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formazione

bambini, Corpo-anima, Donne e Uomini, scuola Marzo 24, 2015

Contro l’educazione sessuale

 

C’è un limite anche al cretinismo progressista e laicista, in sostanza: tutti possiamo fare tutto e abbiamo diritto a qualunque cosa senza alcun limite, la fase dell’onnipotenza infantile tirata fino agli 80 anni.

Fa parte di suddetto cretinismo anche un certo concetto di “educazione sessuale” per infanti e adolescenti, espressione che è quasi un ossimoro perché il sesso è tutto fuorché educato. Basterebbe leggersi un bigino di Michel Foucault per inquadrare la questione: detto alla buona, meno parole si fanno sul sesso e meglio è, per il piacere. Perché poi lui avverte che la sessualità non esiste, esistono i corpi e i piaceri.

Mi viene la pelle d’oca, quindi, all’idea che dei formatori appositamente formati (il business della formazione oggi è colossale) pretendano di spiegare a dei ragazzini-e come dovranno regolarsi nelle cose di sesso, addirittura come ci si masturba e altre idiozie del genere. Corre anche una certa ipocrisia, se vogliamo, perché siamo stati tutti bambini e bambine e dovremmo ricordare che quanto a corpi-e-piaceri, da liberi e perfetti perversi polimorfi, sono i ragazzini e le ragazzine a poter formare gli adulti, liberandoli dalla parola normativa (ricordo come un’enorme violenza ogni intervento invadente del mondo adulto sui nostri giochi).

La cosa che si dovrebbe fare è dare una mano ai genitori a fare meno danni possibili, e collaborare con loro in questo senso, attenendosi a due semplici principi educativi:

  1. rispetto del-la partner, a qualunque genere appartenga, sempre e comunque
  2. responsabilità procreativa di ciascuno, che sia maschio o femmina, e protezione di se stessi e dei partner dalle malattie a trasmissione sessuale (+ altre informazioni sanitarie, se servono).          Punto. Finito. Impostati i due binari, gioco assolutamente libero. Questa è la sola educazione sessuale che concepisco. Anche il sesso, come i temi eticamente sensibili, vuole il minimo indispensabile di parole.

 

AMARE GLI ALTRI, giovani, italia, lavoro Dicembre 16, 2013

Tante “botteghe” per i nostri giovani. Pensando a Joele

 

 

Joele Leotta, ucciso in Gran Bretagna, dove era emigrato in cerca di lavoro.

Se li chiami Neet (not in education, employment or training) la cosa sembra meno grave di quella che è. 3 milioni e 750mila i 15-34enni che non lavorano, non studiano, non seguono un percorso formativo: il 27 per cento dei nostri under 35 (39,6 per cento al Sud). Più donne che uomini: 2,112 milioni contro1,643 milioni. I numeri si impennano se si considera la fascia sotto i 29 anni: 36.2 per cento, e al Sud quasi la metà. Di questi 3 milioni e 750 mila, 1 milione e mezzo ha solo la licenza media inferiore, 1,8 milioni la media superiore, 437mila una laurea o un titolo post laurea.

Enrico Letta ha annunciato per l’inizio 2014 un vertice Ue contro la disoccupazione giovanile che, ha detto, rappresenterà ”uno dei pilastri del nostro lavoro” nel semestre di presidenza italiana.

Con angoscia e apprensione provo ad immaginare le giornate di quest* giovan*: tolta una quota di lavoro nero, probabilmente molto bighellonare, anche online, e per le ragazze lavoro domestico e di cura. C’è altro che si può fare, oltre alle necessarissime misure economiche: tenere vivo il desiderio, accendere passione, coltivare la fiducia per rendere dignitose queste giovani vite, per non sprecarne le energie. Non c’è niente che sia più formativo di questo. Tutt* sappiamo quanto hanno contato gli incontri nella nostra vita: in particolare quelli con alcuni adulti che ci hanno illuminato la strada: una maestra, un mister, o anche un prete (per chiacchierar).

Mi piacerebbe moltissimo che in una logica di restituzione dell’enorme debito contratto con i più giovani, gli adulti offrissero se stessi come pane e come modello. Che incontrassero i ragazzi, che mettessero a loro disposizione parte del loro tempo, che rispondessero alle loro domande, che mostrassero come si fa, che raccontassero la loro storia, che si lasciassero “mangiare” da loro, com’è giusto. Incontri veri, non frontali, non meramente tecnici, a tutto tondo. Tante “botteghe” in giro per il Paese. Mastri e apprendisti, come nello splendore della nostra tradizione Rinascimentale, per tutte le arti e i mestieri, ma anche le professioni, un formicolio vitale per farci ripartire. Non si tratta solo di dare da mangiare ai ragazzi, ma anche di darsi da mangiare, che è molto di più è molto altro. Cominciando anche dal piccolo, dal prendere “in carico” personalmente le ragazze e i ragazzi che abbiamo vicino e che ci guardano.

Magari intitolando il progetto a Joele Leotta, il ventenne di Tabiago ucciso nel Kent, dov’era andato a cercare il pane: ieri i funerali. A sua volta figlio, a giudicare dal cognome, e come tantissimi di noi, di gente che dal Sud è salita a cercare pane al Nord.

Il mio sogno è questo. Aiutiamoci a realizzarlo.

economics, giovani, lavoro, scuola Febbraio 25, 2013

Due pensieri sui giovani

Serie: tutto per i ragazzi, restituiamo loro almeno parte del debito mostruoso che gli abbiamo caricato sulle spalle.

1. Ha ragione Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria, quando chiede “di introdurre tirocinii e praticantati durante i corsi universitari, visto che oggi i nostri ragazzi incontrano il lavoro mediamente tre anni più tardi rispetto ai loro colleghi europei” (Corriere di ieri).

Intenderei la cosa in senso molto ampio: non solo, per esempio, stage in uno studio legale per chi vuole fare l’avvocato o in uno studio di architettura per chi intende fare quel mestiere, ma esperienze lavorative in senso lato, preferibilmente convertibili in crediti universitari, per sperimentare il lavoro in sé, e per verificare sul campo se la scelta di studio è stata quella giusta, rendendo possibili eventuali correzioni di rotta con piani di studi molto flessibili e tagliati su misura. Se, poniamo, uno studente di legge scoprisse in corso d’opera che la sua vera passione è la ristorazione -esagero- potrebbe orientare il suo piano di studi in senso commercial-gestionale, completare il triennio in studi giuridici e poi dedicarsi pienamente ad apprendere la sua professione. Perché poi ritrovarsi a fare il lavoro sbagliato è quasi peggio che fare il matrimonio sbagliato, oltre che garanzia di sicuro insuccesso e perdita secca per la comunità. E’ a vent’anni, e non a trenta, che uno impara bene un mestiere, e incastrarsi fino a 27-28 in una lunga teoria di master e contromaster non può essere la strada per tutti.

2. Sogno da tempo hub creativi permanenti nelle nostre città, dove le idee in embrione dei ragazzi possano incontrare liberamente l'”how to do it” e l’esperienza degli adulti, con relativi incubatori di progetto e d’impresa, microcredito e debito d’onore, convenzioni con aziende, canoni agevolati o comodati per l’affitto di spazi ecc. ecc.

Cosa dite? Ci si prova?

AMARE GLI ALTRI, lavoro, scuola Agosto 27, 2012

I giovani! I giovani! I giovani!

Rieccomi amic*! Non mi farò tentare dalle disgustose risse a sinistra. Non intendo certo dedicare il primo post della ripresa a questo spettacolo immondo -solo, mi domando: chi si candida alla premiership, mi riferisco a Pierluigi Bersani, crede di guadagnare fiducia da una simile scompostezza?-.

Voglio ricominciare da quello che conta davvero, e se permettete parto dai miei principi politici assoluti, che voglio ribadire. Sono due, e semplicissimi: riduzione del danno per il maggior numero, tenere i più piccoli -piccoli umani, animali, piante- al centro di ogni decisione pubblica. Sono convinta che le cose andrebbero molto meglio per tutti se passassimo ogni scelta al vaglio di questi due principi.

Dal governo Monti mi aspetto che i giovani -e i piccoli in generale- siano il fuoco del rush finale, di qui alle prossime elezioni. Pensare a loro. Ascoltarli. Interpellarli. Coinvolgerli. Mobilitare la loro attenzione e la loro partecipazione. Ma più l’orribile espressione “generazione perduta”. La generazione perduta sarà la nostra, se non sapremo finalizzare ogni sforzo e ogni sacrificio a questo irrinunciabile obiettivo.

Il governo Monti finora ha fatto davvero poco per i giovani. La riforma del lavoro è stata una grande delusione soprattutto su questo fronte. A breve dovrebbe entrare in vigore il provvedimento sullo start up delle aziende innovative, che tra l’altro consentirebbe agli under 35 di aprire una srl con un solo euro. Perfetto, ma serve ben altro. Sappiamo tutti benissimo che cosa: misure davvero efficaci contro il precariato, incentivi alle aziende virtuose e penalità per gli sfruttatori, efficaci misure per l’apprendistato, serie politiche per la casa, mutui agevolati, servizi per le giovani coppie e i loro bambini, e così via.

Qui voglio dire qualcosa di più sul tema della formazione: di cui va garantito l’alto standard, ma l’imbroglio della formazione-parcheggio deve finire. Università, specializzazione, master, corsi e contro corsi: se va tutto bene si arriva alle soglie dei trent’anni. Ma è a venti e something che si apprende un lavoro.

Parlo ad esempio del mio mestiere, quello di giornalista. Dopo la laurea (da tre a cinque anni, se va tutto liscio), le strade possibili sono due: il praticantato di 18 mesi in una redazione (con regolare assunzione) al termine del quale si affronta l’esame di stato, opzione oggi meramente teorica; o un biennio di scuola di giornalismo -se non ho capito male solo scuole italiane: i master all’estero, incredibilmente, non sono riconosciuti-. A cui vanno aggiunti eventuali corsi specialistici, più quelli obbligatori di lingue, e via dicendo. Se tutto va come deve, insomma, si comincia a lavorare -precariamente, e chissà per quanto- solo sui 27-30 anni. Da quello che pare l’intenzione sarebbe quella di abolire del tutto la via del praticantato sul campo per rendere obbligatoria la scuola. Insomma, di fatto si abolirebbe l’apprendistato, che a mio parere resta la via maestra per imparare un mestiere. Una follia. L’apprendistato andrebbe favorito, introdotto, regolamentato, defiscalizzato in tutte le professioni e i mestieri. Si sta andando invece nella direzione opposta.

Così proprio non va. I ragazzi devono cominciare a lavorare prima possibile, alternando lavoro e formazione -solo strada facendo si capisce che cosa è necessario approfondire-. Il business dei corsi e dei master, per i quali le famiglie si costringono a enormi e spesso inutili sacrifici, va in ogni modo ostacolato.

Su questa sterminata questione -i giovani, cioè le nostre famiglie, la nostra vita- ancora un paio di cose: tutti dovremmo darci da fare per loro, mettendo in campo con generosità politica la nostra esperienza, offrendo le nostre consapevolezze e il nostro meglio. E infine: è assolutamente impensabile che la nostra futura rappresentanza politica non ringiovanisca, oltre a femminilizzarsi.

Ma a quanto pare non ci stanno pensando affatto.

 

Donne e Uomini, economics, Politica Ottobre 28, 2011

Donne, sì. Ma entro certi limiti

Quando si parla di curricula femminili eccellenti, fateci caso, si tratta di curricula che in genere garantiscono la perfetta “parità” con gli uomini. La laurea così, il master cosà, la carriera in azienda, un percorso maschile dato come neutro a dimostrare che quella donna non ha niente da invidiare a un uomo: anzi, quanto a titoli e bravura gli dà punti.

Il fatto è che quando si tratta di “fare entrare le donne” i criteri sono questi, e molta eccellenza femminile, molta differenza femminile -che non si misurano con il metro dei “gradi” maschili- resteranno tagliate fuori. Cacciata dalla porta, questa differenza non rientrerà dalla finestra. Quando si dice “fare entrare le donne”, si dovrebbe intendere invece fare entrare un altro modo di vedere le cose, e probabilmente un altro tipo di formazione e di curriculum. E invece sento spesso delle amiche magnificare questa o quella non per la sua differenza, ma per il suo ottimo livello di omologazione.

Il discorso è complicato, non so se sono riuscita a spiegarmi. Ci sto pensando mentre mi preparo a partecipare al convegno annuale della Fondazione Marisa Bellisario,  “Donne, economia e potere”, che si aprirà oggi alle 14 a Milano, Palazzo Clerici. Lì tra l’altro saranno presentati i mille curricula eccellenti selezionati dalla Fondazione in previsione della imminente rivoluzione nei board delle società quotate in borsa: nel giro di qualche mese, e per avvicinamenti progressivi, si arriverà a quel 30 per cento imposto dalla legge Golfo recentemente approvata.