Quando si parla di curricula femminili eccellenti, fateci caso, si tratta di curricula che in genere garantiscono la perfetta “parità” con gli uomini. La laurea così, il master cosà, la carriera in azienda, un percorso maschile dato come neutro a dimostrare che quella donna non ha niente da invidiare a un uomo: anzi, quanto a titoli e bravura gli dà punti.

Il fatto è che quando si tratta di “fare entrare le donne” i criteri sono questi, e molta eccellenza femminile, molta differenza femminile -che non si misurano con il metro dei “gradi” maschili- resteranno tagliate fuori. Cacciata dalla porta, questa differenza non rientrerà dalla finestra. Quando si dice “fare entrare le donne”, si dovrebbe intendere invece fare entrare un altro modo di vedere le cose, e probabilmente un altro tipo di formazione e di curriculum. E invece sento spesso delle amiche magnificare questa o quella non per la sua differenza, ma per il suo ottimo livello di omologazione.

Il discorso è complicato, non so se sono riuscita a spiegarmi. Ci sto pensando mentre mi preparo a partecipare al convegno annuale della Fondazione Marisa Bellisario,  “Donne, economia e potere”, che si aprirà oggi alle 14 a Milano, Palazzo Clerici. Lì tra l’altro saranno presentati i mille curricula eccellenti selezionati dalla Fondazione in previsione della imminente rivoluzione nei board delle società quotate in borsa: nel giro di qualche mese, e per avvicinamenti progressivi, si arriverà a quel 30 per cento imposto dalla legge Golfo recentemente approvata.

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