Non è strano che un premier tecnico voglia scegliere da sé la sua squadra, senza tenere conto più di tanto delle indicazioni dei partiti, in particolare se si considerano i partiti come istituzioni scadenti e inefficaci, e le cose che sono capitate –e non capitate- in questo paese a opera dei partiti autorizzano il giudizio negativo. Ma il fai-da-te è sempre più praticato anche in condizioni di “normalità” politica, e non si limita alle squadre tecniche. Per esempio molti sindaci si fanno vanto di tenersi le mani libere, riducendo al minimo contrattazioni e mediazioni con i partiti. Anzi, questo fai-da-te diventa un elemento distintivo e appealing per i cittadini, sempre più attratti dall’antipolitica.

A me pare questo: che se per l’emergenza, in via eccezionale, per un governo con un’agenda ben definita e a tempo –quanto tempo? quando si andrà al voto? -questo fai-da-te può essere accettato, l’idea del buon padre di famiglia che occupa ordinariamente il posto della politica e dei partiti, decidendo tutto da sé o con i suoi famigli stretti, non è affatto rassicurante, è regressiva, è pericolosa. 

I partiti sono quello che sono: malconci, inadeguati, spesso corrotti. Ma se la scelta è tra i partiti e il leader unico, mi terrei i partiti, grazie. Almeno finché non ci saremo inventati qualcosa di meglio per rappresentare gli auspici collettivi. Se i partiti sono da rottamare, l’idea del leader lo è anche di più.

L’uomo solo al comando può essere anche un grand’uomo, un’ottima persona, ma quell’ingorgo di potere costituisce sempre un pericolo, blocca le energie e il cambiamento, infantilizza e deresponsabilizza i cittadini. Una situazione che può essere riservata all’emergenza. Purché l’emergenza non duri un minuto di più di quel che deve durare.   

 

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