In momenti come questi, nell’attesa di capirci qualcosa, uno riduce, sfronda, sta all’essenziale, rinvia le iniziative, restringe gli orizzonti, si attiene a uno scabro terra-terra. E però, dico io, lo spirito non costa niente e frutta moltissimo.
Chi per lavoro frequenta gli Stati Uniti dice che certo, lì la crisi si sente, eccome. Ma mentre qui annaspiamo nelle sabbie mobili della mediocrità, con l’unica speranza di continuare a galleggiare, magari tirando sotto gli altri, lì si sente che stanno spingendo tutti insieme, e verso l’alto. La verticalità dell’etica protestante, probabilmente. La convinzione che solo con le buone opere ti conquisti la grazia. Un fare ardente e intriso di spirito, che premia il meritevole perché sarà lui a trainare tutti fuori dai guai.
Non vorrei che qui invece la crisi ci radicasse nel triste convincimento che se finora siamo stati fermi –e da quanto!- a questo punto meglio immobili del tutto, acquattati, invisibili, mimetizzati sullo sfondo come quegli animali che prendono il colore della roccia o del muschio. Mentre sarebbe il momento di osare, carichi della propria originalità, finalmente liberi da quel pessimo surrogato dello spirito che è il troppo. Sarebbe il momento di far saltare lo stramaledetto tappo. Di sognare per fare nuova realtà, tenendo l’orizzonte spalancato al possibile, pronti alla muta radicale. E invece: tutti barricati, in difensiva, a raschiare il fondo, abbarbicati alle proprie posizioni, raccomandati e garantiti contro la minaccia del nuovo che spinge per rivelarsi e mettersi al mondo.
Come si fa, a non lasciarsi sommergere dalla mota per riuscire ad ascoltarlo, questo nuovo che arriva? Un po’ di fiducioso silenzio, secondo me. Attrezzare in se stessi un “camerino” in cui potersi ritirare. Yoga, scrittura, lettura. Cucinare, prendersi cura. Non farsi distrarre tropp dalla cronaca politica. La rete, poi, mezzo congeniale allo velocità dello spirito: qui l’exploit deve ancora venire. Respirare. Volere bene agli altri. E poi attardarsi a contemplare certi sogni: come quel cielo africano di qualche notte fa. Fittissimo di stelle, e tutte quante cadenti, neanche una che stesse ferma dov’era. Non una cometa sola, alcuni milioni. Un’esplosione di gioia cosmica, per annunciare chissà che cosa. Tenersi agganciati alle stelle.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 24 gennaio 2009)

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •