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futuro

economics, esperienze, TEMPI MODERNI Settembre 3, 2011

11 settembre: perché non posso non dirmi americana

La madre di mia madre era nata a Pittsburgh. “Pittsburgh, PA”, precisava con pignoleria amministrativa. Di quella prima infanzia americana le restavano vaghi ricordi, qualche parola misteriosa e un fratello battezzato Joseph, per noi zio Giosi. Da lì ogni Natale, in buste affrancate con strambi francobolli, le arrivavano foto in posa di famiglie sconosciute nel portico di certe casette bianche o intorno a maestosi abeti decorati, gli auguri per questo e per quello in una grafia tremula di nostalgia.

L’America per me è sempre stata anche un pezzetto di passato oltre a essere l’idea stessa di futuro, il posto da cui insieme alle perturbazioni atlantiche arriva il vento del nuovo e la segnaletica di ogni mainstream. Non sarei capace di pensarmi fuori da queste coordinate spazio-temporali. Non ho più tempo per resettarmi. Sono troppo vecchia per guardare a Est, ai nuovi padroni del mondo che, guarda caso, la prima cosa che si comprano con il loro cash è un’american way of life.

Ecco perché non posso non dirmi americana. Per sempre, comunque vada a finire la Storia. Anche se il decennio infausto aperto dalle Due Torri si chiude con l’uppercut delle Tre A.

Consisterà in questo l’Apocalisse in programma per il 2012? Nella fine di un mondo, nel collasso del paradigma economico e dei modelli di crescita illimitata di cui gli Stati Uniti sono sempre stati il faro? E come saranno il nuovo mondo, i nuovi modelli, il nuovo progresso?

Guardo all’America per capirlo. Ostinatamente. Per sapere ancora una volta di lì come vivremo, e dove andremo.

 

Donne e Uomini, WOMENOMICS Marzo 27, 2010

PRETENDIAMO CHE SIA FEMMINA

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Speriamo, anzi pretendiamo che sia femmina. Quando fanno un bambino con fecondazione assistita, 2 coppie americane su 3 scelgono rosa. Se in Cina mancano all’appello per aborto selettivo 100-200 milioni di bambine, nel nostro West femmina=prosperità, meno problemi, sonni tranquilli. “Beata te che hai una ragazza”, è la litania delle madri di maschi. Determinate, idee chiare, brave a scuola: 6 laureate su 10. Fra vent’anni saranno il 70 per cento delle matricole. Vere guerriere. Le uniche a poter competere con i giovani lupi in arrivo dall’ex-terzo mondo. “Dimenticate la Cina, l’India e Internet: la crescita economica sarà trainata dalle donne”. Saranno loro a portarci fuori dalla man-cession, scrive The Economist, che all’onda Womenomics sta dedicando grande attenzione.
Eccolo, il nuovo mainstream. Un mondo sempre più women friendly per Giulia, Martina ed Emma che avranno vent’anni nel 2016. Le nostre bambine terranno le briglie della loro vita, e a quanto pare anche del mondo. Più ricche dei loro partner: tempo 20 anni e guadagneranno più degli uomini.
Quanto ai consumi, sono già leader. In America l’80 per cento degli acquisti è deciso dalle donne -qui siamo sul 60-. 53 auto su 100 le comprano loro, tanto che “i designer hanno cambiato perfino la forma delle maniglie delle portiere perché si adattassero alle nostre unghie più lunghe”, informano Claire Shipman e Katty Kay in Womenomics-Scrivi le regole per il tuo successo (Cairoeditore). Giulia, Martina ed Emma le vorranno più sicure e capienti, con il posto per spesa, bambini e cani. Ma anche più convenienti ed ecosostenibili. Le nostre bambine saranno consumatrici accorte, consapevoli, interattive. Non sarà facile prenderle in giro. Vorranno emozioni, non solo cose. Sempre meno fashion-oriented, orientate a una neo-frugalità. E acquisteranno online: secondo Forrester Research fra 5 anni un italiano su 3 comprerà in rete. Anche la tecnologia dovrà tenere conto delle “native digitali”: le donne comprano già metà dei computer. Dice il neocommendatore Roberta Cocco, direttore Marketing Centrale di Microsoft Italia, e responsabile di futuro@lfemminile che “se i ragazzi usano le tecnologie anche per giocare, le ragazze le utilizzano soprattutto per socialità e amicizia”. Sono l’80 per cento, sui social network. Il design dovrà essere meno freddo, più empatico.iodonna_V
E’ per fare profitti, e non in omaggio alla parità, che il mercato dovrà diventare womenomics. Il malloppo sarà in questa metà del cielo. Per capire che cosa vogliono le donne dovrà ascoltare Giulia, Martina ed Emma, e chiamarle a decidere nei board e nelle stanze dei bottoni. Ma lì le nostre ragazze vorranno starci a modo loro, non come uomini, ridisegnando organizzazione del lavoro, processi decisionali, idea di leadership. Cucendosi addosso il potere come un vestito su misura. Le imprese dovranno darsi una mossa per non restare fuori dal giro. Come spiegano Avivah Wittenberg-Cox e Alison Maitland in Rivoluzione Womenomics (Sole24ore), già oggi quelle con 3 o più direttori donne segnano +83 per cento del capitale netto, +73 per cento di utili sulle vendite, +112 per cento di rendimento del capitale investito.
Anche la politica dovrà essere women friendly. Le nostre bambine hanno uno spiccato senso civico, sono meno portate al “bowling alone” dei maschi. Se il mondo, come proclama il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione, si aspetta di essere salvato da loro, dovrà aprire le orecchie e stare a sentirle.
Con tutti questi pesi sulle spalle, le nostre bambine saranno stressate. Tenderanno a fumare, a bere, a mangiare male. Bisognerà insegnare loro a prevenire. Meditazione e yoga, per restare in equilibrio. Uno stress aggiuntivo verrà dal nostro connaturato maschilismo. “Il modello globale, nordico e anglosassone, si scontrerà con le resistenze italiane” dice Francesca Sartori, docente di sociologia generale a Trento. “La tensione fra le aspettative e la realtà potrebbe farsi insopportabile”. Conferma Carmen Leccardi, docente di Sociologia della Cultura a Milano-Bicocca, da sempre attenta ai giovani: “Le ragazze vivono con grande slancio, si sentono pari, protagoniste. Il rischio è che non trovino nella società quello che si aspettano. Bisogna insegnare loro un maggiore realismo”.
Qualcuna sente già odore di bruciato. Negli Usa molte studentesse brillanti fuggono dalle facoltà di Economia.
Anche da noi ci sono ragazze che “si bloccano negli studi” dice Marisa Fiumanò, psicoanalista che anima “Edipo all’Università”, consultorio psicologico della Bicocca “come schiacciate dal carico di aspettative”. Il prezzo del protagonismo potrebbe essere alto. Anche sul fronte della vita personale.
“Sono deluso dalle ragazze di oggi” scrive su un blog un giovane maschio. “Acide, nevrotiche, perfide, fredde, egoiste, arroganti, strafottenti... fredde robot senza sentimento, stronzette orgogliose. Si sentono superiori, e a te che le guardi ti fanno sentire un idiota”.
Ogni autoaffermazione femminile riduce le capacità di seduzione”, avvertiva nonna Simone de Beauvoir. Gli uomini non ci trovano affatto adorabili per i nostri successi. L’ambizione femminile affatica le relazioni. Per Giulia, Martina, Emma potrebbero essere faticosissime. How To Be The Best At Everything, Come essere meglio in tutto: titola un manuale americano per fanciulle. Ma sul fronte corpo-sessualità-sentimenti le stiamo lasciando sole. Ed ecco certi strani acting-out.
Meno di due anni fa in un liceo di Gloucester, Massachusetts, 17 ragazzine si sono fatte mettere incinte in simultanea per “crescere i bambini insieme”. Sul Corriere una prof milanese racconta di una decina di ragazze in attesa nella sua scuola. Ogni cento bambini che nascono alla Mangiagalli di Milano, 10 non hanno papà: di questi, almeno 5 per scelta delle mamme. In Italia ci sono 10 mila teen-mother, con tendenza ad aumento. Negli Stati Uniti sono 800 mila l’anno. La fantasia fai-da-te è piuttosto diffusa. Realizzabile, avendo soldi in tasca. Quel che è certo, la maternità si è riposizionata al centro, enorme novità rispetto alle prime emancipate. Se la coppia con il partner è eventuale, il nucleo madre-bambino è essenziale.
Le nostre bambine perfette usciranno di casa prima dei maschi. Faranno sesso senza inibizioni: “La frigidità non esiste più” dice Marisa Fiumanò “i problemi semmai si pongono sul legame”. A intermittenza, sogneranno l’amore: “Sono più addestrate al sogno infranto” dice Chiara Gamberale, che ha scelto una ragazzina sui 15 come protagonista del suo nuovo romanzo. Ma la solitudine, vista l’esperienza delle madri, sarà messa nel conto. Per questo le amiche saranno sempre più importanti. Fare network, e non solo per la carriera. La rete ti protegge, ti fa sentire a casa. L’invidia tra donne diventerà un vecchio arnese.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 27 marzo 2010

esperienze, TEMPI MODERNI Novembre 7, 2009

PRONTI AL MEGLIO?

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Dopo vent’anni complicati, culminati in una crisi globale, Li Edelkoort è finalmente felice di annunciare che il ventennio a partire dal 2011 -lei “vede”in anticipo di un biennio- sarà addirittura splendido. Fine della rabbia e della paura, ripresa dell’economia e una migliore convivenza umana, con relativi riflessi nella moda e nel design, i suoi specifici settori di previsione. E se lo dice lei, direttora della Design Academy Eindhoven e insuperata guru del trend, a cui da più di un trentennio si rivolgono le maggiori maison di moda & altro per pianificare la loro produzione –Edelkoort, secondo Time, è tra le 25 personalità più influenti nel mondo del gusto-, ci sono ottime probabilità che anche stavolta ci abbia azzeccato.
Insieme all’altro guru Chris Anderson, direttore della rivista Wired e anticipatore della social network revolution, l’olandese Edelkoort è stata la guest star della prima edizione del Capri Trendwatching Festival, convegno sugli stili di vita del prossimo futuro

organizzato dalla Fondazione Capri. Chiedo a Mrs Edelkoort come fa, da dove le vengono le visioni che alimentano le sue profezie: “Questa volta” dice “sono stata ispirata da un senso di liberazione e di sollievo. Qualcosa che finalmente ricominciava a fluire. Come l’acqua, in tutto il suo ciclo, dalla sorgente alle profondità marine. Quando ho una visione mi metto in ascolto con precise tecniche, giorno dopo giorno, per captare quello che viene avanti, e visualizzarlo in immagini dettagliate”.
Edelkoort declina la ritrovata fluidità in una moda che per la primavera-estate 2011 vuole tessuti lievi e trasparenti come acqua sorgiva, lini leggeri, drappeggiati e a strati. Tessuti a rete, pizzi e jabot che fanno pensare alla schiuma del mare. Crepe fluttuanti, tele stonewashed e gommate. Colori della primavera –l’energetico giallo soprattutto- che evolvono nel bianco in tutte le sue nuance, in riflessi di scaglie e madreperla, nei blu marini e dilavati; ma anche nei toni fangosi degli estuari, nell’ocra e nel corallo del Mediterraneo, drappeggi e sandali da dee greche, fino all’esplosione cromatica dei pesci tropicali e degli uccelli della foresta pluviale.
Fluidità e scambio di energie anche per il design, pensato per una vita condivisa: intimità, semplicità, un mix di passato e nuove tecnologie. “Agli esseri umani” dice Edelkoort “piace il due. La nuova unità di misura sarà la coppia: non solo tra partner, ma anche tra amici. E tra nonni e nipoti, nuova coppia su cui sollecito l’attenzione del marketing. L’individuo avrà tempi duri, sarà sempre più impopolare. I giovani hanno una grande voglia di stare e lavorare insieme, e non hanno più fretta di scappare dalla famiglia: il gap tra generazioni si è ridotto. La piramide del potere si appiattisce verso un’orizzontalità in cui non c’è più un boss, e ciascuno è chiamato a dare il suo meglio”.
Il design conseguente: linee chiare ed essenziali. Cose impilabili, che stanno facilmente insieme, semplici da trasportare. Materiali high-tech, fibra di carbonio, acciaio, metalli splendenti come gioielli. Prodotti industriali, ma anche cose artigianali e uniche che insieme formano una “famiglia”. Oggetti di recupero, il passato reinventato per il futuro, forme organiche, il calore del legno e della pelle. E molto giallo, anche per la casa. Un bisogno di autenticità e di calore che troveremo in un sorso di buon cognac, nella campagna, nel cibo autentico e “lento”.
Fuori casa, nel macro, la visione di Edelkoort predice una nuova diffusa fiducia: “… l’economia volerà! Questa crisi non l’abbiamo determinata noi, quindi riprenderemo a consumare senza sensi di colpa”. Una società più femminile (“Saremo tutti più donne”), reticolare, centrata sulle relazioni e indifferente alla finzione dei ruoli. Politici carismatici, sul prototipo Obama. Perfino il terrorismo allenterà la sua morsa. Insomma, una meraviglia.
I temi di Edelkoort, in effetti, ricorrono nelle previsioni di molti altri trendsetter che hanno preso parte all’eccellente convegno caprese: tra gli altri lo scrittore Bruce Sterling, il fashion designer  Walter Van Beirendonck, l’antropologo dello streetstyle Ted Polhemus, il filosofo Fulvio Carmagnola. E nelle rilevazioni degli urban watchers, “lettori” dei segni di cambiamento del gusto e degli stili di vita sguinzagliati in una trentina di realtà urbane sparse per il mondo, da Londra a Bangalore, New York, San Paolo, Tokyo: cosiddetti snodi glocal, indizi locali con un potenziale globale.
Ed ecco alcuni di questi indizi. Il nuovo non basta, ci si volta indietro: le vecchie danze riproposte in una ballhouse berlinese; i pub in stile “soviet-nostalgia” a Mosca; un locale anni Settanta a Bogotà, intitolato a un immaginario senor Armando Fuentes, vissuto all’epoca. Bisogno di intimità: luoghi pubblici allestiti come case, tipo “Alice in Wonderland”, salone di bellezza madrileno che sembra la casa della nonna; e, a Milano, 4th floor, parrucchiere che riceve nella sua elegantissima casa un solo cliente per volta (già apprezzato da varie celebrities); house concert, musica dal vivo per pochi intimi, in clima di amicizia.
Altra tendenza, il Supergreen, ovvero l’idea sempre più diffusa di una sostenibilità ambientale “smart”, lontana dall’idea di rinuncia. Una frugalità-felicità, semplificazione volontaria dello stile di vita che coniuga etica, estetica, benessere e qualità. Secondo Marco Roveda, eco-imprenditore, il 35 per cento della popolazione occidentale è già su questa strada, che entro breve sarà maggioritaria. Ed ecco le bellissime case 100 k (100 mq per 100 mila euro) di Mario Cucinella, a basso impatto e a basso costo; la vecchia ferrovia sopraelevata di New York che i cittadini hanno fatto diventare un enorme giardino pensile; i congegni per un monitoraggio costante dei consumi; il boom di corsi di taglio e cucito negli Stati Uniti, per farsi i vestiti da sé; il trionfo della bici, con google map per ciclisti; i gesti di eco-guerriglia: “bombe” di semi, parcheggi occupati con giardini temporanei. E un design che coniuga sostenibilità e bellezza. Bellezza che invade come un virus la vita quotidiana: è la cosiddetta Daily Aesthetics. L’arte contemporanea esce dai luoghi istituzionali per installarsi nei vuoti urbani: i cubi di vetro per mostre d’arte a Seoul, l’arte in piscina a Berlino, le vetrine per giovani artisti nel quartiere a luci rosse di Amsterdam; l’ex macello di Madrid e altri luoghi dismessi utilizzati per mostre e performance; il museo all’aria aperta a Mosca, il corpo come mezzo artistico, in una body art diffusa. Una generale estetizzazione delle merci e degli oggetti di uso comune tanto che, come dice la critica della moda Maria Luisa Frisa, “a volte cerchiamo qualcosa di “normale” e non lo troviamo più!”.
La città diventa uno spazio espressivo da fruire attivamente e creativamente. Segni anticipatori: i raduni estemporanei basati sul passaparola e sul tam tam in rete, i party lampo nei Bancomat a Berlino, i blue-tooth per fare amicizia in metrò. E ancora: i Guerrilla-Drive in, proiezioni cinematografiche spontanee sui muri delle periferie urbane; un po’ di Pilates aspettando il bus, e il city-fit, su e giù per i grattacieli di Londra e New York; i negozi nomadi e a sorpresa. Un’architettura urbana “non-definita” come dice Mario Lupano, storico dell’architettura contemporanea “piena di “crepe” che chiamano all’uso pubblico di una città sempre più aperta”.
Il Capri Trendwatching Festival si chiude con la perturbante tendenza al “Free” (gratis), titolo dell’ultimo libro di Chris Anderson (pubblicato in Italia da Rizzoli), principio che sta rivoluzionando marketing ed economia. Come si può fare business a partire dal prezzo-zero introdotto dalle merci digitali, gratuità che si va diffondendo oltre la rete? “La chiave” dice Anderson “è il free-mium (free+premium), opposto esatto della pubblicità. Nella pubblicità il prodotto viene raccontato prima, con la possibilità che chi lo acquista resti deluso. Nel caso del free-mium l’accesso al prodotto è immediato e gratuito, e in seguito se ne introducono versioni a pagamento”. Anderson fa l’esempio di un videogioco popolarissimo in America: il 95 per cento accede gratis, il restante 5 per cento compra la possibilità di esplorare di più, di ridurre i tempi, e via dicendo. Altro esempio, gli e-book, i libri pubblicati sul web: “Quando offri il tuo lavoro gratis, se quello che hai scritto è buono” garantisce Anderson “diventi subito famoso. Ci sarà sempre una quota di lettori che vorrà possedere fisicamente quel libro e lo comprerà. E avrai la celebrità, con i suoi vantaggi e il suo indotto”.
Inutile del resto, avvisa il guru, lottare contro il “gratis”: è come cercare di resistere alla forza di gravità.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera l’8 novembre 2009)

esperienze Giugno 21, 2009

STARE QUI

Ci sono molti modi per classificare noi esseri umani. Uno dei tanti è questo: gli umani che vivono nel passato, e quelli protesi verso il futuro; quelli di oriente e quelli di occidente; quelli che ruminano i ricordi, abbarbicati all’irripetibile che è stato e incapaci di gioire di ciò che è, e quelli che si sentono vivi solo proiettando se stessi nel subito-dopo, costantemente dislocati in un maniacale “poi” dove tutto quello che oggi manca finalmente sarà.
Preferisco i secondi, a dire il vero, se non altro perché appartengo a questa categoria di inquieti cronici e fattivi, e li capisco meglio. Ho pena per loro e per me stessa perché so benissimo che le meraviglie del domani, salvo poche eccezioni, si depotenzieranno nelle carenze di un nuovo oggi, con nuova inutile fuga in avanti -o nel falso buon-presente del cibo, delle droghe e altro-.
Nella mia vita imparo sempre cose nuove, sono un’apprendista permanente e la considero una fortuna. Ma questa cosa no, non riesco proprio a impararla una volta per tutte, è difficilissima. A stare nel presente, intendo, anche se so che è l’unica possibile location del Regno dei cieli e di tutti i bei posti di questo tipo. Un presente schiuso al futuro e pieno di possibilità! Riesco a starci un po’, chissà perché, quando sono al sdraiata al sole, a patto che ci sia un po’ di brezza: lì ho questa bizzarra sensazione di un presente pieno. O quando la grande arte mi rapisce; quelle due-tre volte che sono stata innamorata; nell’armonia di buone relazioni umane; quando pratico un intenso lavoro fisico; con mezzo bicchiere –non di più- di buon vino; nella scrittura; o durante una buona lezione di yoga. Situazioni accomunate proprio dal poter stare saldi nel presente, sottratti al tempo, nel godimento estatico, in una fervida quiete.
Innamorati sempre non si può: ma tutto il resto –mezzo bicchiere di vino, arte, buone relazioni, scrittura, lavoro fisico: ora et labora– può essere praticato con regolarità.
La costanza di certe pratiche può insegnare come si fa a stare nel presente scovando sempre quel po’ di buono che c’è. Perfino in quei momenti in cui la vita ti fa proprio male, e allora avresti ragione a voler scappare via. Ma il più delle volte, sapete, non si può…

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 20 giugno 2009)

AMARE GLI ALTRI, Politica Giugno 6, 2009

L'ITALIA CHE VORREI

opera di giuliano tomaino

opera di giuliano tomaino

Oggi e domani si vota. Necessario silenzio pre-elettorale. Un’idea su come andranno le cose ce l’ho, ma la tengo per me. Saranno elezioni significative per il nostro paese, questo si può dire. E ci daranno un contributo per capire, lette in filigrana, da che parte stiamo andando.
Mi pare che sia uno di quei momenti climax, in cui si decide che strada imboccare e in quale mondo vivere. Uno di quei momenti in cui si tirano le somme e si gettano le fondamenta dei decenni successivi. C’è lotta, diciamo così, su tanti fronti, anche se è una lotta microfisica, interstiziale, più nel chiuso delle coscienze che all’aria delle piazze. E i fronti sono molti. Che cosa fare con i migranti, tra deregulation e utopie claustrofiliche. Che strada imboccare in materia di energia. E poi il destino della famiglia, sottoposta a doppio attacco: una fisiologica erosione, da un lato, in favore della solitudine, e dall’altro la costante disattenzione da parte dello stato. Il lavoro, soprattutto per i nostri figli: migranti a loro volta, più o meno qualificati, stavolta verso Est, e noi qui, vecchi bianchi tenuti a bada, in tutti i sensi, da una gioventù coloured che ha lasciato i suoi vecchi nel paese d’origine. E poi le donne, sempre più disilluse sugli uomini, e gli uomini, sempre più trascurati dalle donne, e in mezzo le bambine e i bambini, sempre più lontani dai padri, in un nuovo assetto post-edipico che solo la fantapsicologia può aiutarci a immaginare…
Io non vi dico chi voterò, né se lo farò. Ma posso dire, a grandi linee, in che genere di paese mi piacerebbe vivere. Un paese in cui l’individuo conti un po’ di meno, e le relazioni un po’ di più, e la nostra millenaria capacità dell’altro in tutte le sue declinazioni -le donne per gli uomini, gli uomini per le donne, i vecchi per i giovani e i giovani per i vecchi, i migranti, e così via- torni a essere una risorsa decisiva. Un paese organizzato intorno all’intelligenza della bellezza, che ci è data in origine e per dono, e che sappiamo, quando vogliamo, restituire al mondo: un nuovo fecondo kalos kai agathos, un bello che è anche buono e produttivo.
Penso che per andare avanti noi italiani dobbiamo voltarci indietro. Anche molto molto indietro.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 6 giugno 2009)