Browsing Tag

prostituzione

diritti, Donne e Uomini, Politica, questione maschile Maggio 6, 2015

Amore e rispetto per le sorelle prostitute. Ma quello non è un mestiere come un altro

Amore e rispetto per le sorelle prostitute. Per quelle “autodeterminate” (secondo gli addetti ai lavori, non più del 5 per cento del totale) e a maggior ragione per le schiave sessuali, le prostituIte. Quando dico amore e rispetto penso alle facce e ai corpi di mie vere amiche, nate donne o trans, con cui ho condiviso intimità e pensieri, e che per me sono state come tutte quante le altre mie amiche. Non mi sono mai sognata di discutere la loro scelta, ho raccolto senza giudizi le loro confidenze sulla brutalità (o sulla ridicolaggine) dei loro clienti, e se mi stanno leggendo potranno testimoniarlo nel proprio cuore.

Per esempio con Tizia ho riso molto mentre mi raccontava di quell’illustre professore che adorava farsi passeggiare con i tacchi a spillo sulla schiena ed eventualmente prendersi due cazzottoni. O di quel tale, ometto minuscolo e calvo che si presentava in corsetto e reggicalze sotto il paltò: nel tragitto dall’auto all’appartamento lei si vergognava da morire, temendo che qualcuno la vedesse in compagnia del mostriciattolo en travesti. Perché, cari clienti, bisogna che lo sappiate: le prostitute ridono molto di voi e delle vostre comiche perversioni (a volte sono meno comiche, e allora c’è poco da ridere).

Le schiave sessuali sono più difficili da avvicinare. Qualche giorno fa percorrevo una strada interna della Sicilia, assolata e profumata di zagara. Ogni dieci metri una ragazza nigeriana, in qualche caso proprio una bambina. Ho notato che portano quasi sempre qualcosa di rosso, sono truccatissime e di costituzione abbondante: grossi seni, grandi sederi in mostra. Ho visto un vecchietto che ne scaricava una. Ho pensato: povera te, che ti tocca farti toccare da quel papa smanioso. Meriteresti l’abbraccio vigoroso di un giovane che ti ama veramente.

Davvero pensate che una donna possa disprezzare o detestare queste creature? Le cosiddette “abolizioniste” sperano solo di poter ridurre il danno per il maggior numero e di contenere in un minimo residuale la necessità di prostituirsi per vivere. A Pia Covre -Comitato per i diritti civili delle prostitute- dico che possiamo anche ragionare sulle tutele che le lucciole autodeterminate chiedono da decenni, al netto del fatto che non siamo più negli anni Settanta né Ottanta: il quadro della prostituzione è drammaticamente mutato, ormai si tratta quasi interamente di schiavitù. Quello che non ci si può chiedere è di considerare la prostituzione un mestiere come un altro. 

La prostituzione non è un mestiere come un altro. Chi vuole liberamente prostituirsi lo faccia, proponga le misure che per la sua esperienza sono necessarie a ridurre il rischio sociale e tutti gli altri pericoli: discutiamone. Ma non chieda pacificazione e normalizzazione di quella che resta una ferita aperta: il mercato tra una sessualità maschile abusante, che paga per il “diritto” di esercitare sul corpo di una donna pratiche -spesso ripugnanti- di compensazione identitaria, e il bisogno femminile di campare. Le belle de jour sono figure letterarie, minoranza nella minoranza già esigua delle libere professioniste, la maggioranza della quali ha certamente intrapreso il mestiere per mettere insieme il pranzo con la cena. Quanto al restante 95 per cento, è stato sbattuto in strada per fare mangiare abbondantemente i businessmen criminali.

La prostituzione non può essere normalizzata perché rappresenta lo scacco delle relazioni tra donne e uomini, la perversione del dominio di un sesso sull’altro. E questo riguarda tutte le donne, non solo le prostitute.

Rispetto anche per chi, come la senatrice piddina Maria Spilabotte, è convinta che la strada giusta sia costituita da regolarizzazione, zoning, certificati di idoneità rilasciati dalle Asl e altre misure del genere. Il mio dissenso è radicale. Mi pare che Spilabotte, che è molto simpatica e disponibile, dica cose davvero allucinanti. Se non avete letto l’intervista pubblicata su “Io donna” qualche giorno fa, ve la ripropongo qui.

Fatevi un’idea.

 

*************************************************************************************

 

Così, così, così”: sulla condizione di prostituta “Filumena Marturano” dice ancora l’essenziale. Quella “guagliona” raccontata da Eduardo, costretta al mestiere dalla miseria e dalla fame. Poi sono venuti gli anni Settanta-Ottanta delle sex worker emancipate e autodeterminate. Ma oggi la tratta dei migranti, il più colossale business d’Occidente, ci ha riportato a Filumena. Anzi, peggio: schiave, decine di migliaia, il 95 per cento di tutta la piazza. Le prostituIte*: mercato che in Italia vale almeno 1,5 miliardi annui, con 9-10 milioni di prestazioni erogate al mese (dati Direzione Nazionale Antimafia). E’ questa la situazione con cui la politica deve fare i conti. Tra i vari disegni di legge depositati in Parlamento, quello a prima firma Maria Spilabotte, senatrice Pd: proposta di regolarizzazione che agita il movimento delle donne. E anche la Chiesa (il suo parroco, a Frosinone, l’ha semi-scomunicata). Il più dell’Europa -il Nord, la Francia, perfino l’Olanda delle ragazze in vetrina: la tratta è fiorente anche lì- va da tutt’altra parte: restrizioni, punibilità dei clienti, in coerenza con la risoluzione Ue firmata dalla laburista Mary Honeyball, che definisce la prostituzione una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana”. E indica il modello svedese –lì si sanziona il cliente- come quello da seguire. Perché mai noi dovremmo viaggiare contromano? In Germania la legalizzazione (2002) è stata un disastro: oggi è il bordello d’Europa, il business della tratta ancora più fiorente, e la politica non sa come cavarsi dall’impiccio.

“Non sarebbe come in Germania “dice Spilabotte. “Lì ci sono megabordelli gestiti da impresari del sesso. Io voglio autoimprenditorialità, iscrizioni alle Camere di Commercio…”.

In Germania si sono iscritte in 44 su 400 mila…

“Si deve comunque tentare. Ci sarà anche a un colloquio nelle Asl per ottenere l’idoneità psicologica”.

Mi immagino le file…

“… in qualunque Asl d’Italia. Si deve tenere conto delle ragioni di discrezione”.

A molte sex worker il suo ddl non piace.

“Perché non vogliono pagare il tesserino: 6000 € per il full time, 3000 per il part-time. E non gli va che i loro nomi siano comunicati in questura. Ma non è una schedatura. E’ un albo. Come per i notai”.

E comunque di libere sex-worker ce n’è pochine. 9 su 10 sono schiave di tratta.

“Regolarizzare serve proprio contro la tratta”.

Carolyn Maloney, comitato anti-tratta al Congresso Usa, dice il contrario:“C’era una volta la convinzione naif che legalizzare la prostituzione consentisse di migliorare la vita delle prostitute e di scacciare il crimine organizzato. Come tutte le fiabe, anche questa convinzione si è rivelata pura fantasia”.

“Sono le politiche proibizioniste ad aver clandestinizzato la prostituzione e foraggiato gli schiavisti”.

Insomma: il modello svedese a lei non piace.

“Da noi è inapplicabile. Lì c’è un gran lavoro sull’educazione sessuale e sulle pari opportunità. Ci sono fondi anti-tratta. Qui non abbiamo nulla. E il tasso di inoccupazione femminile è il più alto d’Europa: molte donne  come potrebbero sostenersi?”.

Ah, capisco! Prostituirsi è un’opportunità di lavoro come un’altra!

“Be’, anche quelli di muratore o badante sono mestieri che si fanno solo per il pane. Ognuna usi il proprio corpo come crede”.

La Consigliera di parità del Governo, Giovanna Martelli, si è espressa a favore dei quartieri a luci rosse. Poi Palazzo Chigi l’ha stoppata. Secondo lei il suo ddl piace a Renzi?

“Non è del tutto chiuso. Teme il giudizio della Chiesa, ma in questi tempi di vacche magre è anche allettato dal tesoretto fiscale”.

Lei sa che per Expo sono attese 15-20 mila prostitute?

“Il sindaco dovrà indicare le zone dove esercitare. Ma le sembra giusto che tutti i soldi che guadagneranno in Italia poi vengano portati all’estero?”.

Insomma, ci vorrebbe lo Stato pappone. Come ai bei vecchi tempi.

“Ma lo Stato è già pappone! Impone forfait fiscali secondo i conti correnti o la casa che hai comprato. Tanto vale pagare le tasse giuste”.

Crede che la sessualità maschile sia immodificabile, come un dato di natura? C’è la legge di gravità, e poi ci sono gli uomini che pagano per il sesso…

“Mai pensato. Bisogna educare alla sessualità e all’affettività. Prevenire, come per lo stalking e i femminicidi. Ma è un lavoro lungo, di anni e anni”.

 

 

diritti, Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Aprile 14, 2015

Parla Greta, ex-prostituta: “Ormai sono quasi tutte schiave. E in Germania la legalizzazione ha fallito”

Un bordello tedesco

Greta ha 56 anni, madre tedesca, padre italiano, due lauree. Sposata, vive a Karlsruhe dove lavora nell’amministrazione dopo un periodo passato in Italia. Per qualche anno, prima della caduta del Muro, ha esercitato la professione di prostituta in Germania. Oggi si dedica come volontaria ai programmi di recupero e riabilitazione delle “colleghe”.

“Ho cominciato per ragioni economiche. Lo fai sempre e solo per quello: soldi, necessità. Il mio compagno era morto in un incidente stradale e io mi sono trovata in difficoltà. Non alla fame, però nei guai. Ero giovane, mi pareva di poter avere un certo potere sugli uomini”.

Ricordi la prima volta?

“Oh, certo! Uno che soffriva di eiaculazione precoce. Una grande fortuna”.

 Dove lavoravi?

“In casa, o in hotel. Con il passaparola. Era come stare in un limbo. Staccavo l’interruttore per il tempo necessario, mi sconnettevo da me stessa. Uno sdoppiamento, uno stato di catalessi in cui lasci che la cosa succeda. Ce la facevo senza presidi chimici, ma la gran parte delle ragazze ha bisogno di alcol o droghe. E’ un problema grosso quando lavori per riabilitarle: sono quasi sempre tossiche di qualcosa, borderline, con gravi problemi di autolesionismo. Si tagliuzzano le braccia, o sono preda di una specie di euforia autodifensiva. Tante sono perdute per sempre”.

Pagavi le tasse?

“Nemmeno per sogno. Ma non le paga nessuna, nemmeno oggi che in Germania la prostituzione è legale (dal 2002). Dovresti iscriverti alle Camere di Commercio, pagare un forfait fiscale. Si valuta che le prostitute siano almeno 400 mila: ebbene, quelle che si sono registrate sono 44, di cui 4 uomini. Un fallimento assoluto”.

 Un fallimento anche contro la tratta?

“Soprattutto contro la tratta. Con l’ingresso in Europa di Romania, Bulgaria e stati baltici c’è stata un’ondata di ragazze che arrivavano da lì. Tedesche non ne trovi quasi più. Ragazzine in grande parte analfabete che arrivano da paesini sperduti nelle montagne e mantengono tutta la famiglia: sai che libertà! Tante rom, tante ragazze madri: le vedi anche per strada che battono con il bambino, poi quando arriva il cliente il pappone custodisce il piccolo. Una cosa straziante. Poi ci sono quelle che possono permettersi un posto nei bordelli per 140-160 euro al giorno. Sono enormi strutture private a più piani, un business colossale per i proprietari”.

 Quanto paga un cliente?

“Come saprai dipende dalle prestazioni. Di base, per una cosa normale, sui 40-50 euro. Ma quasi mai sono cose normali”.

 E quali cose sono?

“L’idea un po’ “romantica” e ingenua che gli uomini vadano a prostitute per farsi una s…a e via va dimenticata. Una s….a se la possono fare con chiunque. Mica è “Pretty Woman”: vengono da te per ben altro. Vedono il porno, ti chiedono di indossare falli artificiali, di travestirsi con parrucca o intimo femminile. Ci sono i feticisti, i coprofagi. Vanno molto i giochi con l’urina. Dall’anal sex alla zoofilia, un repertorio sterminato. Sono sporchi, maleodoranti, spesso ubriachi e strafatti. Pagano il diritto di scatenare quello che hanno dentro, e tu sei solo una latrina, né più né meno. Devi tacere, fare e lasciare fare, e saper fingere piacere. Ti pagano, e pretendono anche che tu sia soddisfatta delle loro prestazioni”.

Qual è il senso profondo dell’andare a prostitute?

Non si tratta di sesso. In questione c’è ben altro. E’ un mix tra il potere che ti dà il fatto di pagare e il piacere di umiliarti. Il tutto veicolato da una violenza di base. Hai a che fare con qualcosa di guasto”.

Una specie di camera di compensazione: mi svesto per un’ora o due dei ruoli che devo sostenere, mi concedo di manifestare una parte di me che normalmente devo tenere compressa e nascosta, un mio doppio impresentabile. La tua scelta di prostituirti la definiresti libera?

“Be’, allora ho scelto liberamente. Ma se non avessi avuto problemi di soldi, a questa “libertà” non avrei dovuto ricorrere. Fai quel mestiere perché sei in stato di bisogno. Punto. Quelli erano anche altri tempi. Negli anni ’70-’80 la quota delle “libere” professioniste era significativa. Ancora non c’era il fenomeno della tratta, che oggi copre il 95 per cento della prostituzione. Uno scenario drammaticamente diverso. Appena ho intravisto l’opportunità di uscire dalla prostituzione l’ho fatto. Ma io ho le mie risorse. Parlo 7 lingue, sono riuscita a trovare incarichi come traduttrice, interprete, davo qualche lezione… Poi nel ’92 sono stata assunta nella pubblica amministrazione. Mi sono sposata: mio marito conosce la mia storia. Ne sono uscita viva, ma non ho mai dimenticato. Per questo lavoro nei progetti di recupero”.

Si dice che con la legalizzazione la Germania è diventata il bordello d’Europa.

“Ci sono bordelli di uno squallore inimmaginabile. Le case “all you can fuck”, con un ingresso di 90 euro bevande comprese fai tutto quello che vuoi per il tempo che vuoi. Ci sono quelli dove puoi astenerti dal preservativo. E’ veramente dura, credimi. Ne sono uscita, ti dicevo, perché avevo risorse su cui puntare, ma c’è voluta una forza titanica. Anche lavorare nella riabilitazione non è semplice: ricordo il caso di un’ex-prostituta di Amburgo, Domenica Niehoff, che si è data molto da fare in progetti di recupero ma dopo un po’ ha mollato, non ce la faceva a reggere tutta quella miseria e quella disperazione”.

 Che cosa si dice in Germania di questa situazione?

La legalizzazione è unanimemente riconosciuta come un enorme fallimento. Ma è molto difficile uscirne. E’ un serio problema politico. Paradossalmente, proprio il fatto che c’è una legge ti dà pochi margini di manovra. Il business è floridissimo. A Saarbrücken, ai confini con la Francia, è stato da poco aperto un megabordello, una specie di filiale del famoso “Paradise” di Stoccarda. Lo hanno aperto per intercettare clienti francesi, visto che in quel Paese si stanno muovendo in senso restrittivo. E il proprietario di queste strutture è uno legato alla tratta. Del resto chi apre bordelli se non i malavitosi? Tra l’altro in questi bordelli le donne sono molto meno sicure che per strada! Ci sono state decine e decine di prostitute uccise in questi anni: altro che maggiore sicurezza! Al chiuso i rischi aumentano in modo esponenziale”.

 Tu sai che in Italia si sta discutendo di legalizzazione: l’esperienza tedesca dimostra che la strada è fallimentare. Che cosa si dovrebbe fare, allora?

“Bisognerebbe convincersi che la prostituzione oggi è essenzialmente schiavitù e non libera disponibilità del proprio corpo. Ci vorrebbe una forte azione delle forze dell’ordine congiunta alla volontà politica di affrontare la questione: non è difficile individuare le vittime di tratta. Quando vedi ragazze nigeriane, rumene, bielorusse per le strade di Milano che cosa pensi? Che sono libere professioniste? Se sono libere professioniste, bene: che emettano fattura, che si facciano pagare con carte di credito e denaro tracciabile. Si può scegliere la strada svedese o islandese della punibilità del cliente: lì andare a prostitute non è più considerata una faccenda normale. La popolazione andrebbe sensibilizzata: il tema non può essere il decoro urbano, il tema è che migliaia di schiave vivono in mezzo a noi. Ma il business è colossale, verosimilmente la partita è la stessa della droga, delle cooperative “sociali” che sfruttano i migranti. Ci saranno anche politici che difendono questi buoni affari”.

#ListenToSurvivors

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, Politica, questione maschile Febbraio 12, 2015

Ancora sulla prostituzione “legale”: parla Alessandra Bocchetti

Alessandra Bocchetti

Pubblico (e condivido senza riserve) questo intervento di Alessandra Bocchetti

IL BISOGNO DI SESSO E’ UNA REALTA’ CHE RIGUARDA UOMINI E DONNE

L’idea di dedicare alcune strade della capitale alla compravendita del sesso mi ha sgradevolmente colpito, così come l’idea più generale di regolamentare la prostituzione con tanto di elenchi depositati alla Camera di Commercio e ricevute fiscali.
Abbiamo una legge che proibisce il favoreggiamento della prostituzione, l’adescamento, la compravendita dei corpi, questo dovrebbe bastare.

A chi ci dice che è un problema di ordine pubblico rispondo semplicemente che la legge va rispettata.

A chi ci dice che è un bisogno naturale forte che si deve soddisfare, rispondo che siamo contrarie a considerare la sessualità maschile al di sopra delle leggi. Il bisogno di sesso è una realtà che riguarda uomini e donne, senza che questo debba produrre scandalo, sottomissione, schiavitù e perdita di dignità. I corpi non si comprano e non si vendono, chi lo fa lo fa per un gioco perverso, dato che ormai c’è libertà sessuale di tutti, o per avidità di denaro e mi rincresce pensare che questo gioco continui a cercare autorizzazioni pubbliche. Disgraziati e disgraziate invece sono coloro che lo fanno per poter sopravvivere, per mangiare e dar da mangiare o per paura. Di questo e non di altro lo Stato si dovrebbe preoccupare.

A chi ci dice che questo “ordine” nella prostituzione può contrastare la tratta degli esseri umani e la schiavitù, rispondo che, tra i servizi segreti, polizia internazionale e polizia di casa nostra, tratta e schiavitù potrebbero essere eliminate in poco tempo se solo lo si volesse veramente. Non è così.
E’ questo il vero problema da affrontare: la grande autorizzazione e connivenza che, implicite e esplicite, fanno vivere la prostituzione.

Donne e Uomini, questione maschile Febbraio 9, 2015

Prostituzione: il diritto maschile alla “scarica”. E tutto il resto. Come stiamo tornando indietro, incapaci di reagire

Meno male che c’è quel bravo ragazzo di Carlo Verdone, che intervenendo nel dibattito sulla prostituzione all’Eur e zona a luci rosse, la butta lì, quasi scusandosi: “è una mossa viziata da un errore etico di base, ammettere che il corpo femminile possa essere messo in vendita. Sarò all’antica e sarò ingenuo, ma non posso accettare una cosa simile“.

Intanto ci sono donne in Parlamento, come la senatrice Pd Maria Spilabotte, che progettano la legalizzazione della prostituzione: il mestiere “più antico del mondo” diventerebbe a tutti gli effetti “una professione come un’altra”, benché di “professioniste” autogestite si possa parlare a dir tanto nel 20 per cento dei casi, visto che per il restante 80 per cento si tratta di schiave sessuali. Sempre più giovani: Lolita, mica la Gradisca. Una pseudo-pedofilia. Come le ragazzine vendute con tanto di pezzo di marciapiede dai rumeni a Milano, o le “massaggiatrici” dei bordelli cinesi che infestano le nostre città.  Un bel quartierino ordinato a luci rosse, con tanto di controlli sanitari e dichiarazione dei redditi, e tutte le altre, 8 su 10, spesso prive di permesso di soggiorno, che continueranno a battere nascoste nel resto della città, reiette tra le reiette. Come se bastasse una decisione amministrativa a fare ordine in quel grande disordine simbolico che è lo sfruttamento sessuale.

Certo: spiacevole entrare nell’androne di casa tua e scoprire cliente e prostituta che si accoppiano, o affacciarti alla finestra e vedere auto in sosta che sobbalzano: ma che cosa ci preoccupa di più? il decoro dello stabile o la riduzione a povere cose di decine di migliaia di donne? Che cosa pensiamo di ottenere rivendicando di non vedere?

Il diritto maschile alla “scarica” è il grande indiscusso: la sessualità degli uomini è questo, non ci si può fare niente. C’è stato un tempo in cui si provava a parlarne, ma a quanto pare quel tempo è finito. Le cronache ci parlano degli aguzzini che sfruttano le ragazzine, ma mai una parola sugli uomini che di quella carne in schiavitù godono (rimozione assoluta del godimento femminile, la donna definitivamente Altra) e senza i quali il business non esisterebbe. Che gli uomini comprino carne di donna in vendita è un dato di natura immodificabile. Forse, anzi, si potrebbe mutuare dall’Islam l’istituto del matrimonio temporaneo o nikah al mutah (letteralmente: matrimonio di godimento), che consente ad un uomo di contrarre matrimonio per un periodo limitato nel tempo, qualche ora, qualche giorno: la prostituzione secondo il Profeta e la Sharia, nel caso 4 mogli non bastassero. Senz’altro più ordinato e decoroso che i copertoni per strada.

La grande normalizzazione, o backlash, prevede tra le altre cose anche il ritorno all’aborto clandestino, in assenza di qualunque discorso pubblico: se ne riparlerà a marzo al Parlamento Europeo, ma grandi mobilitazioni non se ne vedono, diciamo la verità. Quasi nessuna fa un plissé. Non vogliamo vedere, non vogliamo sapere, il femminismo di Stato va alla grande, 50/50 anche nelle assemblee di condominio, ma ”sottomissione” è una parolina molto up to date, l’illuminismo un vecchio arnese, l’ormai inevitabile civilization change prevede che si abbassi un bel po’ la cresta.

Recensendo il romanzo di Michel Houellebecq Marco del Corona sostiene che forse l’autore “vuole offrirci, dopo tanto scoramento, un barlume di speranza: se c’è un argine alla sottomissione romanzesca prefigurata da Sottomissione, può venire solo dalle donne”.

E lo psicoanalista Fethi Beslama, sottolineando che “l’assioma che soggioga la soggettività maschile è godere delle donne e odiare il loro desiderio”, (Dichiarazione di non sottomissione – Poiesis) e inscrivendo nell’agonia del patriarcato la violenza del fondamentalismo islamico, sostiene che “la catena della schiavitù e della politica disumana non può essere spezzata se le donne rimangono asservite a questa configurazione del femminile, chiuse sotto chiave dalla sovranità dispotica dell’uomo stallone”.

Cito due uomini, non due femministe. Non sarebbe il momento di discuterne?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, Femminismo, Libri Maggio 21, 2014

Il corpo non è (solo) mio

Ecco un post di Ida Dominijanni che potrebbe esservi sfuggito e che ragiona con molta intelligenza sulla questione che io avevo posto qui  (nota come diatriba tra femministe moraliste e immoraliste).

Ida cita la femminista americana Judith Butler, il cui percorso andrebbe osservato con grande attenzione. In particolare si riferisce a quel passaggio in cui Butler problematizza “il principio femminista della assoluta e intangibile sovranità individuale sul proprio corpo – ”il corpo è mio e lo gestisco io” – scrivendo che ”il corpo è mio e non è mio”.

Alcuni giorni fa, commentando il libro di Annalisa Chirico “Siamo tutti puttane”, un’amica scriveva amaramente Cara Marina, in giro c’è molto impazzimento e ci sono anche molte “figlie degeneri” del femminismo, inconsapevoli e consapevoli. Il libro della Chirico è il frutto impazzito del mito dell’autodeterminazione, anche per come la nostra generazione l’ha  elaborato e risputato“.

Mi pare che la mia amica e Dominijanni-Butler stiano dicendo qualcosa di molto simile.

Affermare “il corpo è mio” è stato necessario per dire che finalmente non era (più) proprietà di altri, e segnatamente del patriarca che ne disponeva. Voleva dire “il mio corpo non è tuo”, ed era la libertà di significare il proprio destino e la felicità del proprio desiderio (festosamente praticato, assicuro). Ma, più a fondo, significava che il corpo non poteva essere più pensato come oggetto né strumento per nessuno, nemmeno per noi stesse che lo “gestivamo”.

Dicendo ”il corpo è mio e non è mio”, Butler esplora questo fondo e rompe con l’inganno dell’individuo assoluto, ovvero sciolto da ogni legame e titolare di bellicosi diritti, fra cui quello di pensare il proprio corpo come strumento di una volontà immateriale che ne dispone. E assumendo che ciò che chiamiamo io è immediatamente in relazione, non esiste un solo momento in cui non lo sia. Che fuori dalla rete di relazioni che lo definiscono e lo contengono, nel bene e nel male, l’io non è. E che quello che faccio del mio corpo non riguarda solo me.

(forse oggi diremmo “il corpo sono io”, pur maneggiando con cautela sia il concetto di corpo sia quello di io).

A partire da queste considerazioni potrebbe forse riaprirsi il discorso sulla prostituzione, come fenomeno e anche come paradigma: in questo modo ci viene proposto da Chirico che, scrive Dominijanni, “associa il mito femminista dell’assoluta proprietà del corpo alla precettistica neoliberale dell’autoimprenditorialità e dell’autosfruttamento del proprio capitale umano, corporeo e sessuale. Siamo infatti precisamente a questo punto… al rischio della completa sussunzione della libertà femminile nella libertà di mercato“.

Per dirla alla buona: il corpo è mio e lo gestisco secondo le leggi di mercato.

Un nuovo discorso sulla prostituzione in effetti sembra piuttosto urgente: girano svariate proposte di legge accomunate dall’insofferenza alla legge Merlin, e che tendono non solo a normare e regolamentare, ma anche a “normalizzare” il sesso a pagamento come modello naturale delle relazioni tra i sessi.

Fra le tante cose scritte da Chirico -molte delle quali ibrido di furbizia e disinformazia: anche la propria intelligenza può essere gestita secondo le leggi di mercato- il vero colpo al cuore me l’ha dato vedere nominata Roberta Tatafiore. Che del suo corpo e della sua sessualità ha fatto, come direbbe Etty Hillesum, campo di battaglia. E non per partecipare a buchmesse o a talkshow, non per le leggi di mercato o per fare carriera, ma per amore dell’umano. E fino al suo ultimo respiro.

 

Donne e Uomini, Libri, media, Politica Maggio 14, 2014

Il fascino discreto del puttanismo

 

Annalisa Chirico, autrice di “Siamo tutti puttane” (a sinistra) e l’ormai immancabile Paola Bacchiddu, stranissima capa comunicazione della Lista Tsipras

Ci ho riflettuto un po’: ignorare? Poi ho pensato che di libri se ne vendono talmente pochi che anche quello di Annalisa Chirico non farà eccezione, e non sarà certo il fatto che ne scriva io a cambiarne la sorte. Quello che conta è l’indotto, il marketing: anzitutto il titolo, i passaggi in tv, il nome che circola, la firma che si consolida. E questo indotto è ormai assicurato, e il dibattito scatenato. Nel nostro Paese pornofilo e morbosetto il titolo “Siamo tutti puttane-Contro la dittatura del politicamente corretto” basta e avanza per fare il caso (lo sto ancora aspettando da Marsilio, non sono in grado di entrare nel dettaglio, mi riprometto di farlo: ma non voglio rimandare un post sul puttanismo con la sua vistosa fenomenologia).

L’ambizione femminile è sacrosanta –anche se troppa no- specialmente quando ci sono delle qualità: Chirico è una brava giornalista di nemmeno trent’anni, formazione radicale e libertaria, si è occupata molto di carceri e di giustizia, temi che non assicurano un’audience vastissima anche quando sei molto capace. C’è un orologio biologico anche nelle professioni, e a un certo punto devi svoltare. Il sistema mediatico resta saldamente in mani maschili, e non c’è niente che piaccia di più agli uomini di una donna che ammetta in modo complice il connaturato puttanismo femminile (con l’ovvia eccezione delle loro madri, mogli e sorelle), cioè quella disposizione a offrire il proprio corpo in cambio di vantaggi materiali: soldi, carte di credito, una macchina, un appartamentino, ma oggi soprattutto una carriera (l’emancipazione qualche variazione sui benefit l’ha apportata).

Non è una esattamente una notizia. Ci sono sempre state quelle che del loro corpo hanno ampiamente approfittato, anche nel nostro mestiere: potrei fare una sfilza di nomi e cognomi (ma mi querelerebbero) di colleghe che si sono aggiudicate una carriera, in genere piuttosto modesta e a termine, offrendosi ai loro capi. Sul momento, sarà capitato anche a Chirico, la cosa può innervosire, specie se sei più brava di loro. Ma portarsi addosso quello stigma –tutti sanno tutto- è una grande fatica. E se vali poco, poco continui a valere, specie quando il naturale sfiorimento fisico diminuisce le tue opportunità.

Ma l’avvento della libertà femminile, grazie alle madri di tutte noi –pure di Chirico- ha diminuito enormemente la necessità di ricorrere a certi espedienti per campare o per vivere bene. Possiamo guadagnarci il pane, non siamo più obbligate nemmeno a quel minimo fisiologico di puttanismo necessario a trovare un marito. Il corpo femminile può godersela senza doversi dare in-cambio-di. Quindi il puttanismo -sempre lecito, per carità- diminuisce in necessità e quantità (parlo dell’Occidente). Il titolo del libro sarebbe “Siamo sempre meno puttane” (e poi l’anti-political-correctness è roba veramente stravecchia, oggi va di più quel minimo di correttezza). Perché poi doversi dare in-cambio-di raramente è un’esperienza piacevole, specie se coatta, e se possiamo farne a meno è meglio. E’ quello che oggi la stragrande maggioranza di noi madri del West -che stranezza!- insegna alle figlie: NON essere puttane, perché grazie a Dio non ce n’è alcun bisogno per essere libere. E che questo sia un male, be’, è difficile sostenerlo. Il mondo va alla rovescia, ma non così alla rovescia. Per un bel po’ di anni questa pedagogia gentoriale minima ed essenziale ha dovuto vedersela con un bombardamento in senso contrario (corpo in cambio di merce), e non è poi così strano che adesso si pretenda di tenere piuttosto rigorosamente il punto, come in qualunque convalescenza o dopo qualunque eccesso.

Naturale che agli uomini la diminuzione della necessità puttanistica dispiaccia, perché diminuisce il loro potere d’acquisto. Anche la Bestia poteva possedere la Bella, remunerandola adeguatamente. E oggi c’è una quantità crescente di Belle e di Bellissime che non hanno bisogno di nessuno e fanno il gesto dell’ombrello. Qualunque cosa rassicuri gli uomini su questo fronte, per esempio garantire che sotto-sotto o sopra-sopra senza di loro non ce la caviamo, e che siamo sempre disponibili a essere carine, scatena le loro festose ole. Ma questa è una notizia priva di fondamento. Questa è una bufala, detto fra colleghe. La buona novella è che siamo sempre meno necessitate a essere puttane. A me pare buona, almeno.

Catturare l’audience vellicando l’orgoglio maschile ferito, in particolare nelle sue parti basse, non mi pare una strategia strepitosa. Al momento fai il botto, tutti i talk ti vogliono, entri a far parte del girone dei visibili e questo può dare una certa ebbrezza. Ma che io sappia queste cose hanno le gambe corte. E il down può essere bruttino. Attendo comunque il libro per entrare nel merito dei suoi argomenti.

Approfitto dell’occasione per tornare rapidamente sulla vicenda culo-Tsipras: dopo l’ormai celeberrimo e “geniale” bikini con relative gallery, la capa-comunicazione di Tsipras Paola Bacchiddu ritiene di non demordere e anzi rilancia, scattandosi un bel selfie con il libro di Annalisa Chirico. Dunque, vediamo, perché mi pare ci sia un bel po’ di confusione: la capa comunicazione della lista Tsipras sostiene Chirico, berlusconiana fervida e apertamente schierata, nientemeno che contro Barbara Spinelli, che della lista Tsipras è fondatrice e candidata, oltre che contro altre “veterofemministe” di cui la lista Tsipras presenta un discreto campionario,

Qualcuno spieghi a Paola Bacchiddu: a) che il compito di un ufficio stampa è dare visibilità al suo “cliente” -e non a se stesso- restando dietro le quinte   b) che normalmente un ufficio stampa sta dalla parte del cliente, e non dei suoi antagonisti dichiarati   c) che di fare la comunicazione di Tsipras non gliel’ha ordinato il dottore.

Ma magari sbaglio io. Sono tempi strani.

 

Aggiornamento venerdì 16 maggio:

il libro mi è arrivato, l’ho letto. Per fortuna è uno di quei libri che, diciamo così, si recensiscono da soli: temo che davvero con parole mie  non gli farei un buon servizio. Mi limito a riportarne alcuni passaggi significativi, che possono dare un’idea del tutto.

“ditemi chi tra voi non si sente un po’ puttana, suvvia, almeno un po’”.

“Siamo tutti puttane è un grido di coscienza, un’affermazione disinibita del sacro e inviolabile diritto di darla per interesse o per convenienza”.

“La differenza cruciale tra una puttana e una moglie sta nella durata”.

“Drive In è stato un autentico romanzo di formazione”.

“Le veterofemministe relegano la donna al ruolo di angelo del focolare”.

“Berlusconi… rivendica il diritto a una sfera privata ingiustamente violata”.

“Queste ragazze (quelle dei festini di Arcore, ndr) non si allineano al pensiero unico femminista, anzi lo sfidano a viso aperto, con una borsa in mano e un collier di perle intorno al collo”.

“Il vibratore… è una formidabile invenzione maschile pensata per le donne”.

“Consentire a qualcuno di vendere sesso è un atto altamente morale perché non abbiamo tutti le medesime possibilità di accesso al rapporto sessuale”.

“La prostituzione consente di migliorare la propria capacità di reddito indipendentemente dal punto di partenza”.

“Ritengo che la prostituzione possa essere un’opzione più che desiderabile… per un calcolo di utilità e di convenienza”.

“Il commercio sessuale serve a tenere in vita il matrimonio”.

“Provo un’autentica stima per la figura di Lina Merlin. Ciò non attenua però il giudizio negativo sulla legge che porta il suo nome”.

“La Donna Qualunque sa di essere seduta su un’impareggiabile fortuna”.

 

Non ho altro da aggiungere.

Corpo-anima, Donne e Uomini Dicembre 23, 2011

Auguri, ragazze cinesi!

Essendo che ogni volta che ci passo davanti ci penso, negozi di massaggi cinesi dappertutto nelle nostre città, tra le panetterie e i ferramenta, e immagino che non si facciano solo massaggi, lì dentro, ma ci siano anche ragazze che si prostituiscono, magari non in tutte queste botteghe ma in tante sì, e non riesco a essere indifferente, insomma, I care…

Essendo che sulla prostituzione ho sempre avuto un punto di vista piuttosto irriducibile e forse anche ideologico, pronta ad ammetterlo -ovvero penso che il sesso a pagamento resti una forma di sfruttamento, di chi paga su chi offre il suo corpo, e forse anche di chi offre il suo corpo su chi paga- e che non sia affatto un mestiere come un altro, pur con il massimo rispetto nei confronti di chi lo pratica e di chi ha opinioni diverse a riguardo…

Ed essendo infine che il nostro Paese probisce le case chiuse, grazie alla legge voluta dalla senatrice Merlin, e mi chiedo quindi se quei luoghi possano essere classificati come tali, e in quanto tali proibiti, sperando che i nostri amministratori locali possano presto accertarlo…

Ecco, per tutte queste ragioni voglio rivolgere un augurio particolare di Buon Natale e Buon anno alle ragazze che operano in quelle botteghe con orribile vetrina in bella vista, augurandomi quanto meno che si tratti di un business autogestito e che non serva a nutrire qualche orribile macrò, magari legato alla mafia cinese. Augurando loro soprattutto che, se lo desiderano quanto io lo desidero per loro, possano trovare presto un altro modo per sopravvivere.

Auguri, ragazze cinesi!

Donne e Uomini, lavoro, Politica Gennaio 28, 2011

PROSTITUTA??? PREGO, ESCORT

Ieri sera ad Annozero, c’è anche Nadia Macrì. Come si sa, la giovane donna ha rivelato di essere stata pagata dal premier per svariati rapporti sessuali. Qualcuno, sia pure con garbo, e sempre chiamandola “signora”, allude al fatto che è una prostituta. Sul megascreen lei sobbalza, sinceramente indignata. L’interlocutore corregge: “… scusi, escort”.

E’ interessante questa differenza,  perché pur sempre di prostituzione -sesso in cambio di denaro- si tratta. Ma la ragazza la sentiva profondamente, intimamente, convintamente. Provo a decodificarla.

La prostituta è una sfigata, la escort una vincente. La prostituta in genere ha un pappone, la escort un agente. Se fai la prostituta fai quello e basta, il lavoro di escort invece può abbinarsi a qualcos’altro: ospitate in discoteca, incursioni in tv ecc., Quella di prostituta è una condizione perenne, uno stigma che non ti leverai mai, quella di escort è una variazione nello showbitz, un passaggio, una cosa temporanea, poi puoi “farti una famiglia, avere dei bambini” o piazzarti molto bene in carriera, in tv, o anche in politica. Nessuno augurerebbe alla propria figlia di fare la prostituta, ma un giro da escort si può fare: la mamma di Macrì dice che le dà “un po’ fastidio”, ma niente di più. E poi, certo, la prostituta va con tutti, la escort è solo per ricchi e famosi.

Continuate voi…

nadia macrì

Donne e Uomini, Politica Settembre 9, 2010

NON RACCONTIAMOCI BALLE

angela napoli

Duramente cazziata da tutti la parlamentare Angela Napoli, colpevole di aver affermato in un’intervista a Klaus Davi: “Non escludo che senatrici o deputate siano state elette dopo essersi prostituite. Purtroppo può essere vero e questo porta alla necessità di cambiare l’attuale legge elettorale“. “E’ chiaro — ha proseguito — che essendo nominati, se non si punta sulla scelta meritocratica la donna spesso è costretta, per avere una determinata posizione in lista, anche a prostituirsi o comunque ad assecondare quelle che sono le volontà del padrone di turno”.

Barbara Saltamartini, responsabile delle Pari opportunità del Pdl, ha detto di vergognarsi terribilente per quanto detto dalla collega. Furiose anche Beatrice Lorenzin e Alessandra Mussolini, che chiede “la convocazione immediata dell’ufficio di presidenza della Camera dei deputati per prendere i provvedimenti del caso”.

“Ledere la dignità delle deputate con accuse generalizzate quanto teoriche” ha detto Gianfranco Fini “non può essere consentito. Mi auguro che la deputata se ne scusi”. La deputata si è scusata.

Ora: sparare nel mucchio non è corretto e finisce per screditare tutte, in particolare le più avvenenti. Parlare di prostituzione forse è eccessivo. Ma anche a me,  a essere onesta, è capitato di sentire politiche, non solo pidielline, lamentarsi della rapidissima carriera di alcune colleghe che erano state opportunamente “carine” con il capo o con i suoi scherani. Ed è vero, purtroppo, che la legge elettorale, così com’è configurata, consente di amministrare i posti in Parlamento come succulenti premi.

Capita anche nelle altre professioni, compresa la mia. Niente che faccia più rabbia, e forse più paura, di quelle che vanno avanti sulle proprie gambe, e non grazie alle proprie gambe. E quindi: via, non raccontiamoci balle…