ma non c’è mai interrogazione sulla sessualità maschile, sul suo pretendersi dominante e senza limiti, sulla sua violenza intesa come un immodificabile dato di natura.

“Era lei che provocava” “Era lei che mi esasperava, che mi eccitava, che mi irretiva”: come per la violenza, anche qui il peccato è della vittima, colpevole di averti fatto sentire bisognoso, di avere smascherato la tua fragilità, di averti ricondotto a quello stato di dipendenza e inermità che avevi sperimentato tra le braccia della madre. Un movimento antico, lo stesso che si racconta nell’episodio biblico di Susanna e i vecchioni. La sua bellezza accende la cupidigia di due vecchi che la accuseranno di adulterio per non avere ceduto alle loro voglie. Tocca al  giovane Daniele ristabilire la verità, salvando Susanna dalla morte per lapidazione. 

Qui di Daniele, purtroppo, se ne vedono davvero pochi. Ancora una volta, l’occasione non è stata colta.

La sassaiola continua.

 

P.S. A titolo di esempio: dalla bacheca di un “amico” Facebook, suoi commenti sotto la foto di una bambina di 12 anni

 Ma buongiorno carissima BARBIE!!!T’invio tutto il mio cuore,sempre più fragorosamente innamorato di Te…..TUTTO INTERO!!!TI AMO MIRABILISSIMA!!!ILLIMITATAMENTE A TE TUTTA!!S’andrho’
 Ma che deliziosa sei Tu Barbie! Chiamami Ti scongiuro!Sai che ci terreni veramente sai…?? Poi Te mi sembrerebbe quasi,d’averTi già incontrat,prima,sai?Comunque TI AMO: ILLIMITATAMENTE TUTTA!!!BELLISSIMA!!! S’andrh

 

Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Maggio 21, 2013

Rivoglio il mio uomo violento

Rosaria Aprea, 20 anni, la milza spappolata dalle botte del compagno

 

“Io lo amo, e voglio tornare con lui“. Sta in un letto d’ospedale, le hanno asportato la milza spappolata dalle botte e dai calci del compagno, che ora è in carcere per tentato omicidio, ma Rosaria Aprea, ventenne casertana non ha dubbi: «Non voleva sicuramente farmi male» dice al Corriere del Mezzogiorno «Ci amiamo e non vedevamo l’ora di andare a vivere insieme con nostro figlio. Sto male al pensiero che sia rinchiuso in carcere. Vorrei poterlo incontrare perché sono certa che si è pentito. Vorrei potergli dire da vicino: mi manchi tanto, vorrei tornare a passare le nostre serate assieme sul divano della tavernetta». (la denuncia potrà anche ritirarla, ma non serve: per tentato omicidio la Procura procede d’ufficio).

Lo sconcertante “voltafaccia” di Rosaria mi fa tornare in mente la storia di quella settantenne milanese che aveva denunciato il marito per averla accoltellata, e qualche mese dopo aveva chiesto al Gip che concedesse all’uomo un permesso “per passare il Natale insieme”. O la protagonista del film “East is East”, inglese sposata con un pakistano manesco: dopo l’ennesima violenza contro la madre i figli si rivoltano contro il padre, ma lei difende il suo aguzzino.

I comportamenti di queste donne -della stragrande maggioranza delle donne abusate che non sporge denuncia, o di quelle che la denuncia la ritirano- non vanno giudicati, ma attentamente interrogati (va peraltro detto che se a Milano, e verosimilmente anche nel resto del Paese,  più di metà delle denunce per maltrattamenti o per stalking viene archiviata senza alcun atto d’indagine, spesso denunciare serve solo a esacerbare gli aguzzini).

Rosaria sta dicendo questo: non voglio una vita peggiore -il carcere- per lui; quello che voglio è una vita migliore per tutti noi. Voglio la tavernetta, e i giochi con il bambino. Quello che mi ha fatto è stata una violenza, ma lui NON E’ un violento.

C’è la speranza di poter salvare la relazione, di cacciare fuori dalla storia tutti quelli che sono intervenuti nel momento dell’emergenza e riprendere il filo interrotto dell’amore. C’è il desiderio di cancellare quello che è capitato, e di farcela da soli, lei e lui senza l’incomodo di terzi, a uscire dai guai (e invece senza un terzo non se ne esce). C’è l’ingenua caparbietà del sogno d’amore -la ragazza ha vent’anni-, e c’è un bambino, che soffrirebbe ad avere il padre in galera.

Queste donne sbagliano un sacco di cose, certo. Ma c’è in loro anche una tenacia nella ricerca delle mediazioni, il tentativo di non distruggere tutto, di farcela a uscirne insieme. C’è il non affidarsi del tutto alla “legge che fa chiagnere”, per dirla con Filumena, la nostra Antigone, la legge che taglia i bambini a metà, che mette in galera e che recide i fili. C’è una pazza ostinazione nel ricucire, nel rilanciare, nel credere che l’amore alla fine l’avrà vinta.

E questa non è tutta roba da buttare, insieme all’acqua sporca della violenza maschile.

Conversando con Vandana Shiva, le ho detto che il patriarca in declino è un animale morente. E lei mi ha risposto: “Un animale morente è sempre feroce. C’è solo un modo per fronteggiarlo: non-violenza, compassione. Diversamente saremo specchi che riflettono quella paura, quella violenza. E fermeremo il cambiamento”.

 

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Marzo 9, 2013

I nuovi desideri degli uomini

 

Non parlo di politica, oggi. Anzi parlo di politica, nel senso in cui io la intendo.

Il prossimo we, 16 e 17 marzo, a Roma c/o SCUP, via Nola 5 (San Giovanni) l’incontro “Mio fratello è figlio unico. Cosa cambia se cambiano i desideri degli uomini”, indetto dall’associazione Maschile Plurale, aperto a donne e uomini (tutte le info qui).

Ne parlo con Stefano Ciccone, tra i fondatori dell’associazione.

“Abbiamo molto ragionato sulla violenza nelle relazioni tra uomini e donne” spiega. “L’intento è quello di proseguire nella riflessione, a partire dai nuovi desideri che si manifestano tra gli uomini, per capire se sia possibile la costruzione di una politica che sappia metterli in gioco”.

Quali sono, questi desideri?

“Noi siamo convinti che sia in corso un grande cambiamento nel modo di essere uomini, che tuttavia resta molecolare, microfisico e politicamente invisibile: mi riferisco al nuovo modo di essere padri, ai mutamenti nei rapporti con il lavoro, con la politica… Tutto questo viene rubricato come “crisi maschile“, e decodificato come “femminilizzazione”, o come “rinuncia al potere”, comunque sempre sotto il segno della sconfitta. E’ molto più difficile cogliere le potenzialità positive di questi cambiamenti”.

E quali sono?

“Stanno nel fatto di ripensare a una soggettività maschile che sfugga sia al revanchismo sia al recupero nostalgico della virilità perduta. Operazione complicata: noi non possiamo partire dal “maschio è bello”, come è stato per le donne, o dal “pride” dei movimenti LGBT…”.

Perché l’incontro è aperto anche alle donne?

“L’appuntamento di sabato e domenica è frutto di un percorso separato, di una lunga riflessione tra uomini. Oggi ci interessa farne un tema politico, aprendo all’interlocuzione con le donne”.

Violenza, autorità, risentimento, desiderio/trasformazione, linguaggio/relazione: questi i temi principali su cui si svilupperà il confronto.

Ve ne daremo conto.

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze, femminicidio, WOMENOMICS Gennaio 28, 2013

One Billion Rising: parla Eve Ensler

 

“La danza è una “via diretta alla verità”. E’ pericolosa, gioiosa, sensuale, sacra, dirompente, contagiosa, e rompe le regole. Si può ballare in ogni momento, in ogni luogo, con chiunque, e gratis. Il ballo unisce e spinge ad andare oltre: questo è il cuore di One Billion Rising”.

Per il prossimo 14 febbraio (15° V-Day, movimento contro la violenza sulle donne) Eve Ensler, la creatrice di “I Monologhi della Vagina” Eve Ensler ha invitato il mondo a una festa da ballo planetaria. R.S.V.P.: e il mondo, 189 paesi (ne mancano appena 9) ha accettato l’invito.Si danzerà dappertutto per fermare la violenza che opprime ogni giorno un miliardo di donne nel mondo.  Ma se “un miliardo di donne violate è un’atrocità” dice Ensler “un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione”.

One Billion Rising è una protesta creativa e non violenta a cui hanno aderito “singoli e associazioni di tutti i tipi. Intellettuali, star come Robert Redford, Rosario Dawson, Jessica Alba, Sally Field, Yoko Ono, Laura Pausini. Personalità politiche come Michelle Bachelet, ex-presidente del Cile, e Berenice King, figlia di Martin Luther King. Lavoratori migranti. Contadini e ballerini professionisti. Grandi organizzazioni mondiali, da Amnesty International ai sindacati americani. Piccoli centri antiviolenza. Il Dalai Lama, che ha dichiarato: “E’ necessario che ricorriamo al nostro buon senso, e che incoraggiamo gli altri a fare altrettanto, per capire quello che la violenza contro le donne e le ragazze comporta. Non ci sono circonstanze che la rendono giustificabile, dalla violenza non viene mai niente di buono. La sola cosa certa è che dove c’è violenza c’è sempre e inevitabilmente sofferenza. Capire che la natura della violenza è la sofferenza ci aiuta a comprendere la sua inutilità e la sua nocività”. E ancora, tante tante attiviste grintose e appassionate. Gente di tutti mondi e di ogni posizione politica, economica, sociale ed etnica che lotta e balla insieme per un comune obiettivo. Mi pare straordinario”.

Eve, torniamo un po’ indietro. Raccontaci il tuo personale V-day: il giorno in cui ti è nata l’idea di “I Monologhi della Vagina” ed è cominciata la tua travolgente V-Adventure.

“E’ andata così: io e un’amica stavamo parlando di menopausa, e ci è capitato di nominare la vagina. Mi sono improvvisamente resa conto di non sapere nulla del modo in cui le donne “sentivano” questa parte del loro corpo. Non c’erano parole a raccontarlo. Tutto è nato da questa grande curiosità”.

Come ti spieghi il successo virale e planetario dei Monologhi?

“Siamo costrette al segreto e al tabù su molte cose, e questo provoca sofferenza. Quando hai l’opportunità di rompere il silenzio ti senti sollevata ed eccitata. Ti rendi conto di quanto sia importante comunicare, e di come prendere parola può cambiare la tua vita. Questo è capitato con i Monologhi a milioni di donne in ogni luogo del mondo”.

Qual è stata l’emozione più forte legata allo show?”.

“Al Superdome di New Orleans, decima rappresentazione. Io che di fronte a 18 mila spettatori ho aperto lo show saltando fuori da un’enorme vagina!”.

Dai Monologhi, l’idea del V-Day…

“Dopo gli spettacoli tantissime donne venivano a raccontarmi le loro storie. Nella gran parte dei casi erano storie di abusi sessuali, di incesto, di violenza. Non avrei mai potuto continuare a fare i Monologhi se non avessi rotto il silenzio su questo enorme sommerso di dolore. Così nel 1998 abbiamo deciso di usare lo show per aumentare la consapevolezza sulla violenza nascosta e per raccogliere fondi destinati all’obiettivo”.

E per il prossimo V-Day, l’One Billion Rising, danza planetaria.

“La danza è occupazione di spazio, e anche se non c’è una coreografia lo faremo tutte insieme”.

Sei appena rientrata dall’India, dove hai preso parte alle grandi manifestazioni contro la violenza sessuale.

“Lo stupro di gruppo che ha provocato la morte di Jyoti Singh Pandey è stato un fatto orribile, che ha risvegliato le masse, provocando una vera frattura nelle coscienze di tutti. E’ la prima volta, nella mia lunga vita di attivista, che vedo la violenza sessista diventare la questione principale di una società, con enorme risonanza nel resto del mondo”.

Saprai certamente che in Italia stiamo vivendo un’emergenza femminicidio: come spieghi questo violento “contrattacco” maschile?

“In Italia c’è il quartier generale della Chiesa Cattolica, la più potente confessione del mondo, l’unica a possedere uno stato, una banca, una propria polizia. Una Chiesa che ha sempre avuto paura del femminile, e che continua a insegnare alle donne a stare ai margini, silenziose e ubbidienti. Anziché incoraggiare amore e rispetto tra i sessi, padri, preti e governo pretendono di decidere quello che le donne possono o non possono fare del loro corpo e delle loro vite. Il che non è saggio né sensato, crea odio e paura, fa crescere la violenza. Ma anche nel mondo cattolico qualcosa sta cambiando: ho incontrato molte suore che lottano insieme a noi. In un recente viaggio nelle Filippine ho conosciuto sorella Mary John, straordinaria monaca benedettina, esempio vivente di fede nella parola di Gesù e nella rivoluzione delle donne. Che piaccia o meno, una femminista radicale”.

Robert Redford definisce la violenza una “crisi globale”: pensi che la sensibilità maschile stia crescendo?

“Gli uomini amorosi e saggi –ce ne sono tanti- sanno di non poter più voltare la testa dall’altra parte. Riconoscono che la violenza contro le donne è sempre stato un problema maschile. Nelle manifestazioni indiane c’erano anche molti uomini. E tanti aderiscono a One Billion Rising: emozionante”.

Ti capita mai di sentirti sovrastata da questo enorme impegno?

“Certo che sì. Ma da 3 anni, da quando sono guarita dal cancro, sento in me un’enorme energia, qualcosa che non ho mai sperimentato prima. Il sostegno di tanta gente in tutto mondo mi solleva e mi incoraggia, malinconie e stanchezza si trasformano in gioia e senso di possibilità”.

Che cosa ti ha insegnato l’esperienza della malattia?

“Parlo proprio di questo nel mio prossimo libro, “In the Body of the World”, che uscirà ad aprile”.

Raccontaci un po’ di programmi…

“Il mio impegno non ammette vacanze. Il V-Day è ormai un movimento mondiale che richiede attenzioni quotidiane e ininterrotte. Da tempo sono attratta in particolare dalla vita e dallo spirito di continenti come Asia e Africa, che pulsano di energie fresche e di nuove visioni. L’Occidente è depresso e autoindulgente, sopraffatto dal desiderio di avere sempre di più, o semplicemente di non perdere potere e privilegi. Dobbiamo fare spazio per concepire un nuovo mondo, una nuova visione, un altro stile di vita”.

Dove ballerai, il 14 febbraio?

“A Bukavu, in Congo, nella “mia” “City of Joy”, villaggio che ho fondato e finanziato con gli incassi dei “Monologhi” e con il contributo dell’Unicef, e che ogni anno ospita e rimette al mondo 180 donne vittime di brutali violenze. Ballerò insieme a migliaia di donne che stanno trasformando in forza le loro sofferenze, e a migliaia di uomini che sostengono il nostro progetto”.

 

Tutte le altre notizie le trovate qui.

 

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Gli eventi di ONE BILLION RISING si svolgeranno in location celebri come la cattedrale di St. John The Divine a New York, la Grace Cathedral di San Francisco e il Parlamento Britannico.

 

Qui come avere tutte le info sulle LOCATION ITALIANE (al momento hanno aderito 70 città)

(in prossimità del 14 febbraio meglio verificare eventuali cambiamenti di location e orari già indicati)

 

ALESSANDRIA

Etimo Donna  http://etimodonna.blogspot.it/   –  etimodonna@gmail.com

Micaela Balice    micaela.balice@yahoo.it

 BARI

Angela Saracino  saracinoangela@libero.it

La grande madre   Alessandra Cappiello

BENEVENTO

Gruppo Exit Strategy

BERGAMO

Americana Exotica scuola di ballo:http://www.americanaexotica.it/tag/dancehall-bergamo/
Beatrice Secchi  –  beatrice.secchi88@gmail.com

BOLOGNA

Casa delle donne

http://www.casadonne.it/cms/

info.casadonne@women.it

Associazione Anatroccolo Rosa – http://www.anatroccolorosa.it/

Chiara Cretella  chiara.cretella@gmail.com

La corte delle fate www.lacortedellefate.org

BRESCIA

Laura Nicoletto – ing.nicolettolaura@bresciaonline.it

Chiara  Caffi – chiara.fontanella@yahoo.it

CALTANISSETTA

ONDE IN MOVIMENTO  http://ondedonneinmovimento.blogspot.it/

Lidia Trobia    ondedonneinmovimento@gmail.com

CATANIA

UDI Catania  udichiama.catania@gmail.com

CERVETERI

SNOQ Cerveteri  https://www.facebook.com/senonoraquando.cerveteri

snoq.cerveteri@gmail.com  Luisa Ermini

http://senonoraquandocerveteri.blogspot.it/

CUNEO (Largo Audifreddi, ore 16-20)

SNOQ Cuneo  http://www.senonoraquando.eu/?tag=snoq-cuneo

Giulia Conte  senonoraquando.cuneo@gmail.com

FERRARA

Caterina Tavolini

info@fabriziobonora.net 

Alessandro Suardi  a.suardi@gmail.com

www.alessandrosuardi.altervista.org

FIRENZE  (piazza della Repubblica , ore 15)

SNOQ Firenze  http://senonoraquandofirenze.wordpress.com/

Stefania La Rosa   stefanialarosa64@gmail.com

Artemisia http://www.artemisiacentroantiviolenza.it/index.php?n=Artemisia.Associazione

Nicoletta Livi Bacci  nicobacci@virgilio.it

CGIL Toscana   coordinamento Firenze,Prato,..  CGIL , SNOQ, centri antiviolenza

Anna Maria Romano      aromano@tosc.cgil.it

Libere tutte

http://liberetuttefirenze.blogspot.it/  Pagina FB: Libere Tutte

Coro “Le Musiquorum”  Pagina FB: /MusiQuorum

Centro Ideazione Donna http://www.ilgiardinodeiciliegi.firenze.it/

Nicoletta Livi Bacci  nicobacci@virgilio.it

The Global Teatre Project      info@theglobaltheatreproject.org

Clelia Marmugi clelia@florencetheatre.com
Bari Hochwald  bari@florencetheatre.com

BAGNO A RIPOLI (FI)

roberta montanari   robyger77@yahoo.it

GENOVA

SNOQ Genova http://www.senonoraquando.eu/?tag=snoq-genova

Eva Provedel evaprovedel@gmail.com    senonoraquandogenova@gmail.com

Rita Falaschi Provincia di Genova – falaschi.r@provincia.genova.it

Direzione Risorse Umane, Finanziarie e Patrimonio
Servizio Organizzazione e Sviluppo- Ufficio Benessere Organizzativo e pari Opportunità

IMOLA

Trama di Terre  www.tramaditerre.org

Silvia Torneri info@tramaditerre.org

centrointerculturaledelledonne@tramaditerre.org

JESI

Chiara Bizzani

LANUSEI

Loredana Rosa Brau

https://www.facebook.com/events/321065521344677/

LECCO
Telefono donna lecco www.telefonodonnalecco.it
Giusi Panzeri –  tiarsa@alice.it   + Associazione Ballatella

DonneViola   http://donneviola.wordpress.com/

Marta Proserpio marta.prose@gmail.com

LIVORNO

UDI  Pieralda Giovacchini   pieraldagiovacchini@gmail.com

scuola di Ballo EOS – Stagno Collesalvetti  Anna Caiazzo occhiverdi64@hotmail.it

LODI

SNOQ Lodi  snoqlodi@gmail.com

Katia Menchetti

LUCCA

SNOQ Lucca http://www.senonoraquando.eu/?tag=se-non-ora-quando-lucca

Brunella Peschiera anastasia.b@fastwebnet.it

MASSA (Piazza Aranci, ore 18)

SNOQ Massa

MILANO (Stazione Centrale, ore 19: ma la location non è ancora definitiva)

Cooperativa Sociale A R. – Contro La Violenza Alle Donne http://cerchidacqua.org/?p=29

info@cerchidacqua.org  –  Daniela Lagomarsini

milanoonebillionrising@gmail.com

Livia  Grossi   livia.grossi@tiscali.it

Rete delle reti femminili  http://www.facebook.com/LaReteDelleRetiFemminili

rotelle@portaledelledonne.org

INTERVITA  http://www.intervita.it/IT/default.aspx

Greta Nicolini greta.nicolini@intervita.it

 

MODENA (piazza Grande, ore 18-21)

Ass. Il Cacomela ilcacomela.blogspot.com

Agnese – ilcacomela@gmail.com

Casa delle donne di Modena  http://associazioni.monet.modena.it/cddonna/casa.htm

Centro documentazione donna:http://associazioni.monet.modena.it/cddonna/casa.htm
cddonna2@comune.modena.it – Vittorina maestroni

LAG – Libera associazione genitori http://www.lagvignola.it/info@lagvignola.it

Barbara Pasquariello b.pasquariello@lagvignola.it

Vivere donna centro antiviolenza di Carpi http://viveredonna.org/vd/
viveredonna@gmail.com   Paola Vigarani

NAPOLI

-Rosaria Guarino -Patrizia Cipullo  – Antonella Marini   https://www.facebook.com/events/239565799509882/

Associazione Rio Abierto   Anna Tucci    tucana53@alice.it

ARZANO (NA)  
Paola Serra

PADOVA
Padova donne  http://www.padovadonne.it/  –  padovadonne@gmail.com

Roberta Lotto  roberta.lotto@gmail.com

Elena  Ditadi   sue.ditadi@gmail.com

Rete studenti medi Padova  http://reds-retedeglistudentipadova.blogspot.it/

reds.padova@gmail.com

PAESTUM
Commissione Pari Opportunità di Capaccio

ARTEMIDE

Gabriella  Paolucci – http://www.facebook.com/groups/186881198009132/

PALERMO (Piazza Verdi -teatro Massimo)
Coordinamento Antiviolenza 21 luglio Palermo: www.coordinamento21luglio.altervista.org
Stefania Savoia – Coordinamento21lugliopalermo@gmail.com

PARMA (piazza Garibaldi + Centro commerciale Le Torri)

CENTRO VIOLENZA PARMA http://www.acavpr.it/AcavPR/

Sara Conz  sara.conz@live.it
Marinella Milanese     

PESCARASNOQ Pescara http://www.senonoraquandopescara.org

comitato@senonoraquandopescara.org  Maristella

PRATO

Coordinamento Donne della C.d.L. -CGIL Prato

Nora Toccafondi ntoccafondi@prato.tosc.cgil.it

RAVENNA  (3 flash mob scuole + Centro commerciale)
Ecco la danza http://www.facebook.com/groups/eccoladanza/

Maurizia Pasi  mauriziap@gmail.com

Casa delle donne

Diva Ponti  pontidiva@libero.it

REGGIO CALABRIA
UDI NAZIONALE   udinazionale@gmail.com

RIMINI

Associazione – Centro Antiviolenza “Rompi il silenzio” http://www.rompiilsilenzio.org/

Paola Gualano presidente –  rompiilsilenzio@virgilio.it

ROMA  (Casa internazionale delle Donne, ore 18.30)

SNOQ

Luisa Rizzitelli, luisa.rizzitelli@gmail.com  –

Cinzia Guido, cinziaguido@gmail.com

Loredana Taddei loredana.taddei@gmail.com

Giorgia Serughetti giorgia.serughetti@gmail.com

Carlotta Cerquetti  carlottacq@gmail.com

Casa Internazionale delle Donne Roma – Francesca Koch  francescakoch@tin.it

Accademia Nazionale di Danza- Margherita Parrilla margherita.parrilla@libero.it

LEI –DONNE IN MOVIMENTO  leidonneinmovimento@live.com

Lobby Europea delle Donne – Maria Ludovica Tranqulli Leali      m.tranquillileali@virgilio.it

Laboratorio Donnae – Pina Nuzzo  –  laboratoriodonnae@gmail.com

LABICO (RM)

Associazione Socialmente Donna, Argia Simone

ROVERETO (TN)
Veronica Loperfido

SIRACUSA

Centro antiviolenza Tiziana Biondi   titti.1973@hotmail.it
Biagioni  martina      erocapinera@yahoo.it

Stonewall    www.stonewall.it

TARANTO
Ethra http://www.associazioneethra.org/  Angela Petra Blasi

TORINO
Ass. Alma Terra. Centro interculturale della donna:

http://www.almaterratorino.org/
roni_ud@hotmail.com

Raffaella Gallo

TRENTO

Giovanna Covi

VERONA 

Scuola di danza   Marinella  Marchiori – marinella.marchiori@alice

Il Laboratorio del Movimento Martine Susana    martinesusana@alice.it

VIAREGGIO

Casa delle donne    http://www.casadelledonne.it/

VITERBO

CENTRO ANTIVIOLENZE ERINNA

BOLSENA (VT)

Sirka – sirkarte@gmail.com

 

per aggiornamenti e altre info:

http://obritalia.livejournal.com

www.facebook.com/groups/onebillionitalia

contatti:

Nicoletta Corradini: nico@onebillionrising.org

Elena Montorsi: elena@onebillionrising.org

Nicoletta Billi : nicolettabilli@gmail.com )

 

 

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VANDANA SHIVA  

 

COME LA VIOLENZA ECONOMICA CONTRIBUISCE ALLA VIOLENZA SULLE DONNE

 

Sul tema della violenza sessista e del femminicidio è recentemente intervenuta su Al Jazeera Vandana Shiva, ecofemminista, attivista per la biodiversità e i diritti dei contadini, vincitrice del Premio Nobel Alternativo – Right Livelihood Award – nel 1993, autrice di oltre 20 libri e 500 dissertazioni accademiche, fondatrice della “Fondazione per la ricerca nella scienza, la tecnologia e l’ecologia”.

Titolo della sua relazione: “How Violent Economic ‘Reforms’ Contribute to Violence Against Women” (“Come le “riforme” economiche violente contribuiscono alla violenza contro le donne”).

 Nella nota introduttiva, Vandana Shiva ha detto: “La coraggiosa vittima dello stupro di gruppo di Delhi ha tratto il suo ultimo respiro il 30 dicembre 2012. Questo articolo è un tributo a lei e alle altre vittime della violenza contro le donne”.

 

La violenza contro le donne è vecchia quanto il patriarcato, ma recentemente si è intensificata ed è divenuta più pervasiva. Ricorre a forme più brutali, come nel caso della morte per stupro di gruppo a Delh,i e in quello del suicidio della 17 enne vittima di stupro a Chandigarh.

Negli anni i casi di stupro e di violenza sono aumentati. Il National Crime Records Bureau (NCRB) registrava 10.068 casi di stupro nel 1990, che sono aumentati a 16.496 nel 2000. Con la cifra di 24.206 nel 2011, i casi di stupro fanno un incredibile balzo del 873 per cento dal 1971, quando l’NCRB cominciò a registrarli. New Delhi si rivela come la “capitale dello stupro dell’India”: vi accadono il 25 per cento dei casi.

Si deve sostenere il movimento per fermare questa violenza, fino a che giustizia sarà fatta per ciascuna delle nostre figlie e sorelle che è stata violata. Ma mentre intensifichiamo la nostra lotta perché le donne abbiano giustizia, dobbiamo anche chiederci perché i casi di stupro sono aumentati del 240 per cento a partire dagli anni ’90, quando le nuove politiche economiche furono introdotte. E’ necessario esaminare le radici della crescente violenza contro le donne.

C’è una relazione fra la crescita di politiche economiche violente, ingiuste e imposte in modo non democratico, e la crescita dei crimini contro le donne? Io credo di sì.

In primo luogo, il modello economico che si concentra in modo miope sulla “crescita” comincia con una violenza contro le donne, non tenendo in conto il loro contributo all’economia. Più il governo parla, sino alla nausea, di “crescita inclusiva” e di “inclusione finanziaria”, più esclude i contributi delle donne all’economia e alla società.

Secondo i modelli economici patriarcali, la produzione per il sostentamento vale come “non-produzione”. La trasformazione del valore in disvalore, del lavoro in non-lavoro, della conoscenza in non-conoscenza, si ottiene tramite il numero più potente che governa le nostre vite, il costrutto patriarcale detto “Prodotto Interno Lordo” (PIL), che molti commentatori hanno cominciato a chiamare “Problema Interno Lordo”. I sistemi contabili nazionali che sono usati per quantificare la crescita come PIL sono basati sull’assunto che se i produttori consumano ciò che producono, in effetti non hanno prodotto per nulla, perché si situano fuori dai confini dell’area produttiva.

L’area produttiva è un’invenzione politica che lavora per escludere da sé i cicli di produzione che implicano rigenerazione e rinnovo. Perciò, tutte le donne che producono per le loro famiglie, per i loro bambini, per le loro comunità e società, sono trattate come “non-produttive” e “inattive economicamente”. Quando le economie sono confinate nel mercato, l’autosufficienza economica è percepita come deficienza economica. La svalutazione del lavoro delle donne, e del lavoro fatto nelle economie di sussistenza del Sud, è il risultato naturale di confini di produzione costruiti dal patriarcato capitalista.

Restringendosi ai valori dell’economia di mercato, così come definita dal patriarcato capitalista, i confini della produzione ignorano il valore di due vitali economie che sono necessarie alla sopravvivenza ecologica e umana. Nell’economia della natura e nell’economia di sussistenza, il valore economico è la misura di come la vita della Terra e la vita umana sono protette. La sua moneta corrente sono i processi che danno la vita, non il denaro o il prezzo di mercato.

In secondo luogo, un modello di patriarcato capitalista che esclude il lavoro e la creazione di ricchezza fatti dalle donne, approfondisce la violenza cacciando le donne dagli ambienti naturali da cui dipendono le loro vite: le loro terre, le loro foreste, la loro acqua, i loro semi, la loro biodiversità. Riforme economiche basate sull’idea di una crescita illimitata in un mondo limitato possono essere mantenute da un potere che si appropria delle risorse di chi è vulnerabile. L’arraffamento delle risorse che è essenziale per la “crescita” crea una cultura dello stupro: lo stupro della Terra, delle economie locali autosufficienti, delle donne. L’unico modo in cui questa “crescita” è “inclusiva” è che include numeri sempre più grandi nei suoi cerchi di violenza.

Ho ripetuto più volte che lo stupro della Terra e lo stupro delle donne sono intimamente connessi, sia metaforicamente, nel dare forma a visioni del mondo, sia materialmente, nel dare forma alle vite quotidiane delle donne. La sempre più profonda vulnerabilità economica delle donne le rende più vulnerabili a ogni forma di violenza, incluse le aggressioni sessuali, come abbiamo scoperto durante una serie di udienze pubbliche relative all’impatto delle riforme economiche sulle donne, organizzate dalla Commissione nazionale sulle donne e dalla Fondazione per la ricerca nella scienza, la tecnologia e l’ecologia.

In terzo luogo, le riforme economiche tendono a sovvertire la democrazia e a privatizzare i governi. Il governo parla di riforme economiche come se essere non avessero nulla a che vedere con la politica e con il potere. Parlano di tenere la politica fuori dall’economia, mentre stanno imponendo un modello economico a cui danno forma politiche specifiche per genere e classe. Le riforme neoliberiste lavorano contro la democrazia. Le riforme guidate dalle corporazioni economiche creano una convergenza di potere economico e politico, approfondendo le diseguaglianze e la crescente separazione tra la classe politica e la volontà del popolo che si suppone essa rappresenti. Questa è la radice della sconnessione fra i politici e l’opinione pubblica, di cui abbiamo fatto esperienza durante le proteste contro lo stupro di gruppo di Delhi.

Peggio ancora, una classe politica alienata ha timore dei suoi cittadini. Questo spiega l’uso della polizia per schiacciare le proteste nonviolente che abbiamo testimoniata a Nuova Delhi, le torture e gli arresti (Sori Sori a Bastar, Dayamani Barla a Jharkhand), le migliaia di violenze contro le comunità che lottano per non avere una centrale nucleare a Kudankulam. Uno stato privatizzato dalle corporazioni economiche deve giocoforza diventare in fretta uno stato di polizia. Perciò i politici devono circondarsi di sicurezza al massimo livello, distogliendo le forze dell’ordine dai loro compiti di protezione dei cittadini ordinari e delle donne.

In quarto luogo, il modello economico del patriarcato capitalista si basa sulla mercificazione di tutto, donne incluse. Quando fermammo i lavori del WTO ministeriale a Seattle, il nostro slogan era: “Il nostro mondo non è in vendita”. Un’economia “liberalizzata” che deregolarizza il commercio, privatizza e mercifica semi e cibo, terre e acqua, donne e bambini, rinforza il patriarcato ed intensifica la violenza contro le donne. I sistemi economici influenzano le culture e i valori sociali. Un’economia di mercificazione crea una cultura di mercificazione, dove tutto ha un prezzo e niente ha un valore. La crescente cultura dello stupro è l’esternalizzazione sociale delle riforme economiche. Dobbiamo tenere udienze pubbliche istituzionalizzate per le politiche neoliberiste, che sono lo strumento centrale del patriarcato nella nostra epoca. Se vi fossero state udienze pubbliche di chi lavora nel nostro settore dei semi, 270.000 contadini non si sarebbero suicidati in India, come invece è avvenuto sin da quanto le nuove politiche economiche sono state introdotte. Se vi fossero state udienze pubbliche di chi lavora sul cibo e in agricoltura, non avremmo un Indiano su quattro che ha fame, una donna indiana su tre malnutrita, e un bambino su due perduto o devastato a causa della denutrizione. L’India, oggi, non sarebbe la Repubblica della Fame di cui ha scritto Utsa Patnaik.

La vittima dello stupro di gruppo a Delhi ha innescato una rivoluzione sociale. Dobbiamo sostenerla, approfondirla, espanderla. Dobbiamo chiedere che la giustizia per le donne sia più veloce e più efficace, che i processi condannino rapidamente i responsabili di crimini contro le donne. Dobbiamo assicurarci che le leggi cambino, di modo che la giustizia non sia così elusiva per le vittime di violenza sessuale. Dobbiamo continuare a chiedere che vengano resi noti i nomi dei politici che hanno precedenti penali. E mentre facciamo tutto questo, dobbiamo cambiare il paradigma vigente che ci viene imposto in nome della “crescita” e che sta alimentando i crimini contro le donne. Mettere fine alla violenza contro le donne include il muoversi oltre l’economia violenta formata dal patriarcato capitalista, verso le economie pacifiche e nonviolente che rispettano le donne e la Terra.

 

 

 

 

 

Donne e Uomini, esperienze, femminicidio Giugno 7, 2012

Come Jekyll e Hyde

Buffet a margine di una presentazione milanese.

Un’amica mi presenta una signora. Bella, elegante. Si chiacchiera, parliamo di figli. Lei ne ha due, maschi, un adolescente e uno sulla ventina. E’ separata, i ragazzi stanno con lei. Dice che sono molto prepotenti. La insultano, si “fanno sotto” fisicamente. “Il grande” mi dice “è un omone. Non riesco a tenerlo”. Si è separata dal marito per la sua prepotenza, e ora rischia di ritrovarsi sulla stessa barca.

Un’altra signora, professionista, anche lei ottima borghesia. Racconta qualcosa di simile. Figli, mariti con una faccia in piazza e una in casa: “Se lo dici non ti credono: ma come, un uomo così gentile, così raffinato, così corretto? Ragazzi così perbene, è un piacere averci a che fare?”.

Come Jekyll e Hyde. No, non lo diresti mai.

Non si arriva al dramma. Niente botte, niente occhi neri e ossa rotte. Che cosa fai, denunci tuo figlio perché ti insulta, perché ti odia, perché prende per i polsi e ti sbatte contro il muro? Ma il problema è molto diffuso, conferma Marisa Guarneri della Casa delle Donne maltrattate di Milano. Un tappeto di violenza “soft”, di violenza “minore” e invisibilissima, agita dai mariti e dai figli, specialmente con le madri separate. Il mondo non lo direbbe mai. Tiri avanti, al massimo ti becchi una gastrite o una depressione ansiosa, due pillole e la sistemi. Ma qualcosa si dovrebbe congegnare: gruppi di self help?

E’ un brutto momento. Crisi, frustrazione, rabbia. Per le donne è brutto il doppio. Ti tocca fare da valvola per tutto quello che non va, dai pagamenti che non arrivano all’assenza di prospettive.

E’ welfare pure questo, è un servizio alla società pure questo. Se la rabbia la sfogano con te, nel chiuso delle case, fuori ne circola meno.

 

 

Donne e Uomini, Politica Maggio 14, 2012

Donne assassine/ Donne assassinate

Non sono politicamente casuali i toni violenti della manifestazione “pro-life” di ieri a Roma.

Quel “donne assassine” è la risposta, precisa e puntuale, alla grande mobilitazione delle ultime settimane sulla violenza e sul femminicidio. Fa parte a pieno titolo del backlash, un colpo di coda particolarmente duro che dà man forte a tutti quegli uomini -qui, nel mio blog, ne trovate un ricco campionario- che non intendono ripensare le relazioni con le donne fuori da una logica di dominio.

Un vero atto di guerra organizzato, il cui vero scopo è obbligare le donne in difensiva per non perdere il minimo vitale -si tratta, per l’appunto, di non morire-, distraendo energie dalla lotta per il lavoro e il welfare. E dalla lotta per la rappresentanza, in quest’anno cruciale. Eccoci qua, a dover riparlare di violenza e di aborto. Il messaggio è chiaro. Vogliono impedirci di volare.

La presenza attiva del sindaco Gianni Alemanno -le donne romane, ne stia certo, tutte le donne, anche le cattoliche, anche le donne del suo stesso schieramento politico non dimenticheranno- ha conferito particolare rilevanza politico-istituzionale alla truculenta manifestazione.

Le donne non sono a favore dell’aborto. Le donne pretendono di non morire d’aborto. Fra le due cose c’è una profondissima differenza.

Non risulta che il sindaco Alemanno si sia mobilitato a favore della vita e della nascita quando il governo Berlusconi ha abolito la legge 188 sulle dimissioni in bianco, obbligando le donne a una contraccezione forzata per non perdere il posto di lavoro. Questa sì, sarebbe stata politica pro-life.

Aiutare le giovani coppie che non riescono ad accedere a un mutuo. Offrire servizi adeguati per l’infanzia: questa sì, sarebbe una politica pro-life.

Se tiene tanto alle nascite, la domenica il sindaco Alemanno se ne stia a casa a pensare come strutturare una politica dell’accoglienza e una città amica delle donne e dei bambini.

Qui, per aderire all’appello di Se Non Ora Quando Città, dal titolo “Rispetto per le donne, la 194 non si tocca”.

La 194 non si tocca.

Corpo-anima, Donne e Uomini, economics, lavoro Marzo 6, 2012

Un Ottomarzo di m…a. Eppure…

contrattacco

 

Un Ottomarzo di m…a.

Stamattina comincio con l’apprendere che, sbattendosene completamente di tutto, delle contestazioni, dell’imbarazzo del segreatario generale di Expo Loscertales («Je saisis cette occasion pour vous rassurer quant à l’importance accordée par le Bie à la représentativité de
toute la société civile au sein d’une Expo dont les valeurs essentielles sont l’universalité et l’éducation…») l’Innovation Advisory Board di Expo, ovvero il tavolo dell’ INNOVAZIONE sul tema della NUTRIZIONE (che è come dire donna e donna) resta un tavolo omosessuale composto di soli uomini. A meno di novità dell’ultim’ora: perché devono esserci delle novità, vero sindaco Pisapia? Loscertales ci ha risposto in ue giorni, puoi farlo anche tu? Assessore, che abbiamo mandato lì con una dura lotta: ci siete? Potete farvi sentire?

Mi dice un uomo a me caro, Ad padre di 3 figlie, che quando cerchi di infilare delle donne in un cda, immancabilmente la risposta è: “E che c’entra il sesso?”. Appunto: come mai allora solo il sesso maschile?

Poi leggo degli ultimissimi casi di femminicidio: dopo la strage di Brescia, Piacenza e Verona. Questo 2012 è un massacro. Un’escalation senza precedenti. E non si sta facendo nulla. Il minimo che si dovrebbe fare, visto che quasi sempre il femminicidio è preceduto da stalking, è prendere lo stalker e obbligarlo a una terapia. La denuncia non basta. Quelli sono bambini di 80 o 90 chili che non riescono a gestire l’abbandono. Vanno aiutati a metabolizzare. La denuncia da sola gli fa saltare i relais e li incattivisce ancora di più. Vanno curati, accompagnati. Contro il femminicidio serve prevenzione. E invece nulla, non succede niente. Figurati se ci sono soldi da spendere per evitare che le donne vengano ammazzate.

Poi leggo Maurizio Ferrera che sulla prima del Corriere conferma, come dicevo l’altro giorno, che il governo Monti non sta facendo abbastanza per le donne, non le sta mettendo al centro della riforma del lavoro, non investe su lavoro e servizi, non fa delle donne il perno della crescita e dell’innovazione. E noi 188 idiote che abbiamo firmato la lettera alla ministra Fornero perché intervenga sulle dimissioni in bianco siamo ancora qui ad aspettare. E che cosa c’è da aspettare, Fornero? Sai come farei io? Al prossimo consiglio del Ministri andrei e picchierei il pugno sul tavolo, metterei lì la mia testa e direi: “Di qui non si esce se non risolviamo questa faccenda, se non rimuoviamo da subito questa incredibile ingiustizia”.

Un Ottomarzo di m…a.

Eppure io sono piena di fiducia. Sono colpi di coda feroci di un mondo morente.

Non dobbiamo lasciarci scoraggiare. Non dobbiamo lasciarci intimidire.

Tutto andrà precisamente come deve andare.

Donne e Uomini, esperienze Gennaio 25, 2012

Una fiaccola per Stefania Noce

Stefania e il suo assassino

Pensando a Stefania Noce, e alla fiaccolata contro la violenza di stasera in tantissime città italiane, vi ripropongo alcune riflessioni su questi temi che ho proposto a un convegno organizzato dall’Ordine degli avvocati di Milano alcuni mesi fa. In un certo senso questa è la mia fiaccola… Stasera a Milano, in piazza Mercanti, ore 18.30, ne accenderò un’altra.

 

…. C’è una violenza sommersa sulle donne, quella che non arriva nelle questure e nei pronti soccorsi perché non lascia segni fisici apparenti. E’ molto impressionante leggere che in un solo anno in Italia il 73 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni è stato afferrato e strattonato dal partner, il 43 per cento minacciato fisicamente, il 20.6 per cento preso a pugni o calci. Il più della violenza che le donne subiscono sta qui, è diffusissima, e tace.

Questa roba non arriva dai carabinieri o nei pronti soccorsi. Questa roba finisce direttamente nel corpo delle donne, e quasi sempre resta lì. Anche quello che potrebbe sembrare molto meno di questo, la violenza psicologica, gli insulti, i soprusi morali, l’intimidazione, la mancanza di rispetto, la paura, finiscono nel corpo della donna e diventano ansia, depressione, disturbi psicosomatici con particolare riferimento, mi dicono gli addetti ai lavori, ai disturbi gastrointestinali.

Ecco, pensando che più o meno tutte le donne vanno dal medico di base, sarebbe molto importante che i medici di base fossero preparati a decodificare questi segni di sofferenza in una logica di esternalizzazione simile a quella del mobbing: capire se c’è qualcosa che non sta funzionando nelle relazioni di una donna, non chiudere subito la pratica con psicofarmaci o antiulcera, perché in questo modo si finisce inconsapevolmente per continuare il lavoro dell’aguzzino.

Vi confesso un certo disagio a parlare di violenza sulle donne. Posso immaginare come si sentono le donne che si occupano professionalmente di violenza, le mediche, le avvocate, le volontarie, come l’amica Marisa Guarneri che da moltissimi anni, senza alcun sostegno pubblico, gestisce con grande competenza la Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano, e a cui a nome di tutte voglio esprimere particolare gratitudine.

Essere crocifisse a occuparsi di queste cose, una donna uccisa ogni tre giorni da un marito, fidanzato, padre, somiglia un po’ alla vittimizzazione secondaria. Le donne subiscono violenza, e la devono anche spiegare. E voi capite che dallo spiegare al doversi giustificare il passo è breve. Si rischia di scivolare verso una cosa tipo: che cosa fanno, o che cosa non fanno le donne, per essere molestate, violentate, uccise? Qual è la loro responsabilità in questo?

Ora, come mia responsabilità io sento quella di spostare radicalmente l’asse del discorso. Per un certo tempo il fatto che le donne si siano occupate della violenza che subivano dagli uomini ha avuto senz’altro il suo senso, e in buona parte ne ha ancora: il senso è stato quello di portare alla luce l’orrore, valutarne le dimensioni, fare le leggi, perseguirlo e punirlo –cosa che, purtroppo, come si vede non è bastata a fermarlo-. Ma questo lavoro ormai è arrivato alle corde. Noi donne –violentate, molestate e semplici osservatrici-narratrici- abbiamo detto al riguardo pressoché tutto quello che c’era da dire.

La parola, a questo punto, andrebbe senz’altro passata ai violenti. Sarebbero loro a doverci raccontare, spiegare, motivare. La violenza sulle donne è un problema degli uomini, non delle donne. Anche questo è un modo per liberare le donne dalla violenza: riconoscere che la questione non è loro, ma è maschile. In caso contrario, il ragionamento che ci sta sotto è questo: c’è qualcosa di fatale, immodificabile, una specie di dato di natura, che è la violenza degli uomini. E’ un fatto che non si discute. Poi ci sono le donne, che devono stare attente a non finirci dentro, girare al largo da questa cosa, diventare astute, organizzarsi, fare in modo che la cosa non capiti loro, e se disgraziatamente gli capita, devono trovare i modi per uscirne, per superare il trauma, aiutarsi fra loro, avere degli esperti che diano loro una mano, e così via.

Non ci verrebbe mai da chiedere a un tizio aggredito per strada di analizzare e motivare l’aggressione che ha subito. C’è qualcosa di storto nel fatto di chiedere alle donne di spiegare qualcosa di cui sono vittime e di rimediarvi. Sono gli uomini che dovrebbero dire, raccontare, scandagliare, aiutarci a capire. Quando dico questo, la risposta più frequente è: ma io non ho mai stuprato, non ho mai picchiato nessuna. Vero. Non tutti gli uomini sono stupratori e violenti con le donne. Ma tutti gli stupri –o quasi- sono maschili. Si tratta di una faccenda che riguarda i maschi e la loro sessualità, e che in qualche modo prescinde dalle donne. Ha detto uno stupratore alla psicoanalista Marina Valcarenghi “il desiderio non era la donna, la donna non c’entra, ma lo stupro in sé… la donna c’entra perché nei fatti è una vittima, ma in quel momento il desiderio di stupro… non so come dire, è self made”.

Quella della violenza è una questione che ha a che fare con il dominio di un sesso sull’altro, e con il patriarcato morente. Bisogna guardare in faccia questa cosa e assumerla. C’è una psicoanalista che si chiama Julia Kristeva, la quale dice che quando una civiltà muore non ride nessuno: né quelli che in questa civiltà stavano dalla parte dei dominatori, né quelli che stavano dalla parte dei dominati. Quella donna fatta fuori ogni tre giorni nel nostro paese, ma anche le donne che subiscono violenza in paesi che riteniamo ben più civili del nostro, visti in una logica paritaria, come per esempio la Svezia –pensate alla trilogia di Larrson– sono lì proprio a raccontarci questa storia. Il patriarcato è finito. Non ridono i dominatori spodestati, ma non ridono nemmeno le donne, che subiscono i colpi di coda, il cosiddetto contrattacco, come l’ha chiamato l’americana Susan Faludi.

Quando dico che il problema è degli uomini, che nessuno meglio di loro conosce il mistero della sessualità maschile e di fronte a questo io non posso che osservare, fare un passo indietro e ascoltare quello che gli uomini hanno da dire, da parte degli uomini registro grossomodo tre tipi di reazioni negli uomini: la prima, diciamo così alla Larrson, decisamente minoritaria, che ammette che la violenza sulle donne è una questione che riguarda gli uomini, anche i non-stupratori, che non basta il fatto di non stuprare personalmente per lavarsene le mani. Ora, pare che Larrson da ragazzo abbia assistito senza intervenire a uno stupro messo in atto da alcuni amici. Non ha partecipato, quindi, ma non ha nemmeno fatto nulla per impedirlo. E sembra che questa esperienza sia stata decisiva per la sua vita e nella scelta dei temi di cui Larrson si è occupato nella sua fortunatissima trilogia. Un passaggio all’I care, me ne occupo, mi riguarda, che lui ha espresso letterariamente. E quindi un’assunzione intima, non esteriore, dolorosa. Ci sono uomini che sentono di essere, diciamo così, portatori sani di questa patologia di dominio che si esprime nello stupro, che poi altro non è che un’uccisione simbolica, o nell’uccisione reale, che sanno convivere con questa contraddizione tutta interna al proprio sesso, e che hanno cominciato a rifletterci. Pochi, ma ci sono.

Poi c’è la reazione silenziosamente maggioritaria: io non voglio parlare della violenza sulle donne perché non le stupro e non le picchio, quelli che lo fanno sono pochi pazzi malati, bestie, è un problema loro. La cosa li imbarazza, forse segretamente li addolora, ma questa reazione si esprime nel generale silenzio maschile sulla questione, nel voltare la faccia dall’altra parte, nell’evitare di parlarne e discuterne. Un silenzio imbarazzato che, io credo, esprime la consapevolezza che invece su queste cose ci sarebbe molto da dire e da fare.

Infine c’è una terza posizione, anch’essa minoritaria ma pericolosamente in crescita che è quella che ho definito “negazionismo”, in analogia con i negazionisti della Shoah: uomini che negano anche fatti acclarati, l’esistenza di un patriarcato con le sue logiche di dominio, e che sminuiscono la portata degli episodi violenti. Uomini organizzati in reti e blog, molto presenti onlin

Tu puoi anche provare a discutere con un negazionista –io l’ho fatto, accanitamente-, portargli dati, statistiche, evidenze storiche, prove documentali. Niente. La sopraffazione maschile non è mai esistita. Il fatto è che stanno militando, è un’ideologia, e contro le ideologie la ragion non vale. C’è anche di peggio, volendo. Tipi assurdi che caricano su Youtube i loro comizi contro il c.d. nazifemminismo.

Questa posizione è molto interessante perché dice almeno due cose: la prima, è che la violenza che si vorrebbe negare o minimizzare è invece assunta come un dato di natura, quindi viene paradossalmente ammessa come qualcosa che fa parte della sessualità maschile, intesa come immodificabile; la seconda cosa che dice è bene espressa dalla rabbia con cui i negazionisti scrivono e parlano, come per volersi liberare da questa cosa, come uno strappo, un non saper convivere con questo aspetto odioso della propria natura.

La soluzione del problema ma la riduzione del danno si otterrà solo parallelamente a una ridefinizione dell’identità maschile, della sessualità maschile, della cosiddetta virilità, fuori da una logica di dominio. Ci arriveremo solo quando a questo mondo si potrà essere pienamente un uomo senza dover puntellare la propria identità sul dominio e sul controllo dell’altra. Quando un uomo troverà un altro scheletro capace di sorreggerlo efficacemente e onorevolmente.

E’ un lavoro immane che devono fare gli uomini, non possono farlo le donne al posto loro. Quello che io dico alle mie amiche è che finché gli uomini non avranno trovato il modo di salvare il loro onore, e uso proprio questa parola obsoleta e perfino un po’ oscena, ma qui abbiamo a che fare con delitti che si possono leggere anche come delitti d’onore, finché non avranno trovato il modo di salvare il loro onore pur avendo perso la loro posizione dominante, io credo che non ne usciremo. Ma come ti insegnano quelli che conducono trattative di mestiere, anche al tuo nemico più acerrimo devi permettere di salvare la faccia se vuoi un armistizio, o meglio ancora la pace. E credo che questo le donne, a loro volta spesso ancora intrappolate in una vendicatività rabbiosa, facciano fatica a capirlo.

Nel frattempo, nella pratica quotidiana concreta, che cosa si potrebbe fare? Che cosa significa spostare il baricentro verso gli uomini, nel lavoro quotidiano sulla violenza? Marisa Guarneri, della cui competenza mi fido moltissimo, dice che oggi c’è un gran lavoro da fare sullo stalking, inteso come omicidio annunciato. Dal momento in cui la donna denuncia le molestie e le persecuzioni a cui viene sottoposta dal suo aguzzino, poi non viene adeguatamente accompagnata, la situazione non viene costantemente controllata. Lei dice: “ci vogliono uomini che controllano gli uomini”, intesi qui come forze dell’ordine che esercitino il controllo necessario sullo stalker e sui suoi movimenti. Ma non a caso, mi pare, lei non parla in modo neutro della questione, ne fa una “cosa tra uomini”, dove c’è una precisa assunzione del fatto che la cosa si gioca tutta all’interno della sessualità e dell’identità maschile, e dei suoi codici.

Forse anche il concetto di cura va almeno parzialmente riorientato sugli uomini e al fra-uomini: se è vero che il disagio è maschile, mentre le donne lo subiscono, è su questo disagio che devono puntare le strategie di prevenzione. La donna non c’entra, come dice quello stupratore. Abbiamo visto che oggi la gran parte di questi delitti vengono concepiti da uomini abbandonati, incapaci di fare i conti con la novità storica del ripudio femminile, di elaborare il lutto di una separazione voluta unilateralmente dalla partner. C’è esperienza terapeutica su violentatori e assassini in carcere, pratica purtroppo non sufficientemente diffusa, da cui potrebbe prendere spunto un grande lavoro di prevenzione.

Non spetta a me indicare le modalità operative di questo intervento, ma per esempio mi vengono in mente dei centri di ascolto e di accompagnamento diffusi sul territorio, dove gli uomini possano mettere in comune la loro sofferenza in caso di abbandono, essere accompagnati nell’accettazione e nell’elaborazione di questo lutto, trovare in se stessi una risposta diversa dalla persecuzione fino all’uccisione della partner. Dei luoghi per un “tra uomini” in cui possa esserci scambio, relazione, condivisione, in cui queste faccende private possano essere messe in comune (molti uomini non hanno nessuno a cui confidare le loro pene più intime, non posseggono nemmeno un lessico a cui ricorrere, una rete di protezione amicale su cui confidare, e spesso devono ricorrere alla mediazione femminile).

Ci vorrebbero dei luoghi in cui gli uomini siano protagonisti sia del loro problema sia della possibile soluzione, dove ci siano uomini che si prendono cura degli uomini. Ecco, questo mi pare una possibilità da esplorare.

Ma il primo passaggio, anche qui, ineludibile, sarebbe quello di riconoscere come patologico il fatto di pensare a una donna, quindi a un altro essere umano, come a un oggetto da possedere ed eventualmente da distruggere, una cosa a cui non si riconosce una soggettività, ovvero la possibilità di desiderare autonomamente, che è la sorgente di ogni soggetto. La strada è quella dell’eradicazione definitiva di questo senso di possesso e di dominio dell’altra, che, legge o non legge, uno si sente titolato a esercitare, secondo un modello virile solo relativamente intaccato. Anche qui, quindi, non si può prescindere da una pratica intensa e profonda di sé, che le donne possono soltanto osservare, e rispettare”.