Dopo aver dato delle egoiste alle italiane perché non donano i propri ovociti, Roberto Saviano minimizza per correctness la questione migranti-libertà femminile. Alimentando il consenso alle destre xenofobe
La presenza di molti maschi migranti espone le donne del nostro Paese al rischio di un sovrappiù di violenza. Almeno 900 stupri in più nel giro di 6 mesi, 150 al mese, 5 al giorno. Dalle percentuali si può dedurre che i maschi stranieri stuprano di più dei maschi italiani. Tacere e minimizzare decuplica la violenza sulle donne
Capodanno a Colonia: piazza Tahir nel cuore dell’Europa
Il più grande pericolo che corriamo dopo i fatti di Colonia -un migliaio di “arabi e nordafricani” che la notte di Capodanno si sono avventati contro tutte le donne che incontravano libere per strada, 90 denunce per molestie, 2 stupri- è la sottovalutazione (episodi analoghi anche ad Amburgo, Francoforte, Düsseldorf e Stoccarda).
Si è trattato di un atto di guerriglia organizzato, eccitato dall’alcol e dai botti, in cui le donne hanno avuto la parte delle prede, come sempre in circostanze di guerra. Anzi, è stato molto di più. I predoni hanno rubato e hanno molestato: tra le cose e le donne non c’è stata alcuna differenza. Se degli attentati di Parigi si è parlato come di un atto di jihad nel cuore dell’Europa, dei fatti di Colonia si dovrebbe parlare come di una piazza Tahir esportata in Germania: non la piazza Tahir della primavera araba, quella dove le donne partecipavano da pari ai moti “rivoluzionari”, ma la piazza Tahir subito-dopo, quella in cui le donne venivano molestate, insultate, umiliate e palpeggiate per ricondurle brutalmente al loro stato di illibertà.
Tutte noi siamo state molestate almeno una volta nella vita. E ci è chiaro è il messaggio: sei solo una cosa a mia disposizione, specie se giri sola per strada, mostrando di non appartenere ad alcun uomo; nessuna libertà ti è consentita, se non quella di consegnarti a un padrone, e se non lo fai, se pensi di poter essere autonoma, di guadagnarti il pane, di guidare la macchina, di vestirti come ti pare, sei solo una puttana a mia disposizione. E devi avere paura.
“Essere una donna è pericoloso ovunque”, come scrive Mona Eltahawy (“Perché ci odiano”): deve tornare a esserlo anche in Germania, anche in Europa. E’ questo il messaggio che doveva arrivare, ed è arrivato. I balbettii della povera sindaca di Colonia (il consiglio alle sue concittadine di “tenersi alla distanza di un braccio, EineArmlaenge, dagli sconosciuti) sono lì a dimostrarlo. La pericolosità dell’essere nata donna, la paura che deve conseguirne –ovvero il preciso rovesciamento della paura che gli uomini provano per la potenza materna e l’illimitato godimento femminile- è il fondamento ineliminabile del patriarcato, il cuore della questione maschile. Se una sola donna mostra di non avere paura, tutto l’impianto è a rischio di crollo.
Gli uomini di Colonia non erano poveri astinenti sessuali che cercavano occasioni di “sfogo”: lo stupro e la molestia sono atti solo pseudosessuali, quello che si cerca non è il piacere, ma il dominio e l’assassinio simbolico della preda. Gli uomini di Colonia erano uomini che rimettevano le cose a posto, riaffermando un sistema di valori che nella postura del dominio -maschio sopra, femmina sotto- trova il suo fondamento, il suo suggello, la sua garanzia. Gli uomini di Colonia volevano dare una lezione agli uomini di Germania, che si fanno comandare dalle loro donne, che hanno addirittura un premier donna. Qualcosa di simile agli stupri etnici.
Si tratta, dicevo, di non sottovalutare: fare finta che gli uomini di Colonia non siano poi tanto diversi dagli ubriaconi dell’Oktoberfest significa lasciare alla destra xenofoba il compito esclusivo di interpretare la vicenda e di immaginare risposte politiche. E i maschi della destra xenofoba non sono certo paladini della libertà femminile.
Si tratta di saper leggere quello che è capitato la notte di Capodanno senza cercare riparo nella retorica della correctness. O, peggio, imbastendo patetiche e autoconsolatorie dietrologie, tipo: era tutto organizzato, anche il non-intervento della polizia, in modo da poter restringere le politiche di accoglienza, e altre cretinate simili.
Stiamo alle cose certe. E una cosa certa, come diciamo da sempre, è che il corpo della donna è il campo di battaglia definitivo. Quello che capita alle yazide, alle siriane, alle saudite ci riguarda, è molto più vicino di quanto vorremmo credere. E ridurre le nostre pretese di libertà, anche solo della misura di un braccio, significa ridurre anche le loro.
Tenere le donne al centro –a cominciare dalle politiche di accoglienza- è una primissima, ineludibile risposta. Più profughe di loro non c’è nessuno.
Caro Presidente Matteo Renzi, cara Ministra Federica Mogherini,
quella che vedete è una delle immagini più dure che io abbia mai pubblicato o semplicemente visto. Lo faccio dolorosamente ma consapevolmente.
Sono i corpi di due ragazzine, 14 e 15 anni, di Katra Shahadatganj, villaggio rurale dell’Uttar Pradesh, India Nord-Orientale, vittime di un atroce gang-rape, stupro di gruppo da parte di 7 uomini (fra cui due militari: non è un fatto infrequente) a cui sono seguite percosse e impiccagione.
Questa insopportabile immagine illustra la rilevanza delle questione maschile in un Paese come l’India dove si verifica uno stupro ogni 22 minuti -calcolando solo la punta dell’iceberg dei casi denunciati-. E dove le donne sono intese come povere cose a disposizione di chiunque, specie se appartenenti alle caste più umili come nel caso di queste due bambine. Tanto che la violenza maschile è diventata una faccenda politica di primaria importanza.
Questa immagine dimostra che cosa alcuni uomini sono disposti a fare solo per consumare un rapporto sessuale: o, più precisamente, dimostra l’odio feroce per le donne, contro le quali lo stupro diventa un’arma letale. La pubblico per questo.
Esiste una remota possibilità, secondo gli investigatori, che le due bambine non siano state impiccate dai loro aguzzini ma che si siano volontariamente appese all’albero di mango pur di non dover sopportare la vergogna. Più probabilmente sono stati gli stessi stupratori a tentare di uccidere le ragazze strangolandole e poi impiccandole per non correre il rischio di essere identificati.
La protesta silenziosa degli abitanti del villaggio che si sono radunati sotto il mango per sollecitare le ricerche da parte della polizia ha portato alla rapida cattura degli stupratori assassini.
Sarebbe importante che il governo italiano manifestasse la sua vicinanza al governo indiano, alle donne e agli uomini di buona volontà di quel Paese che si trovano ad affrontare una simile emergenza: la violenza sessista è una realtà universale, ma in India raggiunge le dimensioni di una catastrofe.
E anche che inducesse qualche dubbio sull’effettiva efficacia della pena capitale contro la violenza, misura invocata da molti indiani ma contrastata da altre e altri, in particolare dal movimento delle donne. La pena di morte, è ampiamente dimostrato, non funziona mai come deterrente.
Sul fronte della violenza, come mi spiega l’intellettuale Urvashi Butalia, aumenta anzi il rischio per le donne, che possono venire uccise dopo lo stupro in modo da non poter testimoniare; o che possono esitare a denunciare: spesso gli stupratori sono familiari e amici, e le vittime non vogliono la loro morte.
Credo, e tante e tanti con me, che di fronte a una vicenda come questa qualcosa si debba fare.
Aggiornamento martedì 3 giugno: un altro caso orribile. Violentata, costretta a ingurgitare acido e strangolata.
Aggiornamento mercoledì 4 giugno: ormai un bollettino quotidiano. Un’altra ragazza impiccata.
Ora basta. Il fatto che la gran parte delle violenze sulle donne avviene nel chiuso delle case, a opera di mariti e fidanzati, non può essere un alibi per non considerare con il massimo allarme la violenza che avviene fuori dalle case, nelle strade, nelle metropolitane, nei sottopassaggi, nelle stazioni, a opera di maschi brutali portatori di una cultura ferocemente predatoria sulle donne. La political correctness e la retorica dell’accoglienza non possono esercitarsi sulla carne femminile. Esistono culture peggiori di altre, e si deve poter dire: il livello di misoginia è un indicatore primario.
Che questi maschi violenti siano severissimamente puniti -anche a monito dei violenti domestici-, che si aumentino a dismisura le pene, che vengano processati e condannati con rito direttissimo, che vengano espulsi dal nostro territorio appena possibile e segnalati come indesiderabili al resto d’Europa.
Che si proceda con tutta la necessaria durezza nei loro riguardi, e da subito.
Una signora pavese di 83 anni, invalida, è morta in seguito alla violenza subita da un cittadino romeno che si è introdotto nella sua abitazione e l’ha stuprata. Due domande, che faccio anzitutto a me stessa.
Domanda 1: si può ancora dire che il maggior numero di violenze sessuali avviene a opera di familiari, amici e persone conosciute, o il rapporto si sta invertendo?
Domanda 2: è lecito pensare che quella romena sia un’etnia particolarmente violenta, che tende a conferire alla vita un valore tutto sommato relativo? Si può dire una cosa come questa e tuttavia non essere razzisti?
Questa faccenda delle ronde è molto preoccupante, e invece vedo che l’allarme tutto sommato è contenuto. Ronde + crisi e disoccupazione + allarme sicurezza non fanno affatto un buon mix. Condivido in pieno il giudizio di Monsignor Marchetto, che vi intravede la possibile “morte del diritto“.
Perché le ronde non diventino squadracce, difficili da smobilitare e possibile base di un sommovimento antidemocratico, bisogna almeno che vi siano tante donne, tra questi volontari -e non credo che ve ne siano-. Anche se naturalmente non si tratta di una garanzia assoluta.