Browsing Tag

crisi

economics, TEMPI MODERNI Gennaio 14, 2010

UNA COSINA FINE

ford20assembly20line

Molto interessante, qualche giorno fa sulla Stampa, un bilancio degli effetti della crisi sull’occupazione a firma dell’economista Luca Ricolfi. Se vi era sfuggito, ve lo ripropongo in sintesi.

La perdita di 400 mila posti in due anni, dice Ricolfi, ha colpito i gruppi sociali più forti: “Per operai e impiegati i nuovi posti di lavoro hanno sostanzialmente eguagliato i posti di lavoro perduti… Per i lavoratori indipendenti, invece, le chiusure di attività hanno largamente superato le aperture, con un saldo negativo di 402 mila unità”. Quindi la crisi non ha colpito le fasce più deboli.

Ma la cosa sorprendente, nota Ricolfi, è questa: gli oltre 400 mila posti di lavoro perduti sono il saldo fra un crollo per gli italiani (quasi 800 mila posti di lavoro in meno) e un sensibile aumento per gli stranieri regolari (quasi 400 mila posti di lavoro in più)”. E  perché la crisi colpisce di più gli italiani? Spiega Ricolfi: “Il nostro sistema economico riesce a creare quasi esclusivamente posti di lavoro poco appetibili, che gli italiani rifiutano e gli stranieri accettano… Non per la ragione che molti immaginano, però, ossia a causa della bassa qualificazione degli stranieri. Il livello di istruzione degli stranieri è analogo a quello degli italiani (10,2 anni di studio contro 10,9). La differenza è che «loro» vivono in un altro tempo, che noi abbiamo dimenticato. Un tempo in cui l’importante era avere un lavoro, non importa quanto adeguato alla nostra immagine di noi stessi, un tempo in cui fare sacrifici era normale, un tempo in cui il benessere non era considerato un diritto”.

Bell’e che smontato l”argomento retorico e xenofobo secondo il quale “gli stranieri ci portano via il lavoro” -ammesso che ci lo usa ci abbia mai creduto davvero-. Quello che “ci portano via” è il lavoro che noi ci rifiutiamo di fare. Ed è su questo che vorrei riflettere con voi: dovremmo sentirci in colpa per le nostre “pretese”? Dovremmo ridimensionarci -downshifting, detto in modo chic- e scalare marcia?

Mi viene in mente la signorina snob di Franca Valeri: “Pronto, mamma? Ho deciso di cercarmi un lavoro. Ma una cosina fine…”.

economics Marzo 24, 2009

SE FATE PROGRAMMI

NOSTRADAMUS Quartina VII, 35:

  • La gran borsa sarà in pianto a pensare

  • d’avere scelto persone sbagliate,

  • ben pochi con quelle più vorran stare,

  • crollata sarà per lingue truccate.

Secondo alcuni complesse esegesi, che qui vi risparmio, la crisi economica si protrarrà fino al 2012. Se fate programmi, tenetene conto. E non storcete il naso, per piacere. Lo so da me che ci sarebbe ben altro di cui discutere -per esempio questa brutta storia del papa e dei preservativi-. Ma stamattina vi dovete accontentare. E converrete sul fatto che questa “gran borsa” è sorprendente.

Politica Marzo 14, 2009

PRONTI AD ASTENERVI?

Può essere che io sbagli, fare di questi conti non è il mio mestiere, ma a meno di sorprese immagino che alle prossime elezioni l’astensionismo di sinistra si farà sentire. E si qualificherà in buona parte come un’astensione amara ma attiva, finalizzata ad accelerare un processo -quello di un ricambio radicale– che continua dolorosamente a segnare il passo.

Si tratta, per quei politici di sinistra che resistono caparbiamente sulle proprie rendite di posizione, di assumersi invece le proprie responsabilità di fronte a una situazione che si configura in questo modo: centrodestra trionfante, disfatta della sinistra, vuoto di opposizione; e nessuna conflittualità sociale di fronte alla più grossa crisi economica che i baby boomers abbiano mai conosciuto. Un silenzio sordo che non promette niente di buono, e che sembra preludere a esiti violenti e a risposte autoritarie.

E’ facile che mi sbagli, ma lo zeitgeist a me pare questo. E chiedo agli elettori di sinistra: sareste pronti ad astenervi?

TEMPI MODERNI Marzo 12, 2009

ANCHE I MANAGER PIANGONO

Solo per segnalarvi un libro che sto leggendo, mi sta piacendo molto, e amaramente divertendo: di Massimo Lolli, Il lunedì arriva sempre di domenica pomeriggio, Mondadori. Manager cinquantenne disoccupato -storia di strettissima attualità, avete visto le code degli ex-manager agli uffici collocamento negli States-, gran figo del Nordest, siamo nella zona di Vicenza, che si ritrova improvvisamente sfigato, e si arrabatta tra colloqui di lavoro e storie di sesso, cercando un modo per ricominciare. Non ho idea di come vada a finire, sono a pag.101, e comunque non ve lo direi. Ma la sera vado a letto volentieri, con questo romanzo sul comodino. Un consiglio di tutto cuore…

P.S.: Una notizia drammaticamente in tema, dalla cronaca del Corriere di oggi.

«Licenziati» da un video sul Web. Centocinquanta dipendenti della Metis spa sono diventati «esuberi» dopo aver ascoltato dal computer dell’ufficio un messaggio dell’amministratore delegato pubblicato sulla rete Intranet. L’annuncio, in sintesi, diceva: la crisi è dura, siamo costretti a ridimensionare le forze… Tradotto: il capo vi taglierà con un clic. «Sarà lasciato a casa quasi un quarto dei dipendenti, 150 persone su 550, e sono già in ferie forzate i primi 35-40 dipendenti» denunciano i lavoratori della Metis. Uno choc. Reso ancora più duro dallo strumento scelto dai vertici della spa per comunicare i tagli: non una lettera, non un colloquio, ma un filmino stile YouTube.

economics Marzo 6, 2009

MERDA IN PIAZZA SCALA

E voi che che cosa fate? Quei quattro soldi (o quanti ne avete), li lasciate in banca? (della Borsa non parlo nemmeno). Ho sfogliato i giornali, stamattina, e dopo aver visto le prime pagine sull’anno terribilis e sulla stretta creditizia, e i titoli sull’azienda Italia a rischio fallimento, e poi l’opposizione che non c’è, Califano e l’8 marzo, lo stupro nel super di Lambrate, e di conseguenza dopo aver letto il titoletto di Repubblica “Merenda in Piazza Scala” come “Merda in Piazza Scala” -il cervello fa quello che può, l’inconscio fa il suo onesto lavoro, e voi sapete che tra soldi e cacca vi è una certa quale affinità-, sono tornata alla prima pagina e mi sono domandata, per tornare a bomba: che cosa si fa? quei quattro soldi li si lascia in banca? E se no, dove?

esperienze Gennaio 30, 2009

AGGANCIATI ALLE STELLE

In momenti come questi, nell’attesa di capirci qualcosa, uno riduce, sfronda, sta all’essenziale, rinvia le iniziative, restringe gli orizzonti, si attiene a uno scabro terra-terra. E però, dico io, lo spirito non costa niente e frutta moltissimo.
Chi per lavoro frequenta gli Stati Uniti dice che certo, lì la crisi si sente, eccome. Ma mentre qui annaspiamo nelle sabbie mobili della mediocrità, con l’unica speranza di continuare a galleggiare, magari tirando sotto gli altri, lì si sente che stanno spingendo tutti insieme, e verso l’alto. La verticalità dell’etica protestante, probabilmente. La convinzione che solo con le buone opere ti conquisti la grazia. Un fare ardente e intriso di spirito, che premia il meritevole perché sarà lui a trainare tutti fuori dai guai.
Non vorrei che qui invece la crisi ci radicasse nel triste convincimento che se finora siamo stati fermi –e da quanto!- a questo punto meglio immobili del tutto, acquattati, invisibili, mimetizzati sullo sfondo come quegli animali che prendono il colore della roccia o del muschio. Mentre sarebbe il momento di osare, carichi della propria originalità, finalmente liberi da quel pessimo surrogato dello spirito che è il troppo. Sarebbe il momento di far saltare lo stramaledetto tappo. Di sognare per fare nuova realtà, tenendo l’orizzonte spalancato al possibile, pronti alla muta radicale. E invece: tutti barricati, in difensiva, a raschiare il fondo, abbarbicati alle proprie posizioni, raccomandati e garantiti contro la minaccia del nuovo che spinge per rivelarsi e mettersi al mondo.
Come si fa, a non lasciarsi sommergere dalla mota per riuscire ad ascoltarlo, questo nuovo che arriva? Un po’ di fiducioso silenzio, secondo me. Attrezzare in se stessi un “camerino” in cui potersi ritirare. Yoga, scrittura, lettura. Cucinare, prendersi cura. Non farsi distrarre tropp dalla cronaca politica. La rete, poi, mezzo congeniale allo velocità dello spirito: qui l’exploit deve ancora venire. Respirare. Volere bene agli altri. E poi attardarsi a contemplare certi sogni: come quel cielo africano di qualche notte fa. Fittissimo di stelle, e tutte quante cadenti, neanche una che stesse ferma dov’era. Non una cometa sola, alcuni milioni. Un’esplosione di gioia cosmica, per annunciare chissà che cosa. Tenersi agganciati alle stelle.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 24 gennaio 2009)

TEMPI MODERNI Dicembre 7, 2008

IN CAMPAGNA

Sono qui, in campagna. Il mare là sotto è piuttosto agitato, ma l’onda delle crisi non sembra ancora arrivata. Forse perché qui, a tutta quella panna che si è catastroficamente smontata, non ci hanno mai creduto più di tanto. La terra è sempre stata solo la terra, il cielo il cielo, la legna legna, la pioggia pioggia. Confortevolmente immutabili. Dopo la neve vengono le gemme, dopo le gemme i fiori, e dopo i fiori i frutti. Garantito. Si tratta di assecondare il processo. Il resto è secondario. L’impressione di “staccare” -noi metropolitani di tanto in tanto “stacchiamo”- stavolta è più netta che in altre occasioni. La sensazione che qui è più facile che vengano buone idee.

Mi sento un po “sfollata”, insomma. Fa bene ogni tanto guardare le cose da altri punti di osservazione.

TEMPI MODERNI Dicembre 6, 2008

NON RISPARMIARE SUI SOGNI

Si deve lavorare sodo, stare tutti uniti. E non risparmiare sui sogni. Il peggio deve ancora arrivare, dice Barack Obama. Il Censis fotografa un’Italia “impanicata” e abbarbicata all’essenziale, dove ciascuno ha paura per sé. Manca la dimensione collettiva della crisi. E invece il segreto è qui. Uscire dalla cultura del “borgo” e del campanile, aprirci all’altro, anche all’altro più altro, accettare e assecondare il cambiamento.

E io aggiungo, non smettere di sognare. Non cadere nella trappola di un realismo sterile. Moltiplicare le occasioni di sogno, in cui la crosta dura della realtà si crepa e permette allo sguardo di arrivare altrove, tenere aperto ogni spiraglio da cui può passare il bene che può capitare. La realtà non è che un precipitato dei sogni. E’ questo, oggi, il solo realismo che ci serve.

Cercare di capire che cosa ci è indispensabile per non smettere di sognare e stare al cospetto di altro. Che cosa ci serve per tenere acceso il fuoco. E su quello no, non risparmiare. Ditemi la vostra.

TEMPI MODERNI Dicembre 4, 2008

EX-CONSUMISTI?

Oggi vorrei sapere da voi che cosa provate quando vi sentite dire -da chi produce, dai commercianti, dal governo-: spendete, comprate, consumate! Se credete in questa strategia, e se la praticate (pur nei limiti della busta paga). E che genere di Natale state allestendo? queste feste sono una prova generale, non credete? una premonizione significativa del modo in cui vivremo.

Su che cosa state tagliando, se state tagliando -immagino di sì- e su quali consumi invece tenete duro? La luce? Il riscaldamento? La palestra? La qualità e la quantità del cibo? I viaggi? Le vacanze? L’elettronica? L’abbigliamento? Le spese per la casa? I consumi culturali? Come vi difendete dagli abusi, dai prezzi che restano spesso elevati, dalle richieste folli degli artigiani (idraulico, falegname, elettricista) che continuano caparbiamente a voler vivere in un iperuranio milionario? Che cosa fate dei risparmi, sempre che riusciate a risparmiare? E che cosa state dicendo ai bambini? (non vi hanno mai visti fare tanti conti…)

Vi siete fatti un’idea su che cosa ci aspetta, nel bene e nel male, fuori da questo storico tunnel? Se e come cambieranno i consumi e tutto quello che ci gira intorno, quali saranno i segni indelebili, negativi e positivi, che questa crisi traccerà sulla nostra -occidentale- way of life, e via dicendo. Forza, ditemi tutto, non vedo l’ora di sapere.

P.S. E se avete dei trucchi da suggerire, in cambio tutta la nostra gratitudine! Trucchi, ed energia. Grazie.

Donne e Uomini, TEMPI MODERNI Novembre 25, 2008

MAMMA, AIUTAMI!

un toro. non una mucca

un toro. mica una mucca

Scrive in un commento Giuly: “C’è questa ricerca dell’Università di Cambridge che sostiene che ci sia la possibilità che le bolle economiche siano un fenomeno maschile legato al livello di testosterone.
Mettiamola in termini di ormoni, di yin e yang, usiamo qualsiasi archetipo o simbolo ma mi sembra veramente incredibile che si possa ancora pensare che il fallimento che è sotto gli occhi di tutti possa essere sanato dallo stesso pensiero unico che lo ha causato. Scusate, sono ripetitiva ma mi sembra ogni giorno più incredibile…”.

Mettiamola così -e per l’ennesima volta, prima o poi ci entrerà in testa…-: che se il genere umano è bisessuato, una ragione ci sarà; e se uno dei due sessi impone la sua differenza come assoluto, se pretende di rimanere solo a decidere delle cose del mondo, lo squilibrio è inevitabile; e se dopo parecchi millenni di questo sistema monosex il pianeta è affaticato e isterilito, a qualche correttivo in direzione di una gestione collaborativamente bisessuata si dovrà pur pensare. Quanto all’economia in particolare, propongo a Giuly e a tutti gli altri una lettura “di genere” della crisi, confortata dalle opinioni di una signora che se ne intende.

Questa mia intervista a Loretta Napoleoni è comparsa su Io donna – Corriere della Sera sabato 22 novembre (un po’ lunghetta, lo so, per un blog, ma fate un sforzo, credo che ne valga la pena).

Se sulla crisi si facesse un sondaggio tra le donne di tutto il mondo, se si chiedesse loro come la stanno vivendo si registrerebbe un’immensa rabbia. Non solo perché non sono state loro a inventare il gioco anti-economico globale che ci ha messi ko, ma anche per il fatto che il loro saper fare economico, con al centro la vita e il desiderio, non viene interpellato.
Vale anche per le dottore in economia. Salvo rare eccezioni: come Loretta Napoleoni, romana trapiantata a Londra, grande esperta mondiale di terrorismo ed economia, consulente di Bbc e Cnn, editorialista per The Guardian, Le Monde, El Paìs, L’Unità e autrice di numerosi saggi.
Una che interviene senza timidezze. Nel suo “I numeri del terrore”, scritto con Ronald J. Bee (Il Saggiatore), ha lucidamente previsto la crisi globale. E condivide l’opportunità di darne una la lettura “di genere”.

“C’è molto malcontento tra le addette ai lavori” conferma “anche se solo a porte chiuse. La paura di esporsi è molto forte. Nel Women in Banking and Finance, network internazionale di operatrici del sistema bancario e finanziario, si dice che se alla guida delle banche ci fossero state delle donne tutto questo non sarebbe successo. Ma far passare i propri criteri è ancora più difficile che arrivare al top”.

E quali sono questi criteri?

L’uomo tende al gioco e all’azzardo: qui, poi, il rapporto tra il rischio e l’eventuale guadagno era sproporzionato. Anche se fosse andato benissimo, cioè, il gioco non sarebbe valso la candela. Per le donne invece il perno è il risparmio”.

L’Islanda alla bancarotta ha chiesto aiuto alla “mamma”: a traghettare il paese sono state chiamate due donne, Elìn Sigfùsdòttir e a Birna Einarsdòttir, con l’idea di “cambiare la cultura rischiosa dei bonus e delle stock option”. Che cosa hanno in mente di fare?

“Hanno impostato un programma di carattere keynesiano: in poche parole, incentivi all’economia reale e abbandono di ogni logica di rischio”.

Ma su questo, più realtà e meno azzardo, oggi sembrerebbero d’accordo tutti, donne e uomini…

“Solo a parole. In realtà di fronte alla necessità di un vero cambiamento gli uomini sono molto reticenti. Il terreno della finanza ad alti rendimenti non è stato affatto abbandonato. La convinzione è che si debba resistere fino al 2009, e poi le cose torneranno come prima. Oggi in borsa si specula al ribasso: il caso più eclatante è stata la Volkswagen. La logica resta l’azzardo. Che si tratti di una crisi di sistema non è stato affatto metabolizzato. La parola d’ordine maschile è ‘tenere duro’. Quella femminile è ‘fuori di qui’”.

E fuori di qui che cosa c’è?

“L’accettazione vera della fine di questo sistema. L’adesione convinta alla necessità di un mercato regolato. Una logica del risparmio che poi è la stessa che le donne agiscono con competenza nella gestione dei bilanci familiari. La centralità dell’attività reale. L’accettazione del rischio d’impresa, ma riducendo al minimo quello legato al debito. Un’idea del denaro per la vita, non del denaro per il denaro. L’applicazione in grande, insomma, di quelli che sono già i comportamenti economici femminili”.

La teologa svizzera Ina Praetorius dice che i modi in cui si organizza l’ambiente domestico –‘economia’ vuol dire questo: legge della casa- dovrebbero diventare il modello per il mondo intero. Si può fare?

“Ci sono banche, come l’australiana Westpac, che lavorano già così. Che hanno sezioni femminili, dove le clienti, dall’imprenditrice alla donna di casa, vengono seguite, finanziate, assistite nei loro business. Il microcredito, al 90 per cento gestito da donne, è applicabile con successo anche nei paesi sviluppati, non solo in quelli poveri. Sempre in una logica di legame con l’attività reale, la vita e i bisogni”.

Nel suo libro lei dice che la crisi è maschile anche perché la causa principale è nell’enormità di risorse investite dagli Usa nella lotta al terrorismo.

“Bush aveva ereditato da Clinton un piccolo surplus. Oggi lascia un deficit di 9500 miliardi: tutto per la guerra al terrorismo. In più le restrizioni imposte dal Patriot Act hanno indotto il sistema bancario internazionale a dirottare gli investimenti dal dollaro all’euro. Diminuendo la domanda mondiale di dollari, la moneta Usa si è indebolita. E i paesi che vendono petrolio e materie prime, pagati in dollari svalutati, hanno alzato i prezzi. A tutto questo si è intrecciata la paura del terrorismo: a ogni minaccia di attentato il mercato ha reagito alzando il prezzo del petrolio. Che almeno fino al 2004, quindi, è salito solo per la speculazione sulla paura e per la caduta del dollaro”.

Lei dice anche, dati alla mano, che questo allarme terrore non è giustificato…

“A dispetto dell’opinione comune, dall’11 settembre l’attività terroristica è cresciuta solo nel mondo musulmano. L’Occidente è stato molto più insicuro negli anni della Guerra Fredda, sia per numero di attacchi che di vittime. L’unica ad aver guadagnato dalla paura, quindi, è stata l’alta finanza, che ha potuto speculare. In più il terrorismo ha distratto dall’economia il governo americano, e anche quello inglese. Hanno lasciato andare il mercato. La crisi dei mutui, l’impoverimento e l’indebitamento delle famiglie si inseriscono in questo scenario di guerra”.

Come ne usciremo?

“Solo con politiche veramente rivoluzionarie. Un nuovo New Deal. Il modello neoliberista non funziona, verità che le donne hanno accettato. Servono regole. Se non una “global governance”, regole rigide applicate in tutti i paesi, come prima della globalizzazione. Ho cominciato a lavorare nella City nel 1981, e quando suonava la famosa campana il mercato si chiudeva. Oggi sulle piazze telematiche compri e vendi quando ti pare. Non si può tornare alla campana, ma gli stati devono poter controllare quello che succede, stabilendo regole del gioco da seguire, pena l’esclusione”.

Quanto tempo ci vorrà per uscirne?

“Dipende da che cosa si farà. E non è detto che si farà quello che si deve. Non meno di 4-5 anni, comunque”.

Quello che faranno gli Stati Uniti è decisivo?

“Decisive saranno le scelte di Cina, Russia, Brasile e India, i 4 paesi “brick”, come si dice. La Cina ha già tagliato i tassi di interesse e sta investendo nelle infrastrutture statali: in pratica un New Deal. La Russia è intervenuta sul mercato finanziario e sta per farlo sull’economia. E ha molti soldi, il 12-13 per cento delle riserve mondiali di danaro. Soldi reali. Economia reale: quella che piace alle donne”.

Come possiamo far sentire la nostra voce?

“La crisi è una grande opportunità. Bisogna dire quello che pensiamo, sempre e ovunque: nei canali alternativi, sui blog, nel web… Bombardarli di pensiero femminile, senza paura. Perché il problema è anche questo: le donne tacciono. Sono bravissime e competenti, ma non osano. Per questo bisogna fare network, aiutarci, imparare a riconoscere l’autorità dell’altra. Non accontentarci di essere poche prime della classe, mosche bianche tra gli uomini. Così non si combina nulla”.