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Donne e Uomini, economics, Politica Dicembre 9, 2011

Se Non Ora Ancora, Se Non le Donne chi?

Indetta prima della manovra Monti, la manifestazione che domenica 11 porterà di nuovo in piazza Se non ora quando in varie città, la parola d’ordine se l’è data da sé: questa manovra colpisce le donne ben più degli uomini. Se lì dove si decide e si “manovra” le donne fossero di più, l’esito sarebbe stato diverso.

Ecco una lettura dell’economista Elisabetta Addis:

Se Non Ora Quando ha chiesto dignità per le donne italiane. Per dare alle donne la dignità che meritano bisogna mettere il lavoro delle donne al centro dell’agenda politica del Paese. Non c’è crescita economica, né sviluppo umano, se non si tengono in considerazione tutti e due i lavori fatti dalle donne, quello retribuito e quello non retribuito.
Con la manovra del governo Monti le donne pagheranno un prezzo spropositato. E per loro non c’è «pacchetto»: in cambio dei sacrifici non viene né dato né promesso niente. Solo tolto.
Le donne della generazione Cs (cinquanta-settanta) continueranno a lavorare e a versare contributi. Non si è tenuto conto del fatto che andando in pensione spesso si sarebbero occupate di nipoti per cui non ci sono asili nido, di genitori anziani per cui non ci sono case di riposo. Con le loro famiglie, sopporteranno da sole il costo dell’aggiustamento. Dallo scorso governo, in cambio dell’aumento dell’età pensionabile delle donne, si era riuscite ad ottenere il patto del «tesoretto». Cioè, i risparmi fatti sulle pensioni delle donne sarebbero dovuti servire a costruire asili nido, case per anziani, per dare occupazione regolare per le giovani donne, togliendole dalla precarietà.
Non era un governo credibile, e non avrebbe mantenuto. Da questo governo serio ci aspettavamo impegni, non promesse. Invece il governo offre soltanto una defiscalizzazione, non specifica per le donne, ma comune anche ai giovani. Cioè le imprese sceglieranno forse di non assumere maschi adulti, ma non di assumere donne piuttosto che giovani uomini. Eppure noi donne abbiamo dimostrato, con la proposta sul «tesoretto» e con la manifestazione del 13 febbraio, di essere un soggetto politico autonomo ed in crescita, di avere le nostre priorità e i nostri obiettivi. Eppure, il tema del lavoro delle donne è al centro della riflessione anche della Banca d’Italia e del Rapporto Annuale della Banca Mondiale.
In Italia, nell’età da lavoro cioè tra i 15 e i 64 anni, ci sono solo 23 milioni di persone occupate. 15 milioni che non sono occupate, e di esse quasi 10 milioni sono donne. Solo il 47% delle donne ha un lavoro e un salario. Meno di una su due, nel Sud meno di una su 3.
La mancanza di un lavoro e di un reddito autonomo impedisce alle giovani donne di perseguire i loro progetti di vita, e tra essi anche il progetto di diventare genitori. Per questo abbiamo chiesto di ripristinare la normativa che impedisce alle imprese di chiedere alle giovani una lettera di licenziamento in bianco da usare se restano incinte. E allo stesso tempo abbiamo chiesto di liberare in parte le imprese, dai costi per la maternità, finanziando i periodi di congedo dei genitori non più con contributi a carico di lavoratori e imprese ma con la fiscalità generale.
Sappiamo bene che questa è una manovra obbligata, necessaria a salvare l’Italia da un default che costerebbe ben di più di quel che pagheremo ora. Vogliamo anche noi, come Monti, che l’Italia resti in Europa, e che l’Europa metta in comune democraticamente anche le politiche fiscali. Sappiamo che l’approvazione dipende dai voti di due parti politiche opposte. Ma ugualmente, dopo la buona partenza fatta attribuendo a donne ministeri importanti, si è rimasti un po’ al di sotto delle aspettative: le sottosegretarie sono di qualità, ma troppo poche, e la manovra è fintamente neutra tra i due sessi: in realtà peserà ben di più sulle donne che sugli uomini. Non è equa dal punto di vista di genere.
Come ha mostrato il precedente governo, non può bastare la presenza nei governi di donne, anche se belle. È certamente un passo avanti la presenza di donne competenti. Andando in piazza l’11 dicembre vogliamo ricordare che bisogna anche fare in modo serio quel che l’Europa ci raccomanda daanni: riorientare le scelte di politica economica per considerare i problemi di genere, cioè la delicata interazione tra lavoro retribuito e lavoro utile che viene svolto da uomini e donne nelle famiglie, e fare crescere l’occupazione femminile. Se non ora, quando?

Ecco tutti gli appuntamenti per domenica 11 dicembre, oltre a ROMA  piazza del Popolo, ore 14.

ANCONA – ore 11.30 piazza Roma

AOSTA – ore 17.30 appuntamento all’Espace Populaire in via Mochet 7

ARIANO IRPINO (AVELLINO)  – ore 11.00 manifestazione in Piazza del Plebiscito

BOLOGNA – Il comitato aderisce ma non ci saranno manifestazioni in città,  si confluirà a Roma o in altri luoghi che fanno iniziative. Il comitato SNOQ di Bologna rende noto che sta preparando una iniziativa nazionale sul lavoro femminile per febbraio 2012

CASTAGNETO CARDUCCI/DONORATICO – ore 10.00 piazza della Stazione

CHIETI – ore 10 Largo Martiri della Libertà

CREMONA – ore 17.00 Piazza Roma, flash mob “Oltre lo specchio- cr”

DOMODOSSOLA – ore 16.00 Centro servizi del volontariato, vicolo Facini 2 –

FIRENZE – il comitato SNOQ sta organizzando un pulmann per Roma,

FORLI’ –  ore 15.oo fino alle 18.00, gazebo informativo del comitato SNOQ in piazza 90 Pacifici,

GENOVA – ore 14.00 Largo Pertini

LUCCA – ore 16.oo Piazzale Verdi presidio itinerante

MANTOVA – ore 15.00 piazza Martiri di Belfiore

MESSINA – ore 17.00 incontro presso la Chiesa Valdese di Via Laudamo per un dibattito aperto.

MODENA – ore 15.oo piazza Sant’Agostino

NAPOLI – Il comitato di Napoli aderisce alla manifestazione a Roma  

PARMA – ore 10:15 presso il Teatro al Parco (nel Parco Ducale) si terrà l’incontro “Stiano pure scomode, signore!” una conversazione con Giancarla Codrignani, Benedetta Pintus, Isa Ferraguti

PERUGIA – ore 16.00 iniziativa Le strade delle donne un corteo di donne e di uomini che partirà alle ore 16.00 da Porta Sant’Angelo e si snoderà lungo le vie della città toccando luoghi simbolo delle donne

RAVENNA – dalle 16.00 mobilitazione itinerante per il centro storico con tre stanziamenti a piazza dell’Aquila, piazza del Popolo,  San Domenico Via Cavour.

ROMA – ore 14 in piazza del Popolo

ROVERETO – ore 14 in piazza delle Erbe

SALERNO – ore 10.30 in piazza Ferrovia

SAN MINIATO (PISA) – Ore 10.00 Piazza del Bastione

SASSARI – ore 17 in piazza Castello sit-in “il mondo che vogliamo”

TARANTO – ore 17.00 presso il salone di rappresentanza della provincia, allestimento della mostra della pittrice Roberta Pepe che ha realizzato quadri sulla violenza alle donne. Discussione sul documento da presentare ai segretari di partito.

TORINO – ore 14 in piazza Castello –  PER INFORMAZIONI http://www.facebook.com/events/184279461666407/

TRIESTE . ore 10 presso il CRAL della stazione marittina assemblea cittadina ed eventuale corteo fino a Piazza dell’Unità.

VENEZIA – ore 10.30 davanti alla stazione Santa Lucia

VERONA – distribuzione di una lettera per le strade della città, con musica e altre iniziative –

Donne e Uomini, economics, Politica Dicembre 6, 2011

Continueranno a evadere

Mi auguro non sia solo un esercizio di retorica dire che questa manovra, che fa esultare i mercati, nella sua sostanza non va. La speranza è che ci sia un dibattito parlamentare vero e che almeno alcuni degli emendamenti vengano accolti.

Questa manovra non va per due grandi ordini di ragioni: a) non è sufficientemente equa b) non vi è alcuno spiraglio che lasci intravedere all’orizzonte un modello diverso da quel capitalismo finanziario che ci ha portati alla catastrofe: in buona sostanza, le logiche con cui si cura il male sono le stesse che l’hanno causato.

Sull’equità: tra le molte questioni, la domanda principale è per quale ragione la manovra sostanzialmente non intervenga sul problema dell‘evasione fiscale, problema numero uno del nostro bilancio. Perchè? Se tutti pagassero quanto devono saremmo fuori dai guai. E’ evidente a tutti che il limite di 1000 euro per la tracciabilità è una misura insufficiente e facilmente aggirabile. Ergo: si potrà tranquillamente continuare a evadere, e nessuno denuncerà gli evasori, non avendone alcuna convenienza. Questo renderà insopportabile ogni sacrificio, insieme al forte peso simbolico del non-intervento sui costi della politica -la casta non voterebbe mai una manovra che contenesse seri provvedimenti anti-casta-. Quanto a questioni simboliche, anche la Chiesa -la Cei concorda sul fatto che la manovra avrebbe potuto essere più equa- dovrebbe spontaneamente offrirsi fare la sua parte, versando l’Ici sul suo cospicuo patrimonio immobiliare, circa 50 mila immobili sul territorio italiano in gran parte non adibiti a esercizio del culto.

Sul “modello”. Leggo sul Corriere, non su un foglio rivoluzionario, le riflessioni del premio Pulitzer Adam Haslett: “Sia al di qua che al di là dell’Atlantico, le esigenze delle élite finanziarie si scontrano con la volontà popolare, apertamente ignorata” (…) “E’ assai poco rincuorante constatare che l”attuale crisi non rappresenta che un semplice ingranaggio nell’evoluzione storica complessiva del capitalismo occidentale, che continua a redistribuire la ricchezza verso l’alto, a indebolire le istituzioni democratiche e a concentrare il potere nelle mani di pochi individui“. Considerazioni perfino “banali”, che raccontano qualcosa che è sotto gli occhi di tutti.

Molto difficile che siano dei professori di economia a portarci fuori da questa idea di economia.

Ci sarebbero tantissime altre cose da dire. Ne dico almeno un’altra: si conferma l’idea che le donne conquistino la parità lavorativa solo in uscita (età pensionabile), con pensioni mediamente inferiori del 30 per cento a quelle degli uomini, continuando a erogare -anzi aumentando- le loro prestazioni di welfare vivente. Su questo conviene a tutti continuare a non vedere e a tacere. Mi auguro che non tacciano le donne di Se non ora quando che l’11 dicembre manifesteranno a Roma.

L’augurio è che la partita non sia ancora del tutto chiusa. Il problema è come riuscire a farsi sentire.

Donne e Uomini, esperienze, Politica Dicembre 5, 2011

La ministra più bella del mondo

Ci sono gesti molto più politici di un decreto, c’è un simbolico che sposta di più che mesi e mesi di dibattito parlamentare. Di questi gesti, da parte della ministra del Lavoro Elsa Fornero, ieri ne abbiamo visti due.

La mattina, ricevendo la delegazione dei “giovani”, vedendo che erano tutti maschi ha espresso il suo sconcerto, dicendo che “così non si va da nessuna parte”, e indicando la strada: se vogliamo andare da qualche parte, le donne devono essere protagoniste della politica a tutti i livelli. E’ la prima volta che capita.

La sera, illustrando in conferenza stampa i provvedimenti sulle pensioni, è scoppiata in lacrime mentre stava pronunciando la parola “sacrificio”, senza riuscire a dirla. Lacrime di empatia e di compassione per tutti quelli che soffriranno, a causa di questo provvedimento, dopo un ventennio di sentimenti ad personam. Lacrime, forse, di rabbia, per lo scacco, per non essere riuscita a trovare e imporre un’altra soluzione. Un pianto che dice l’enorme peso della responsabilità, sentita fino in fondo, qualcosa a cui non eravamo più abituati, e forse perfino la colpa, interamente assunta, benché le colpe non siano sue ma interamente di altri. Che racconta più di mille parole la drammaticità di questo momento della nostra storia: questa manovra non ci mette affatto e definitivamente in sicurezza. Che dice l’impossibilità di separare il ruolo pubblico dai sentimenti privati, la finzione di questo dualismo. Che lascia una traccia, un indizio prezioso per un modo femminile di intendere la politica, e per tutte quelle che vi si avventureranno.

Ora analizzeremo la manovra nei dettagli. La prima cosa che mi sono sentita di dire è questa. Che Elsa Fornero è la ministra più bella del mondo. 

 

economics, Politica Dicembre 3, 2011

Ok, tranquilli: pago io

illustrazione di Emanuele Fucecchi per Il Fatto Quotidiano

Dopo aver appreso che il prof. Mario Monti pensava seriamente di presentare la sua manovra da Vespaprimo orribile deja vu-, eventualmente con lavagnetta, altro contratto con gli italiani? prima ancora di presentarla in Parlamento, programmino poi opportunamente cambiato in corsa, ma che comunque lascia veramente sbigottiti –ma come diavolo gli sarà venuto in mente?- faccio due conti e apprendo che, come al solito, a pagare sono io (e anche buona parte di voi, credo): secondo orribilissimo deja vu.

Sono lavoratrice dipendente. E mi sento pure in colpa per questo, essendoci un sacco di gente che il lavoro non ce l’ha. Il mio reddito, immagino come quello di moltissimi di voi che leggete, sta in una di quelle aliquote per le quali si prevede il ritocco Irpef. Bene.

Ho una casa di proprietà (mutuo ancora in corso) e una casa al mare (mutuo estinto), per le quali pagherò Ici o Imu e super Ici o super Imu. Più varie altre nuove tasse e tassette (passi carrai, ecc.).

Per il mio lavoro di welfare vivente (casa, figlio, mamma, e via dicendo) non percepisco redditi, e quindi evado alla grande.

Insomma, non sono povera, e non sono ricca. Non riesco a risparmiare più niente. Valuto attentamente tutte le spese che faccio. Pochissimi capricci, quasi zero: per fortuna non sono una donna viziata.

Ok, anche stavolta pago io. Perché non vedo serie misure sull’evasione fiscale (i finti poveri, come li chiama Massimo Fracaro sul Corriere di oggi): gli straricchi che non denunciando nulla, già non pagano nulla. E non vedo misure che incentivino la denuncia dell’evasione, pratica in cui ci imbattiamo ogni giorno e che anzi, se devo dire, mi pare capillarmente aumentata: se io non posso in qualche modo dedurre, se non ho una contropartita dal fatto di pretendere ricevuta fiscale, non cambierà mai un accidente, ci arriva anche un bambino.

E poi non vedo seri tagli ai vitalizi della “casta”. Non vedo Ici sul patrimonio immobiliare ecclesiastico. Non vedo tagli alle spese militari. Non vedo tasse sulle speculazioni finanziarie. Non vedo imposte salatissime per gli inquinatori.

 Soprattutto, non vedo un’idea di Paese, di crescita, una visione, qualcosa che vada oltre l’idea angusta di un ragionieristico pareggio di bilancio, ammesso e non concesso che ci arriviamo.

Tanto, se non ci arriviamo, nessun problema. Pago sempre io.   

 

Donne e Uomini, economics, Politica Settembre 21, 2011

Se non ora, a breve. E se non le donne, chi?

il 13 febbraio a milano

A quanto pare sono le donne il vero “soggetto” politico in questo Paese. Si guarda a loro per il cambiamento, in tutti i sensi. Per il rinnovamento politico, per la rinascita economica. E anche gli uomini, sempre più uomini -tolti quelli della politica e dei partiti, tolti gli uomini che occupano i posti di potere- cedono loro il passo.

Una manovra durissima, soprattutto per le cittadine, e a quanto pare inefficace, e ti senti lo sguardo addosso: “Che cosa dite? Che cosa fate?”. Tutti sentono che la forza è lì, e solo lì. Nessun partito, nessun sindacato oggi ha lo stesso potere di mobilitazione e di proposta politica, ed è bene che le donne lo tengano presente, perché loro stesse forse sono incredule e comprensibilmente un po’ spaventate da questa immane responsabilità. Fra qualche giorno leggerete un sondaggio esclusivo di Io donna che dà una precisa dimensione a ciò che dico, e con i suoi risultati sorprendenti dà forma a questa domanda che il Paese reale rivolge alle donne, a questa fiducia nella loro forza e nella loro competenza.

Bisogna che noi donne lo teniamo ben presente, perché non lo leggeremo sui giornali, salvo eccezioni, e non lo sentiremo alla tv. Il Paese virtuale, il Paese fittizio costituito da uomini che non vogliono perdere le loro posizioni con relative rendite, preferisce rappresentarci in un altro modo. Minori, vittime, preferibilmente svestite, e a disposizione di ogni bisogno maschile, dalla scarica sessuale al soddisfacimento di qualunque necessità materiale, materia prima e risorsa illimitata, da sfruttare senza riserve, roba che “deve circolare” (e quanti uomini di buona volontà si sono profondamente vergognati per la boutade…)

Sarà quindi bene che le donne rinfreschino la memoria a questa gente, dimostrando che il 13 febbraio non è stato uno scherzo, non è stata una scarica motoria priva di conseguenze, che il Paese reale ne è uscito cambiato nel suo Dna. Sarà bene che le donne oggi dettaglino la loro proposta politica. A quanto pare le cose si stanno muovendo in questo senso, a quanto si stanno scaldando i motori.

Vi tengo aggiornate/i. Intanto ascoltate che cosa ha da dirci questa signora, una di quelle che hanno riportato galla a un paese in bancarotta, l’Islanda. Sentite quando racconta di sua madre e delle altre islandesi che un bel giorno hanno incrociato le braccia tutte insieme, fermando le attività produttive, e anche il lavoro di cura, e di quando è stata eletta la loro presidente…

http://www.ted.com/talks/lang/ita/halla_tomasdottir.html#.TniunJUrwho.facebook

economics, Politica, TEMPI MODERNI Settembre 20, 2011

Ricambio radicale: è questione di ore

Ed eccoci qua: Standard and Poor’s ha deciso di tagliare il rating sul debito italiano, portandolo da “A+/A-1” ad “A/A-1”, con outlook negativo.

Il declassamento dell’Italia, spiega Standard and Poor’s in una nota, riflette le deboli prospettive di crescita del paese, la fragile coalizione di governo” ma anche “le differenti posizioni politiche all’interno del Parlamento” che continuano a “limitare la capacità del governo di rispondere in modo deciso alle sfide macroeconomiche sia a livello interno che internazionale”.

L”agenzia di rating boccia senza appello la manovra, che indebolirà ulteriormente la crescita e renderà molto più arduo il risanamento.
Restano le inefficienze del settore pubblico e la relativamente modesta attrazione di investimenti dall’estero, nodi che le autorità italiane appaiono “riluttanti” a risolvere.

Il programma di consolidamento dei conti pubblici non sarà facilmente raggiungibile per tre motivi: la debolezza economica dell’Italia; il programma di risanamento basato su un aumento delle entrate dal 2011 al 2014 che sarà difficilmente raggiunto in un paese già gravato da un’alta pressione fiscale; infine i tassi di interesse previsti in aumento.

Il governo resta «riluttante a affrontare i problemi» più importanti: mercato del lavoro rigido e tale da escludere troppe persone, settore pubblico inefficiente, protezionismo di fatto nei confronti degli investimenti esteri.
Ma il problema non sono solo il governo o la maggioranza. S&P’s registra il sabotaggio al cambiamento da parte di quasi tutti, che per gli analisti resta «la principale ragione di debolezza… istituzioni politiche, aziende in posizione dominante, gli statali, i sindacati del settore pubblico e privato bloccano la capacità del governo di agire».

L’agenzia registra l’opera d’interdizione in parlamento, in luglio, delle misure di liberalizzazione degli ordini professionali; quindi ricorda la fallita cessione di Alitalia a Air France a causa del veto dei sindacati. E conclude: «Non è chiaro cosa si possa fare per rompere il blocco fra queste istituzioni politiche e il governo».

L’unica, forse, è che salti in blocco tutta la classe dirigente. Che l’Europa ci mandi dei commissari, che blindi questo governo di incapaci mentre ci si prepara a un ricambio radicale. Che le piazze si riempiano per chiederlo con forza. Ormai è davvero questione di ore. Come nota Tito Boeri, c’è “una tassa aggiuntiva che paghiamo per ogni giorno in più in cui Silvio Berlusconi rimane a Palazzo Chigi”.

N.B. mentre si affonda il premier resta tutto preso dai suoi processi, dai suoi troiai e dai suoi party -mica vorrete che la sera non si diverta un po’, con tutti i dispetti che gli stanno facendo…- -quindi gli resta poco tempo per governare, e dà ad Angela Merkel della “culona inchiavabile” mentre l’Eurozona rischia di saltare, con effetti simili a quelli di una guerra. E il suo collega Bossi non smette di delirare sulla Padania.

Il New York Times consola gli americani: “Pensate all’Italia e a Berlusconi e tutto vi apparirà migliore”.

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Settembre 14, 2011

Caro Presidente Napolitano: noi donne, welfare vivente…

Carissimo Presidente Napolitano,

non so bene come si scriva a un Presidente della Repubblica. Ma se è consentito, carissimo davvero: con tutta la riconoscenza di chi si sente tutelata dalla sua saggezza, dalla sua sollecitudine e dal suo equilibrio.

Questi sono giorni di grande fatica per il nostro Paese, e alla riserva di fiducia abbiamo già abbondantemente attinto. Ad aggravare ulteriormente i pesi si prospetta la possibilità di una manovra aggiuntiva, sacrificio che attende ansiosamente di essere compensato da una maggiore chiarezza sulla direzione che abbiamo intrapreso: quale Paese? quale crescita? quale sviluppo?

Purtroppo questi pesi, carissimo Presidente, non appaiono equamente distribuiti fra le cittadine e i cittadini. Alle donne anche in questa circostanza è chiesto molto di più. Di salvaguardare il buon andamento della vita familiare e del bilancio domestico, pure disponendo di minori risorse. Di garantire qualche forma di risparmio a tutela della sicurezza della famiglia, benché da accantonare resti ben poco. Di continuare a farsi carico, vero welfare vivente, di tutto il necessario lavoro di cura, e in particolare dei bambini, degli anziani e dei non autosufficienti: lavoro preziosissimo, dato per scontato e scarsissimamente condiviso. E anzi, di farsene carico sempre di più, visti i tagli a servizi già insufficienti, pur cercando di non perdere il posto di lavoro, se si ha la fortuna di averne uno, magari precario e a tempo determinato: il rischio di entrare a fare parte dell’ampia schiera delle inoccupate per non uscirne più è molto concreto, in assenza di misure di sostegno all’occupazione femminile. Questo anche se autorevoli economisti ci hanno più volte spiegato, dati alla mano, che a un aumento dell’occupazione femminile corrisponderebbe un significativo aumento del Pil, con l’effetto virtuoso di produrre ulteriore occupazione.

E invece del lavoro delle donne non si parla più, se non in riferimento al momento dell’uscita, con l’età pensionabile in via di progressivo innalzamento: la sola parità che sia stata effettivamente riconosciuta, e in qualche modo inflitta. Perché quanto all’ammontare delle pensioni femminili, mediamente più basse di oltre il 30 per cento rispetto a quelle maschili, restiamo dispari. Disparità che va ad aggiungersi a quella del doppio o triplo ruolo, dato per scontato e indiscutibile. Qualcuno ha calcolato che ritardando il pensionamento, tra maggiori contributi versati e minori quote di pensione erogate, ogni donna “regalerà” allo stato tra i 40 e i 50 mila euro: un tesoretto che il Governo si era impegnato a destinare ai servizi per la famiglia, promessa puntualmente disattesa di fronte alla necessità impellente di fare cassa. Che alle donne tocchi lavorare fino a 65 anni significa anche che le giovani non potranno più contare sulle loro madri, ancora impegnate nel lavoro, per un aiuto con i bambini, ammesso e non concesso che sia giusto chiedere loro di compensare la carenza di servizi facendosi carico dei nipoti oltre che degli anziani genitori, necessità che con l’allungamento della vita media si pone sempre più frequentemente.

Insomma, Signor Presidente, le donne in questo Paese sono intese, volenti o nolenti, come una risorsa illimitata a cui attingere secondo necessità e ad libitum. La crisi lì non è contemplata. Proviamo a immaginare che cosa accadrebbe se tutte le italiane incrociassero le braccia anche per una sola giornata: e forse dovrebbero farlo, per rendere visibile nel momento in cui manca la preziosità di un lavoro che nessuno vede, nessuno monetizza, nessuno calcola nella sua centralità e nel suo immenso valore .

Se è vero che tra i passi necessari l’Europa ci chiedeva la parificazione dell’età pensionabile, è altrettanto e dolorosamente vero che in nessun altro Paese europeo la fatica femminile è tanto grande, i servizi così carenti, le pretese maschili così irriducibili: circostanze che probabilmente vanno in gran parte ricondotte a un’inadeguata rappresentanza politica femminile -anche qui siamo maglia nera-. Se le decisioni pubbliche non fossero prese quasi esclusivamente da uomini probabilmente non ci troveremmo in questa situazione, o quanto meno le soluzioni adottate non sarebbero queste.

Le chiedo perciò, carissimo Presidente, come si possa emendare questa profonda ingiustizia, confidando nella sua sensibilità e nella sua attenzione.

Voglia gradire i più cari saluti

 

Donne e Uomini, Politica Settembre 12, 2011

Contrattacco?

Le donne di questo paese, quelle che l’hanno scaravoltato il 13 febbraio, che poi si sono ritrovate a Siena, che stanno costantemente in rete, avrebbero avuta in queste ultime settimane molta altra materia di extramobilitazione: dalla manovra, che fa sempre più conto sulle loro forze di welfare vivente beffandole con la parità a senso unico dell’età pensionabile, alle orripilanti barzellette-lapsus del ministro Sacconi, al ringalluzzirsi delle pubblicità sessiste, quelle che contano sull’appeal del corpo femminile per eccitare i consumi depressi (vedi i recenti casi Fracomina, ambigue affissioni sugli autobus cittadini, o le mutande maschili indossate da bella ragazza).

Non sta capitando. Le reazioni sono state piuttosto doverose e flebili. C’è da capire perché. E’ stanchezza? Sfiducia? O si stanno semplicemente raccogliendo le forze per un nuovo slancio, preferibilmente in zona elezioni? Lo dico perché perfino una conquista minima (e anche grande), come quella del rispetto, può essere messa in pericolo da questo apparente senso di smobilitazione. Il contrattacco si sente nell’aria. Anche la grande stampa, che pure per una volta aveva dovuto dedicare molte pagine alle questioni poste dalle donne, attribuendo loro un’egemonia nella lotta per il cambiamento, sembra riassestarsi su un’ordinaria disattenzione, e anzi tende a silenziare il tema della distribuzione dispari dei sacrifici imposti da una manovra che costerà più alle donne che agli uomini. Anche Maurizio Ferrera, autore del dibattutissimo “Fattore D”, nel suo editoriale in prima sul Corriere di oggi, in cui pure si parla di pensioni e di welfare, bypassa del tutto la faccenda.

Che cosa sta capitando, mi chiedo? E non puntando l’indice, ma per proporre-rci una riflessione.

AMARE GLI ALTRI, ambiente, economics, lavoro, Politica Settembre 11, 2011

Ma la nave dove diavolo va?

Sul Corriere di oggi (Renato Mannheimer, pag.5) leggo che solo il 6 per cento degli italiani direbbe sì alla richiesta di nuovi sacrifici. Non che sia sorprendente. Non si tratta tanto, io credo, del fatto che uno più di tanto non può essere spennato, essendo che le penne finiscono. Il fatto è che è possibile decidere di tirare la cinghia, e anche molto, ma in vista di un obiettivo chiaro.

E’ l’economia del buon senso, l’economia domestica che tutti pratichiamo: devi fare una spesa straordinaria, devi comprare una casa a tuo figlio, o ristrutturare, o arredare, o anche meno, e cerchi per un certo periodo di tagliare su quello che non è strettamente necessario. Ti dai un obiettivo e ti dai dei tempi ragionevoli per realizzarlo.

Il fatto è che molti di noi, la maggioranza di noi, ha la spiacevole sensazione che questi sacrifici siano a fondo perduto, che l’obiettivo sia molto fumoso -non affondare, ok, ma per intraprendere quale rotta?-, che non sia chiaro che cosa si vuole costruire e da quale parte si vuole andare. A questo si aggiunge la sfiducia in coloro che dovrebbero condurre la nave in porto, di qualunque porto si tratti: potremmo anche accettare di navigare a vista, fidandoci del comandante. Ma è evidente che non è questo il caso.

La spiacevole sensazione -e i non-tagli sui costi della politica la confermano- è che buona parte di questi pensino fondamentalmente ai cavoli propri, razziando tutto il possibile prima di affondare, che il bene pubblico non stia esattamente in cima ai loro pensieri, che non siano proprio degli illuminati, che manchino la passione politica, la cultura, lo sguardo necessari all’immane impresa.

Sono convinta che se sapessimo da che parte stiamo andando la fatica di remare ci peserebbe meno. Sentiremmo di partecipare a un’impresa comune. Accetteremmo di condividerere il rischio. Uscendo dalla metafora nautica, manca del tutto una visione. E anche quando si parla genericamente di crescita e sviluppo, non è chiaro che cosa dovrebbe crescere, che cosa dovrebbe svilupparsi.

Manca un’idea di paese. Quali sono i nostri atout, i nostri talenti, le risorse su cui puntare? Che cosa ci fa credere nell’Italia? Facciamo un esempio: le incredibili bellezze artistiche e naturali, non basta una vita per esplorarle tutte, un grandissimo dono di Dio che ci rende una nazione unica nel mondo. Ecco, la bellezza, il nostro senso innato per la qualità, le nostre eccellenze potrebbero essere le carte che noi abbiamo da giocare nell’economia globale? E questo il compito che ci è stato dato? Oppure il nostro grande talento per le relazioni, che ha dentro il nostro bene e anche il nostro male, come il familismo amorale:  potrebbe essere una risorsa da fare crescere? E per conseguire l’obiettivo, quali strutture, quali indirizzi, quale ricerca, quale formazione?

Insomma: qual è il paese che abbiamo in mente? Che cosa ne dite?