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Dopo vent’anni complicati, culminati in una crisi globale, Li Edelkoort è finalmente felice di annunciare che il ventennio a partire dal 2011 -lei “vede”in anticipo di un biennio- sarà addirittura splendido. Fine della rabbia e della paura, ripresa dell’economia e una migliore convivenza umana, con relativi riflessi nella moda e nel design, i suoi specifici settori di previsione. E se lo dice lei, direttora della Design Academy Eindhoven e insuperata guru del trend, a cui da più di un trentennio si rivolgono le maggiori maison di moda & altro per pianificare la loro produzione –Edelkoort, secondo Time, è tra le 25 personalità più influenti nel mondo del gusto-, ci sono ottime probabilità che anche stavolta ci abbia azzeccato.
Insieme all’altro guru Chris Anderson, direttore della rivista Wired e anticipatore della social network revolution, l’olandese Edelkoort è stata la guest star della prima edizione del Capri Trendwatching Festival, convegno sugli stili di vita del prossimo futuro

organizzato dalla Fondazione Capri. Chiedo a Mrs Edelkoort come fa, da dove le vengono le visioni che alimentano le sue profezie: “Questa volta” dice “sono stata ispirata da un senso di liberazione e di sollievo. Qualcosa che finalmente ricominciava a fluire. Come l’acqua, in tutto il suo ciclo, dalla sorgente alle profondità marine. Quando ho una visione mi metto in ascolto con precise tecniche, giorno dopo giorno, per captare quello che viene avanti, e visualizzarlo in immagini dettagliate”.
Edelkoort declina la ritrovata fluidità in una moda che per la primavera-estate 2011 vuole tessuti lievi e trasparenti come acqua sorgiva, lini leggeri, drappeggiati e a strati. Tessuti a rete, pizzi e jabot che fanno pensare alla schiuma del mare. Crepe fluttuanti, tele stonewashed e gommate. Colori della primavera –l’energetico giallo soprattutto- che evolvono nel bianco in tutte le sue nuance, in riflessi di scaglie e madreperla, nei blu marini e dilavati; ma anche nei toni fangosi degli estuari, nell’ocra e nel corallo del Mediterraneo, drappeggi e sandali da dee greche, fino all’esplosione cromatica dei pesci tropicali e degli uccelli della foresta pluviale.
Fluidità e scambio di energie anche per il design, pensato per una vita condivisa: intimità, semplicità, un mix di passato e nuove tecnologie. “Agli esseri umani” dice Edelkoort “piace il due. La nuova unità di misura sarà la coppia: non solo tra partner, ma anche tra amici. E tra nonni e nipoti, nuova coppia su cui sollecito l’attenzione del marketing. L’individuo avrà tempi duri, sarà sempre più impopolare. I giovani hanno una grande voglia di stare e lavorare insieme, e non hanno più fretta di scappare dalla famiglia: il gap tra generazioni si è ridotto. La piramide del potere si appiattisce verso un’orizzontalità in cui non c’è più un boss, e ciascuno è chiamato a dare il suo meglio”.
Il design conseguente: linee chiare ed essenziali. Cose impilabili, che stanno facilmente insieme, semplici da trasportare. Materiali high-tech, fibra di carbonio, acciaio, metalli splendenti come gioielli. Prodotti industriali, ma anche cose artigianali e uniche che insieme formano una “famiglia”. Oggetti di recupero, il passato reinventato per il futuro, forme organiche, il calore del legno e della pelle. E molto giallo, anche per la casa. Un bisogno di autenticità e di calore che troveremo in un sorso di buon cognac, nella campagna, nel cibo autentico e “lento”.
Fuori casa, nel macro, la visione di Edelkoort predice una nuova diffusa fiducia: “… l’economia volerà! Questa crisi non l’abbiamo determinata noi, quindi riprenderemo a consumare senza sensi di colpa”. Una società più femminile (“Saremo tutti più donne”), reticolare, centrata sulle relazioni e indifferente alla finzione dei ruoli. Politici carismatici, sul prototipo Obama. Perfino il terrorismo allenterà la sua morsa. Insomma, una meraviglia.
I temi di Edelkoort, in effetti, ricorrono nelle previsioni di molti altri trendsetter che hanno preso parte all’eccellente convegno caprese: tra gli altri lo scrittore Bruce Sterling, il fashion designer  Walter Van Beirendonck, l’antropologo dello streetstyle Ted Polhemus, il filosofo Fulvio Carmagnola. E nelle rilevazioni degli urban watchers, “lettori” dei segni di cambiamento del gusto e degli stili di vita sguinzagliati in una trentina di realtà urbane sparse per il mondo, da Londra a Bangalore, New York, San Paolo, Tokyo: cosiddetti snodi glocal, indizi locali con un potenziale globale.
Ed ecco alcuni di questi indizi. Il nuovo non basta, ci si volta indietro: le vecchie danze riproposte in una ballhouse berlinese; i pub in stile “soviet-nostalgia” a Mosca; un locale anni Settanta a Bogotà, intitolato a un immaginario senor Armando Fuentes, vissuto all’epoca. Bisogno di intimità: luoghi pubblici allestiti come case, tipo “Alice in Wonderland”, salone di bellezza madrileno che sembra la casa della nonna; e, a Milano, 4th floor, parrucchiere che riceve nella sua elegantissima casa un solo cliente per volta (già apprezzato da varie celebrities); house concert, musica dal vivo per pochi intimi, in clima di amicizia.
Altra tendenza, il Supergreen, ovvero l’idea sempre più diffusa di una sostenibilità ambientale “smart”, lontana dall’idea di rinuncia. Una frugalità-felicità, semplificazione volontaria dello stile di vita che coniuga etica, estetica, benessere e qualità. Secondo Marco Roveda, eco-imprenditore, il 35 per cento della popolazione occidentale è già su questa strada, che entro breve sarà maggioritaria. Ed ecco le bellissime case 100 k (100 mq per 100 mila euro) di Mario Cucinella, a basso impatto e a basso costo; la vecchia ferrovia sopraelevata di New York che i cittadini hanno fatto diventare un enorme giardino pensile; i congegni per un monitoraggio costante dei consumi; il boom di corsi di taglio e cucito negli Stati Uniti, per farsi i vestiti da sé; il trionfo della bici, con google map per ciclisti; i gesti di eco-guerriglia: “bombe” di semi, parcheggi occupati con giardini temporanei. E un design che coniuga sostenibilità e bellezza. Bellezza che invade come un virus la vita quotidiana: è la cosiddetta Daily Aesthetics. L’arte contemporanea esce dai luoghi istituzionali per installarsi nei vuoti urbani: i cubi di vetro per mostre d’arte a Seoul, l’arte in piscina a Berlino, le vetrine per giovani artisti nel quartiere a luci rosse di Amsterdam; l’ex macello di Madrid e altri luoghi dismessi utilizzati per mostre e performance; il museo all’aria aperta a Mosca, il corpo come mezzo artistico, in una body art diffusa. Una generale estetizzazione delle merci e degli oggetti di uso comune tanto che, come dice la critica della moda Maria Luisa Frisa, “a volte cerchiamo qualcosa di “normale” e non lo troviamo più!”.
La città diventa uno spazio espressivo da fruire attivamente e creativamente. Segni anticipatori: i raduni estemporanei basati sul passaparola e sul tam tam in rete, i party lampo nei Bancomat a Berlino, i blue-tooth per fare amicizia in metrò. E ancora: i Guerrilla-Drive in, proiezioni cinematografiche spontanee sui muri delle periferie urbane; un po’ di Pilates aspettando il bus, e il city-fit, su e giù per i grattacieli di Londra e New York; i negozi nomadi e a sorpresa. Un’architettura urbana “non-definita” come dice Mario Lupano, storico dell’architettura contemporanea “piena di “crepe” che chiamano all’uso pubblico di una città sempre più aperta”.
Il Capri Trendwatching Festival si chiude con la perturbante tendenza al “Free” (gratis), titolo dell’ultimo libro di Chris Anderson (pubblicato in Italia da Rizzoli), principio che sta rivoluzionando marketing ed economia. Come si può fare business a partire dal prezzo-zero introdotto dalle merci digitali, gratuità che si va diffondendo oltre la rete? “La chiave” dice Anderson “è il free-mium (free+premium), opposto esatto della pubblicità. Nella pubblicità il prodotto viene raccontato prima, con la possibilità che chi lo acquista resti deluso. Nel caso del free-mium l’accesso al prodotto è immediato e gratuito, e in seguito se ne introducono versioni a pagamento”. Anderson fa l’esempio di un videogioco popolarissimo in America: il 95 per cento accede gratis, il restante 5 per cento compra la possibilità di esplorare di più, di ridurre i tempi, e via dicendo. Altro esempio, gli e-book, i libri pubblicati sul web: “Quando offri il tuo lavoro gratis, se quello che hai scritto è buono” garantisce Anderson “diventi subito famoso. Ci sarà sempre una quota di lettori che vorrà possedere fisicamente quel libro e lo comprerà. E avrai la celebrità, con i suoi vantaggi e il suo indotto”.
Inutile del resto, avvisa il guru, lottare contro il “gratis”: è come cercare di resistere alla forza di gravità.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera l’8 novembre 2009)

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