Browsing Tag

università

giovani, italia, lavoro, Politica, scuola Novembre 27, 2015

Università: meno chiacchiere deleterie, ministro Poletti. E più investimenti

Quella del ministro del Lavoro Giuliano Poletti è un’assoluta banalità: meglio laurearsi in fretta e misurarsi da ventenni con il mondo del lavoro – è a quell’età che si impara un mestiere- che tirare in lungo per uscire splendidamente alle soglie dei 30, trovandosi “a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro“.

Ma se il corso di studi si conclude troppo in là non è affatto per l’ossessione, stigmatizzata dal ministro, di “prendere mezzo voto in più“.

La questione è ben più seria, e ha soprattutto a che vedere con l’organizzazione della nostra università, che sembra congegnata per fabbricare fuoricorso. Per non parlare del business milionario dei troppi master e contromaster post-laurea che dissanguano le famiglie, trattenendo ulteriormente i giovani in parcheggio fuori dal mondo del lavoro.

In questo blog ne abbiamo parlato più di due anni fa riprendendo Ivan Lo Bello (oggi presidente di Unioncamere oltre che del Comitato consultivo dell’ Agenzia Nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca), il quale chiedeva “di introdurre tirocinii e praticantati durante i corsi universitari, visto che oggi i nostri ragazzi incontrano il lavoro mediamente tre anni più tardi rispetto ai loro colleghi europei”.

Anche per consentire eventuali correzioni di rotta nel corso di studi, orientando con maggiore consapevolezza la propria formazione: un gran numero di ragazzi oggi sceglie la facoltà in modo casuale, con l’unico criterio di dribblare i test d’accesso, e infilandosi in strade senza uscita.

Da un ministro, quindi, è lecito attendersi interventi più articolati e meno bar-biliardistici: che entrino nel merito dell’organizzazione delle università, che indichino proposte, che delineino soluzioni contro la dispersione. Anche perché è sempre stato molto comodo per i governi trattenere i ragazzi in percorsi scolastici sine die: finché saranno in formazione non saranno censiti come inoccupati o come neet.

Ma quella di Poletti è anche una banalità pericolosa, data la leggerezza con cui viene affrontato il tema dello studio. Al grande pubblico le cose che dice arrivano così: vedete di portare a casa in fretta quel benedetto pezzo di carta straccia, e non perdete troppo tempo a studiare. Discorso doppiamente rovinoso: perché studiare non è mai una perdita di tempo, anche quando allo studio non conseguono pezzi di carta, anche quando si sta già lavorando e perfino quando si è ministri. E perché si sarebbe dovuto tenere conto del contesto: un Paese, il nostro, che nella classifica dei 34 più industrializzati si piazza ultimo per numero di laureati (è questo che dovrebbe preoccupare il nostro ministro) e quartultimo per soldi investiti nell’università in rapporto al Pil (recentissimo rapporto Ocse). Viceversa, come dicevamo, siamo ricchi di 25-34enni con un titolo equivalente al master che non riescono a trovare uno straccio di lavoro.

Anzichè far chiacchiere un ministro del Lavoro, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, dovrebbe prospettare soluzioni e dare battaglia per aumentare gli investimenti. Che, certo, si vedrebbero meno dei 300 milioni per il bonus di 500 euro a pioggia per tutti i diciottenni da spendere in attività culturali.

Ma si avvicinano le elezioni, e i pacchi di pasta à la Lauro rendono molto di più.

 

cultura, italia, scuola Marzo 15, 2014

Università: eccellenze “bocciate” dall’Abilitazione Nazionale

Se il premier Renzi ha davvero a cuore il nostro sistema educativo come base di una rinascita del Paese, suggerirei di buttare l’occhio sull’Abilitazione Scientifica Nazionale: “patentino” che consente ai ricercatori universitari di accedere ai concorsi per ottenere un incarico, novità introdotta nel 2010 dalla ministra Gelmini.

No-abilitazione, quindi, no-concorsi: anche se poi, il paradosso è questo, benché non abilitato spesso resti a insegnare. Come precario.

Oltre 50 mila domande esaminate dalle 200 commissioni per la tornata 2012-13, abilitati circa il 30 per cento dei candidati. Clamorose le bocciature di eccellenze, spesso da parte di commissari con meno titoli degli esaminati: su “Repubblica” Corrado Zunino segnala tra gli altri il caso della clinica Elisabetta Kon, “vera scienziata, un’autorità in campo internazionale” e quello di Augusto Neri, vulcanologo di fama mondiale. Entrambi fuori.

Per contro, sottolinea Zunino, passati figli-di e amici di amici, secondo la logica delle baronie e delle lobby che l’Abilitazione Nazionale avrebbe dovuto arginare.

Clamoroso il caso di Progettazione Architettonica, con uno striminzito 20 per cento di abilitazioni e bocciature di progettisti di chiara fama: l’Associazione italiana di Architettura e critica parla di una commissione sessista e maschilista.

Sessista e maschilista –forse-, certamente ignara dell’esistenza del pensiero italiano della Differenza Sessuale –conosciuto invece e studiato in Spagna, in Francia, negli Stati Uniti- anche la commissione che ha respinto la filosofa Annarosa Buttarelli, nota tra l’altro per aver cambiato l’ermeneutica della filosofia di Maria Zambrano.

La sua produzione è definita di “corrente”. Si parla nel giudizio di “specificità femminile” e di “studi di genere… non presenti nella nostra tradizione accademica” (come se poi la filosofia non fosse, quasi per definizione, rottura critica di tradizioni).

Criteri peraltro, quelli di “specificità” e di “genere”, che niente hanno a che vedere con il pensiero della differenza e con Buttarelli, ritratta dal giudizio come “militante” e non come filosofa. Racconto questo caso perché lo conosco da vicino. Annarosa Buttarelli è ideatrice e coordinatrice del Master in Filosofia di Trasfomazione presso l’Università di Verona e tra le fondatrici e animatrici della comunità filosofica Diotima. Due assolute eccellenze di quell’ateneo.

Migliaia i ricorsi dei candidati. Molti chiedono che il bando 2012 venga annullato. La richiesta è di tornare ai concorsi, individuando nuovi criteri per la valutazione dei titoli.

Forse sì, ci si dovrebbe pensare.

 

Politica, scuola Novembre 5, 2012

Maledetto familismo

Ieri sera ho partecipato a Omnibus notte su La7. Tema: scuola, ricerca, università. Tra gli ospiti, il sottosegretario all’Istruzione Marco Rossi Doria e Antonio Iavarone, cervello in fuga -dal Policlinico Gemelli alla Columbia University- causa nepotismo: le sue promettenti ricerche sui tumori al cervello qui non trovavano finanziamenti ed erano ostacolate da un primario che aveva il figlio da sistemare.

In realtà, come spiega bene un articolo su La Lettura del Corriere, la media italiana dei “cervelli in fuga” non supera quella europea. Belgi e tedeschi emigrano più di noi. Il vero problema è che non c’è immigrazione: qui cervelli stranieri non ne arrivano. Ci fuggono come la peste, anche se forse vivrebbero volentieri nel nostro Bel Paese. Sanno bene che, insieme agli scarsi investimenti, la burocrazia, la corruzione, il nepotismo -ampiamente mediati dalla politica- ucciderebbero le loro ricerche, il loro talento e i loro sogni.

In trasmissione si parla di task force, di organismi di esperti che discutono su università e ricerca. C’è poco da studiare: si chiama familismo amorale, è già stato ampiamente studiato e alligna feroce. In tutte le professioni, in tutti i mestieri, quelli che sono lì per merito e non per parentele e relazioni sono la minoranza. Il sistema è fortissimo e devastante, problema dei problemi in questo Paese. Organismi e task force andrebbero istituiti su questo, per capire come eradicare il male. A che serve garantire i finanziamenti, se andranno a ingrassare la mediocrità?

Sono figlia di un papà e di una mamma meravigliosamente semplici, di aiuti non ne ho avuti, nemmeno mezzo, e avverso le logiche familiste con tutte le mie forze. L’aiuto l’ho avuto da una splendida e severa maestra, da alcuni ottimi professori, da quelli che generosamente mi hanno insegnato e guidato.

Quando anche a sinistra si conferisce un incarico politico alla vedova di -anche se vedova di un eroe o di un martire-, o si nomina un cognome -cognome che non garantisce proprio nulla- mi pare di perdere ogni speranza.

Da che parte si potrebbe cominciare?

scuola Agosto 9, 2012

Test e cast: quelli che rubano ai bambini

Ok, sarei in vacanza, ma leggo stamattina sul “Corriere” che per la preparazione ai test di ingresso all’università le famiglie sono costrette a spendere fino a 4 mila euro e mi imbufalisco, e allora ritardo la spiaggia e riapro il blog.

Non so se i test d’ingresso siano una buona idea, io sono di mia costituzione per la massima apertura, vedo che i ragazzi maturano più tardi rispetto alle generazioni preceeenti, e l’idea che un solo talento della medicina o della fisica vada perduto solo perché a 19 anni era troppo bighellone per studiare per il test mi pare una follia. Mi dicono che oggi l’orientamento espresso dagli insegnanti alla fine delle scuole medie inferiori può pregiudicare l’iscrizione a un buon liceo: anche in molti licei c’è il numero chiuso, e quel giudizio rischia di essere definitivo.

Anyway: se sono abbastanza contro i test d’ingresso, sono risolutamente contro l’odioso business dei test d’ingresso, che raddoppia lo sbarramento in base alle possibilità economiche della famiglia. Quindi, nei panni del Ministro della Pubblica Istruzione riprenderei in esame tutto quanto il pacchetto. Di riforme del sistema formativo si parla troppo poco, e invece è proprio lì che dovremmo “crescere”.

L’altro giorno incontro una ragazzina. Carina, con una gran massa di riccioli neri. La bellezza dell’asino, come si dice, e forse qualcosa in più. Mi racconta che vuole fare la modella. Qualche delinquente che ha messo in piedi un’agenzia per povere piccole gonze l’ha convinta che ha tutti gli atout. Non è vero: le mancano almeno venti centimetri, è vezzosamente tonda, i fianchi ampli, e che Dio ce la conservi. Ma una modella, proprio no. La povera piccola, e quell’idiota di sua madre, pagano il delinquente perché la infili in miserabili concorsini di bellezza e la faccia sfilare per qualche sarta di paese. Non solo non prende nulla, ma deve pure pagare per essere fatalmente disillusa.

Ecco, io edificherei un apposito girone dell’inferno per quelli che rubano i bambini, per quelli che li illudono e li imbrogliano.

(se siete al corrente di storie del genere raccontatele qui)

esperienze, lavoro, scuola Gennaio 25, 2012

Sfigati cum laude

Il viceministro Martone dovrebbe usare un altro linguaggio.

Amo il turpiloquio, ma non era il caso. Ha detto, per chi non lo sapesse, che i ragazzi che si laureano dopo i 28 anni sono “sfigati”. Purtroppo sono sfigati anche quelli si laureano a 23, perfettamente nei tempi, e anche cum laude, e cominciano a girare a vuoto, tra la ricerca di un lavoro e un master a tempo perso. “Tutta la vita davanti” l’avrà visto anche lui.

E’ vero che ai ragazzi va data una scossa: nati nel burro e negli agi, non sono affatto attrezzati per la lotta. Gli va spiegato con chiarezza che è più facile imparare un lavoro nella prima metà della ventina, che poi. Che ciondolare ad libitum nei chiostri delle nostre antiche università non è buona cosa.

Ma è anche vero che nelle nostre università non si impara a lavorare. E allora è meglio uno che si laurea non dico a 28 ma a 25 o 26 avendo già una buona pratica lavorativa, alternando momenti di studio più intensi a fasi di apprendistato serio, perchè tra i 20 e i 25 è il momento giusto per “farsi le ossa”, che uno che si laurea perfettamente nei tempi e si ritrova scaraventato nel nulla.

Insomma, da un viceministro ci si aspetta che indichi qualche soluzione, e non solo, un po’ sprezzantemente, il problema.

Politica, scuola, Senza categoria, TEMPI MODERNI Dicembre 2, 2010

IL GIOCO DELLA TORRE

Flashmob, mobilitazioni lampo. Rampicate sui tetti. Pacifico assalto ai simboli della cultura italiana, dalla Torre di Pisa al Colosseo. Come sempre il medium è il messaggio. Il linguaggio del nuovo movimento degli studenti (e dei ricercatori) italiani parla in modo immediato ed efficace dei contenuti della protesta, e indica una direzione politica.

La leggerezza del movimento, che si avvale della rete e della sua velocità, riducendo a brevi apparizioni fortemente simboliche i momenti di presenza fisica.

L’alto dei tetti, come per farsi vedere dal mondo. L’idea di una barca alla deriva, il nostro paese, da cui lanciare un SOS al resto del pianeta.

I monumenti, simboli della struggente bellezza italiana, a indicare proprio la bellezza come il principale dei nostri talenti, come la direzione verso la quale muoversi, come la risorsa da “sfruttare” politicamente.

Nessuna agenzia di comunicazione avrebbe saputo fare di meglio.

Politica Ottobre 30, 2008

AVVISO AI NAVIGANTI (IL MIO)

Cari ragazze e ragazzi, di destra e di sinistra, che stamattina andrete in corteo contro il decreto Gelmini, una preghiera: andateci in pace, con tutta la vostra fresca energia, felici di poter manifestare i vostri convincimenti. Andateci a mani nude e a viso scoperto, e girate al largo da chi se lo copre: tenete a mente gli scellerati e antidemocratici consigli al governo del senatore Cossiga, giusto qualche giorno fa (e ribaditi ieri al Senato):

Francesco Cossiga

Francesco Cossiga

“Lasciarli fare (gli universitari, ndr). Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano”. E anche non fossero agenti provocatori, sono imbecilli da cui girare al largo.

Il Mahatma Gandhi

Il Mahatma Gandhi

Fate essere subito quello che volete che sia, e quindi il bene e la pace, come diceva Gandhi. Fate largo al bene non praticando il male. Fidatevi di una che ne ha viste tante, e che sente tirare un’aria che non le piace. Ma proprio per niente.

Archivio Maggio 26, 2008

MENO MASTER, PIU’ ESPERIENZA

Certi ci nascono, con la vocazione dell’ortopedico, o dell’istruttore di vela, o del criminologo, o del veterinario, passioni che li divorano fin dalla scuola materna. Con un po’ di buona sorte riusciranno a diventarlo. Poco versatili, ma di sicuro fortunati. I più, nel frattempo, la stragrande maggioranza, brancoleranno nel buio, tentando qua e là. Il test d’ammissione a medicina, dove, come a “Chi vuol essere milionario”, cadranno sulla capitale dello Zimbabwe (quanti Fleming ci perderemo, in questo modo?). O la decisione shock per Scienze politiche, essendo che la più carina della classe ha avuto l’improvvida idea di iscriversi lì.
Mai visti sondaggi a riguardo, ma con buona approssimazione si può azzardare che la scelta degli studi è casuale 5 volte su 10, e forse siamo ottimisti. Se tutto andrà bene il nostro ragazzo casual si infilerà in un tunnel di formazione permanente che lo impegnerà per un’imprecisabile quantità di anni, fino alla laurea e ai master di svariato livello, con prospettive di inserimento nel lavoro inversamente proporzionali alla lungaggine del percorso scolastico.
Sbaglierò, ma ho sempre pensato invece che a lavorare si deve cominciare presto: per capire com’è, che cosa succede lì, di quali dotazioni si deve essere muniti, in che cosa si è bravi e in che cosa no, come si lavora in gruppo e come da soli, che sapore ha il pane che ti sei guadagnato. In più magari, provandoti sul campo, capisci meglio per che cosa sei tagliato, e corri meno rischi di condannarti all’inferno di un mestiere che non ti piace, che è quasi peggio di un matrimonio sbagliato. Per questo mi domando se per molti ragazzi non sarebbe opportuno un annetto di riflessione post-diploma, una specie di sabbatico per guardarsi in giro, fare un viaggio, lavorare qua e là, e maturare qualche convincimento: il cosiddetto gap year, da qualche parte nel mondo si fa. Magari un master in meno, ma qualche esperienza in più, in qualche azienda, in qualche bottega, per dare subito un morso alla vita vera. Ditemi se sto sbagliando. E comunque, mentre sono lì a sudare sugli Alpha test, non dimenticate che gli stiamo guastando i più begli anni della loro vita.
(pubblicato il 24.05.08 su “Io donna” – “Corriere della Sera”)