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questione maschile Dicembre 19, 2012

Assessore, non ci lasciare!

Assisto un po’ depressa allo spettacolo poco edificante di assessori, vicesindaci eccetera, magari in carica da un anno o poco più, che stanno facendo gli scatoloni per andarsene in Regione o in Parlamento. Mi dicono, per esempio, che a Verona città un bel po’ di gente è ai nastri di partenza dopo appena 6 mesi di nuova giunta. Ma capita un po’ ovunque.

Io non capisco: amministrare una città o un paese è una bella sfida, e se non ti piace non si capisce perché hai voluto farlo. Non te l’ha ordinato il medico. E’ molto più importante e di soddisfazione che fare il parlamentare: be’, certo, si guadagna meno.

Dopo un annetto o due hai appena cominciato a prendere la mano, ed ecco che te ne vai, la politica come professione.  Al posto tuo dovrà venire un altro/a che, fatalmente, ricomincerà da capo, con spreco di tempo e di risorse pubbliche e danno per i cittadini amministrati, che vedranno interrotto il servizio. 

Oppure è semplicemente che stai lavorando male, e allora il sindaco o chi per lui ha deciso che è meglio che vai: ed ecco un bel promoveatur ut amoveatur, ti faccio salire un gradino e mi ti levo di torno. Ma anche questo è un danno ai cittadini: perché uno che, poniamo, non è capace come assessore, difficilmente sarà capace come parlamentare, forse è che la politica non è il suo mestiere, e allora è meglio che torni a quello che faceva prima. Le istituzioni non sono aziende private, la priorità è il bene comune.

Rinnovamento non è solo cambiare persone. Rinnovamento è cambiare stile, e questo che sto descrivendo è proprio pessimo.

Un’altra cosa: alle prossime primarie del Pd e di Sel ci troveremo di fronte a nomi che il più delle volte non ci diranno nulla. Forse gli iscritti un po’ li conoscono, ma i semplici elettori no. E allora sarebbe indispensabile, anche se i tempi sono così stretti, che i candidati, con ogni mezzo a loro disposizione (gli organi di informazione dei rispettivi partiti, per esempio, ma anche la rete, che è velocissima, ci dicessero più o meno chi sono, che cosa hanno fatto e che cosa vogliono fare: l’idea civatiana di “parlamentare a progetto” è molto buona. Un po’ di curricula, se possibile, preferibilmente evitando cose generiche tipo: “sono per una politica dei diritti” o “mi piace l’ambiente”, o “adoro la politica!” (ho letto anche questo), o, esempio dal vero, dichiarazione di un candidato milanese, di cui ometto il nome per generosità: “Io mi candido dopo aver fatto per tanti anni politica, senza aver avuto ruoli istituzionali. Mi candido perché è il momento di metterci direttamente la faccia (???)… Mi candido perché credo nella politica. In questo momento è una cosa difficile da dire, perché mai come in questo momento il distacco tra politica e cittadini è così evidente”, eccetera eccetera. Neanche mezza idea per sbaglio.

O evitando raccontando tutto il percorso interno (“sono stato consigliere di condominio dal ’74 al ’79, poi sono diventato consigliere di vicolo…”), ma andando un po’ più al sodo: fatti pregressi e in corso, e progetti futuri. Insomma, fammi capire se sei il/la candidato/a giusta per me.

Altrimenti è meglio che scrivano semplicemente: “mi piace l’idea di fare il parlamentare” o “è un posticino niente male”. W la sincerità!

Insomma: anche qui, cambiare stile. Meglio: cambiare etica.

Politica Giugno 19, 2012

Cda Rai: la Società Civile, partito come gli altri

Quello di società civile è un concetto che ci sta creando molte complicazioni. Anzitutto perché la cosiddetta società civile pretende di essere rappresentata dalle associazioni. E le associazioni, in questo Paese, sono in grande parte colonizzate dai partiti -o dalle lobby, e così via-, come tutto del resto, e non sempre rappresentano il bene pubblico

Abbiamo sotto gli occhi gli effetti di quello che sta dicendo. La Rai è un’azienda che chiede di essere amministrata. Sono soldi nostri, amiche e amici, oltre alla preziosa funzione educativa (o diseducativa).  Il Pd chiede ad alcune associazioni -scelte in base a criterio abbastanza imperscrutabile-di indicare due nomi, facendo un lodevole passo indietro, almeno in apparenza, rispetto all’invadenza del partiti nel servizio radiotelevisivo pubblico.

Da riunioni di ore e ore, da mediazioni su mediazioni, la cosiddetta “società civile” fa due nomi, Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, entrambi implausibili: lo dice bene Gad Lerner. Mancano totalmente le competenze per amministrare. Quindi i curricula, che avrebbero dovuto dimostrare competenza oltre che indipendenza dai partiti (Tobagi è stata anche candidata nel 2009 nella lista civica a sostegno di Filippo Penati) non sono stati nemmeno presi in considerazione. Carta straccia. I criteri sono stati altri, e sono stati sbagliati. Il gioco si è giocato all’interno di quella politica che invece avrebbe dovuto starne fuori, con risultati piuttosto imbarazzanti. In particolare, molto peso nella scelta sembra avere avuto il “partito di Repubblica”.

Il caso Rai è emblematico, ma funziona così per tutto, anche per l’associazione dei pizzicagnoli. Lo sappiamo, è esperienza quotidiana. Quindi piantamola di raccontarci balle sulla società civile.

Anzi, aboliamo del tutto l’espressione. La Società Civile è un partito come gli altri. E’ necessaria la tessera e l’iscrizione. Come negli altri partiti, la competenza non ha alcun valore: ci vuole ben altro.

In attesa che i partiti ci si ripresentino nel 2013 truccati da Società civile, cominciamo a prendere le misure.

 

Donne e Uomini, economics, Politica Ottobre 28, 2011

Donne, sì. Ma entro certi limiti

Quando si parla di curricula femminili eccellenti, fateci caso, si tratta di curricula che in genere garantiscono la perfetta “parità” con gli uomini. La laurea così, il master cosà, la carriera in azienda, un percorso maschile dato come neutro a dimostrare che quella donna non ha niente da invidiare a un uomo: anzi, quanto a titoli e bravura gli dà punti.

Il fatto è che quando si tratta di “fare entrare le donne” i criteri sono questi, e molta eccellenza femminile, molta differenza femminile -che non si misurano con il metro dei “gradi” maschili- resteranno tagliate fuori. Cacciata dalla porta, questa differenza non rientrerà dalla finestra. Quando si dice “fare entrare le donne”, si dovrebbe intendere invece fare entrare un altro modo di vedere le cose, e probabilmente un altro tipo di formazione e di curriculum. E invece sento spesso delle amiche magnificare questa o quella non per la sua differenza, ma per il suo ottimo livello di omologazione.

Il discorso è complicato, non so se sono riuscita a spiegarmi. Ci sto pensando mentre mi preparo a partecipare al convegno annuale della Fondazione Marisa Bellisario,  “Donne, economia e potere”, che si aprirà oggi alle 14 a Milano, Palazzo Clerici. Lì tra l’altro saranno presentati i mille curricula eccellenti selezionati dalla Fondazione in previsione della imminente rivoluzione nei board delle società quotate in borsa: nel giro di qualche mese, e per avvicinamenti progressivi, si arriverà a quel 30 per cento imposto dalla legge Golfo recentemente approvata.

esperienze, lavoro Marzo 23, 2011

COM'E' TRISTE UN CURRICULUM

Mi sento così mortificata, ogni volta che mi chiedono un curriculum. Ho fatto questo, questo e quest’altro. Come esporre le proprie grazie al mercato. Io che poi le date non le ricordo mai. Mi immagino una ragazza o un ragazzo al principio di tutto, con quelle tre-quattro cose da dire, ho studiato qui, ho lavorato per un mese là, saprei fare questo, questo e quest’altro.

Così, all’infinita tristezza curricolare e a tutti quelli che ne devono compilare uno per trovare lavoro dedico questa bella poesia di Wistawa Szymborska che qualcuno mi ha spedito online.

Se un curriculum è triste, figuratevi un curriculum polacco.

SCRIVERE IL CURRICULUM

Che cos’e’ necessario?

E’ necessario scrivere una domanda,

e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si e’ vissuto

il curriculum dovrebbe essere breve.

E’ d’obbligo concisione e selezione dei fatti.

Cambiare paesaggi in indirizzi

e malcerti ricordi in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,

e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.

I viaggi solo se all’estero.

L’appartenenza a un che, ma senza perché.

Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso e ti evitassi.

Sorvola su cani, gatti e uccelli,

cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore

e il titolo che il contenuto.

Meglio il numero di scarpa,

che non dove va colui per cui ti scambiano.

Aggiungi una foto con l’orecchio in vista.

E’ la sua forma che conta, non ciò che sente.

Cosa si sente?

Il fragore delle macchine che tritano la carta.