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esperienze

economics, esperienze, Politica Giugno 25, 2013

La politica non funziona più

Ci ho creduto? Mah. Mi era solo parso che qualche possibilità ci fosse. Ho votato (per l’ultima volta?). Ho spinto per il rinnovamento. Ho guardato con interesse ad alcune candidate -e anche a qualche candidato-. Ho sperato in una soluzione di governo -e me ne sono beccata un’altra, amen-.

Ho pensato che quelle tre-cose-tre le avrebbero portate a casa. Ma ormai, dopo due mesi, non vediamo altro che rinvii. E la condanna di Berlusconi, che inceppa meccanismi già ingrippati. E l’economia, che sussulta come la Lunigiana.

Un amico mi dice che niente da fare, il mondo della politica è un reality, è un mondo duplex che viaggia sulla sua orbita. Non lo cambi. Temo che sia così. Inutile continuare a farsi illusioni. Il filo con alcuni ex-candidati -ora eletti- si è interrotto. Prima gli servivi. Adesso non gli servi più. Volevano semplicemente entrare nella “Casa”.

Ne ho visti un paio, a una cosa romana. Pettoruti, ebbri, e inefficaci. Ho visto anche un paio di non rielette, non hanno passato le nomination, psichicamente devastate: spaventoso uscire dalla “Casa” e tornare alla normalità. A una che invece è rientrata dico: come mai sulla Turchia avete taciuto? E lei: accidenti, non potevi telefonarmi?

Niente da fare. Non sta funzionando. E’ molto peggio del meno peggio. Non combinano niente. Non sono bravi. Non sanno fare la vecchia politica né inventarne una nuova. Non ci tireranno fuori dai guai. E’ già molto che non ne combinino. Dovremo cavarcela da soli.

Forse quello che si dovrebbe fare è spostare quanta più politica fuori di lì. Portargli via roba. Svuotare progressivamente di significato quei luoghi. Lasciargli sempre di meno da decidere. Inventare altri modi per regolare la convivenza. Riprendere la riflessione sulla centralità politica ed economica delle comunità locali nella gestione dei beni comuni (vedi Elinor Ostrom). Benché anche con le giunte ci sia poco da ridere.

Ricominciare da noi. Farlo in fretta.

 

 

 

 

Corpo-anima, esperienze Giugno 21, 2013

Quando morirò

Quando morirò, fatto abbastanza certo, per cortesia: né cerimonie lugubri né ricevimenti all’americana.

Qualcosa che si avvicini il più possibile al niente, essendo la morte niente. Sono già abbastanza chiassosa in vita, vorrei un’uscita discreta e alla chetichella.

Consentite due lacrime- ma non più di due, per favore- a quei pochissimi che mi hanno voluto davvero bene: sono sempre pochissimi per tutti.

Grazie al cielo non rischio coccodrilli, non ho cumulato sufficiente fama. Casomai un necrologino sul Corriere, quello a una milanese non si può rifiutare: una cosa tipo “ciao, ti salutiamo”.

Niente fiori, non mi sono mai piaciuti. Se proprio uno non resiste ed è stagione, un vasetto di basilico. Niente casse, cassoni e cassapanche, mi spiace per gli alberi. L’ideale sarebbe un vecchio lenzuolo di quelli che non si usano più, casomai incartato con il domopak.

Niente esposizione della salma, detesto le salme degli altri, figuriamoci la mia, con quelli che dicono “non sembra nemmeno lei” o invece “è proprio lei”: be’, certo, su questo avrei pochi dubbi.

Che mi immagazzinino da qualche parte nell’attesa che si trovi un forno libero: sono sempre stata impaziente, non ho alcuna intenzione di metterci degli anni a completare la sparizione. Poi delle ceneri non si faccia un bel nulla, anzi, lo si faccia: se proprio saranno costretti a ritirarle, per me va benissimo sparire del tutto nel bidone dell’umido tra le bucce di mela e di patata, se le bucce non avranno da ridire.

Vorrei minimizzare l’evento, che venga inteso in tutta la sua banale necessità. C’eri, e non ci sei più, accidenti facevi un gran pesto, un vero peccato. Sarebbe già troppo.

Niente foto ricordo, per carità: mai stata fotogenica, scegliebbero di sicuro quella sbagliata, non lo posso sopportare.

Che mi lascino andare al più presto a vivere davvero nel fiume di luce, almeno in un rigagnolo, se sarò stata capace di meritarmelo. Se no, accidenti, ricomincerò a faticare da qualche parte. Nel caso, felice e sguaiata vaiassa a Napoli.

 

Il solstizio di 24 anni fa è nato mio figlio.

Il solstizio di 19 anni fa ho dovuto lasciare andare mio padre.

 

esperienze, personaggi, Politica Giugno 18, 2013

Marta sui Turchi: cronache da Istanbul

Marta Ottaviani ha lavorato sodo in queste ultime settimane a Istanbul. Giorno e notte, e con la boccia del Gaviscon anti-lacrimogeni in borsa, per poter raccontare in diretta le manifestazioni di Taksim e Gezi Parki con un frenetico lavoro di tweet e con le sue corrispondenze per La Stampa e altre testate.
Marta vive a Istanbul da 8 anni: “Mi volevo occupare di esteri” dice. “Ma non c’era nessuna redazione che mi offrisse un contratto. La Turchia era scoperta, nessuno parlava il turco e quindi ho deciso di puntare su quel Paese, di cui non si è mai parlato abbastanza e in modo corretto. Ce n’è un gran bisogno”.
Be’, credo che in questi giorni ne abbia parlato parecchio. La interpello nella sua doppia veste di corrispondente-residente a Istanbul.
Qual è la situazione in città in queste ore?
“In questo momento il centro di Istanbul è completamente militarizzato. Piazza Taksim e Gezi Parki sono sgombri. Calma apparente. Ma i giornali online danno notizie di arresti in corso connessi con le manifestazioni dei giorni scorsi. Al momento le identità degli arrestati non sono state rese note”.
Il primo ministro Erdogan ha affermato di non riconoscere il Parlamento europeo.
“E’ una cosa che ha detto più volte. Ha anche affermato che il Parlamento Europeo non può trattare la Turchia come se fosse uno stato membro, quando invece è solo Paese candidato all’ingresso”.
Ma lo è ancora? A Erdogan interessa entrare a fare parte della Ue? E ai cittadini turchi?
“A me pare che a lui importi ben poco, specie da quando ha visto che anche grazie alla mancanza di opposizione il suo potere stava diventando pressoché illimitato. Molti lo accusano di aver usato la Ue come cavallo di Troia per indebolire i militari e passare a uno stile di governo sempre più autoritario. Quanto ai Turchi: l’Europa interessa, ma non ci hanno mai creduto più di tanto. E soprattutto in questi giorni si sono sentiti traditi da Bruxelles”.
Non tutti sanno qual è il ruolo dei militari in Turchia…
“Sono stati i difensori dello stato laico fondato da Mustafa Kemal Ataturk. La Costituzione li autorizza a intervenire. Detto questo, i militari  hanno commesso molti errori, fra cui quello di non aver consentito lo sviluppo di partiti e movimenti di sinistra in grado di entrare in Parlamento. Il risultato è un’assemblea poco rappresentativa, a cui mancano anime necessarie per una piena democrazia”.
Che cosa prevedi per le prossime ore?
“Temo che per il momento la questione Gezi Parki sia chiusa. Ma come ho sentito dire tante volte dagli occupanti, loro sentono di avere vinto e su questo concordo. Sono stati repressi brutalmente ma oggi, grazie alle loro lotte, nessuno al mondo potrà più sostenere che Erdogan sia un modello di democrazia, come molti invece credevano. Le proteste di questi giorni hanno creato un precedente pericoloso per il premier. Adesso Erdogan sa che sono in molti pronti a scendere in piazza per gridare no alla sua politica”.
In questi anni hai visto le libertà restringersi?
“Ci vorrebbe un libro per rispondere… Su alcuni fronti ci sono stati cambiamenti positivi: per esempio i curdi e le persone religiose godono di maggiori libertà, mentre con il governo dei militari dovevano essere molto vigili. Su altri fronti le restrizioni sono state numerose. In primo luogo sulla libertà d’informazione. Molti giornalisti sono letteralmente spariti dai video e dai giornali dove lavoravano. Ci sono anche restrizioni nella vita quotidiana di tutti, mi riferisco ai recenti divieti di vendita di alcolici. Restano poi irrisolte alcune grandi questioni del Paese, in primo luogo quella del genocidio degli armeni e dei rapporti con Erevan, capitale di quella regione: si è parlato molto ma non si è fatto nulla. Voglio anche ricordare che nel Paese sono in corso centinaia di  processi che vedono imputati anche molti giornalisti, accusati di essere terroristi e di voler rovesciare il governo. Un modo per eliminare critici e oppositori”.
E sul fronte delle libertà femminili?
“Questione complessa. Sulla carta il premier è a favore di una maggiore emancipazione. La sua battaglia per la liberalizzazione del velo islamico sarebbe allo scopo di permettere alle donne l’ingresso in università. D’altro canto le violenze domestiche restano un’emergenza drammatica. E nei mesi scorsi si è cercato di modificare la legge sull’aborto: la lotta delle donne ha sventato il tentativo di Erdogan, che si è dovuto limitare all’invito a fare almeno tre figli”.
Quali sono le questioni veramente in gioco nel conflitto di questi giorni?
“La questione è principalmente una: quella della democrazia. Erdogan è stato eletto democraticamente  tre volte, ma dal 2011, ovvero da quando  da quando sa che i militari possono ben poco, il suo regime è sempre più autoritario”.
Vorrei da te qualche immagine che può raccontarci la Turchia di questi giorni.
“Una volta durante una diretta radio ho parlato “Kurdistan”, e un uomo che mi stava ascoltando mi ha corretto: il Kurdistan non esiste. Quanto ai giovani di Gezi Parki, me l’hanno detto con estrema chiarezza: vogliamo una democrazia vera, né Erdogan né i militari. E poi un ricordo. Quella volta, anni fa, che ero molto preoccupata per la salute di mio padre. Vedendomi rattristata, il titolare di un negozio vicino al dormitorio dove vivevo (per un anno e mezzo ho vissuto in dormitori per studenti) me ne ha chiesto il motivo. Gli ho spiegato il perché, e lui mi ha detto pregherò per tuo padre in moschea. Ancora oggi, quando mi vede, la prima domanda che mi fa è sulla salute di mio padre. E sono passati 6 anni. La Turchia è anche questo”.
Che cosa ti aspettavi dal governo italiano?
“Molto di più, sinceramente, e non da oggi. Idem dall’Europa. C’erano già molti segnali del crescente autoritarismo di Erdogan“.
Le piazze di Istanbul somigliano più a quelle degli indignados o alle primavere arabe?
“A quelle degli indignados, direi. Ma credo che quello che si è visto a #occupygezi sia qualcosa di unico nel suo genere. C’è una parte di società civile turca che è tornata finalmente a vivere dopo anni di silenzio. Il semplice fatto di paoterlo raccontare è stata un’esperienza straordinaria”.
Donne e Uomini, esperienze, Politica, questione maschile Giugno 3, 2013

Tette esplosive

Ho pensato a che cosa farei io se, mentre sto coordinando un convegno o svolgendo una relazione, una Femen salisse sul palco, si sfilasse la maglietta e a seno nudo manifestasse il suo dissenso o qualunque altra cosa. Be’, attenderei che la ragazza terminasse la sua performance di body-politics, ascolterei quello che ha da dire, chiederei al pubblico di fare altrettanto, eventualmente interloquirei con lei.

Nella scena che potete vedere qui, piuttosto impressionante, le cose vanno in un altro modo. Montreal, un paio di giorni fa, convegno di tunisini-canadesi a cui prende parte l’ex primo ministro Hamadi Jebali. Una “sexextremist” di Femen sale sul palco, si denuda e grida “Free Amina” (la Femen e blogger tunisina attualmente detenuta in carcere).

I partecipanti al convegno sembrano impazzire. Urlano, circondano la ragazza, la trascinano a terra, la afferrano per i capelli, le si parano davanti per nascondere l’oscenità al pubblico. Il clima è concitatissimo, qualcuno grida terrorizzato invocando l’intervento della polizia. Come se sul palco ci fosse un attentatore con kalashnikov. Ma lì c’è solo una ragazzina bionda, inerme e incruenta, la sua “arma” è il seno tenero e nudo.

Come mai il seno nudo di una ragazza -tette esplosive?- riesce a spaventare tanti uomini grandi e grossi? Che cosa c’è in quel seno che li mette in pericolo? Come può essere che un manipolo di giovani political body-artist (ne parlavamo l’altro giorno qui) sia in grado di produrre un simile clamore in giro per il mondo? e complimenti per la creatività e l’efficacia!

Il lavoro delle Femen ha una notevole forza simbolica. Un solo elementare gesto -scoprire il seno, riportare alla nuda essenzialità del corpo- e tutto salta per aria. Dal contesto, la verità si travasa istantaneamente in quel seno esposto, e tutto il resto appare come una ridicola finzione. L’unica reazione che gli uomini avrebbero a disposizione -carezzare, toccare, succhiare quel seno- è interdetta, il che evidentemente gli manda il cervello in pappa. Una che espone liberamente il suo seno e dice: non è per voi, è contro di voi, questo seno non vi sarà dato. La rabbia di un desiderio che non può manifestarsi, e diventa istantaneamente paura: sentimenti primordiali e rettili di fronte a un’atavica scena madre (e più madre di così non si può).

Io le trovo fantastiche. A proposito, ieri le Femen hanno elevato il loro grido anche in solidarietà ai manifestanti turchi (eccole qui).

 

Donne e Uomini, esperienze, femminicidio Maggio 29, 2013

Le calabresi che vogliono restare

La redazione di “Fimmina Tv” a Roccella Jonica

 

Sapete qual è la regione italiana che nel 2012 ha registrato il maggior numero di femminicidi? La Lombardia, con 19 casi.

No, questa non è una buona notizia. La buona notizia, semmai, è che ieri la Camera ha sancito l’adesione dell’Italia alla Convenzione di Istanbul contro la violenza sessista e il femminicidio, e lo ha fatto all’unanimità. La mobilitazione delle donne, e quella di molti uomini di buona volontà, ha condotto a questo primo importante risultato.
Ma di notizia confortante ce n’è un’altra. Poche ore dopo la morte straziante della giovanissima Fabiana Luzzi, accoltellata e bruciata viva dal fidanzato a Corigliano Calabro, il “Corriere” ha pubblicato la lettera di Francesca Chaouqui, trentenne direttora delle relazioni esterne di una multinazionale a Milano, nata in Calabria e fuggita da quella terra dove «sono poche quelle che restano, poche quelle che amano liberamente, poche quelle che hanno compagni che le considerano loro pari in ogni cosa».
La lettera di Chaouqui e altri commenti sul “tribalismo calabrese” hanno provocato la reazione di molte donne di quella regione che, a quanto pare, di lì invece non se ne vogliono andare (i sociologi parlano di “restanza”), che lì vogliono costruire liberamente la loro esistenza e non si riconoscono affatto in quel ritratto privo di speranza.
Scrive Raffaella Rinaldis, direttora di Fimmina Tv, emittente tutta femminile di Roccella Jonica:

«Pensavo che morire una volta fosse già abbastanza, ma credo che la brama di sangue non freni nessuno, dobbiamo far morire una ragazzina due volte e con lei tutte le ragazze meridionali, descritte come povere vittime di un sistema becero. (…) Mi ritrovo spiazzata, annichilita davanti ad un susseguirsi di luoghi comuni, di aggressioni malcelate da parte di persone che hanno toccato la terra calabra ma forse non l’hanno mai vista davvero. La verità è che si, esistono aree della regione e soprattutto fasce sociali degradate dove accade che una ragazzina venga promessa in sposa ad un mafioso, o che passi dalla proprietà del padre a quella del marito, è vero che ci sono ragazze che non possono andare a scuola anche volendolo. La verità, però, è che queste ragazze sono pochissime e stanno diminuendo sempre di più; la verità è che la stragrande maggioranza delle ragazze calabresi è indipendente, libera, con i mille problemi tipici della ragazzine di qualsiasi altra parte d’Italia; ragazze magnifiche, buttate nel degrado dalla faciloneria, quanto è potente l’arma della penna! E quanto se ne approfitta! La verità è che nessuno si deve permettere di parlare delle donne calabresi se non le donne calabresi! La verità è che se la società calabrese non viene raccontata nella sua realtà come possiamo pretendere di aiutare i ragazzi e le ragazze a fare un passo ulteriore? A comprendere l’orrore di un gesto disumano e a cercare cosa non va nel sistema sociale che ha portato a questo? La verità è che il male sociale più orribile è la discriminazione»

Sul blog “daSud” l’invito è a non semplificare:

«Alcuni neurologi e psichiatri intervistati in trasmissioni televisive e radiofoniche hanno interpretato il gesto del fidanzato come un atto di violenza intriso di “tribalismo calabrese”, così alcuni articoli di giornalisti e opinionisti si sono concentrati sulla componente “mafiosa” della cultura calabrese. Come è successo nei confronti di migranti, anche nel caso di Fabiana la violenza di genere rischia di essere utilizzata per costruire discorsi pubblici che insistono sulla minaccia incombente della diversità e dell’inferiorità culturale.(…) Violenza originata dall’alterità calabrese, portatrice di una cultura arretrata e subalterna. (…) Nel nostro Paese le donne muoiono perché donne, indipendentemente dalla razza, dall’etnia e dalla cultura dell’uomo violento».

E ancora, Josephine Condemi, giovanissima e brillante giornalista reggina, che scrive:

«Non so spiegare la regione in cui sono nata e vivo, la Calabria. E quando qualcuno me lo chiede, più o meno incuriosito, mi sento come una rappresentante indigena chiamata a testimoniare. (…). La domanda del giorno è se la Calabria sia maschilista o matriarcale. A rotazione seguono: omertà o denuncia? Stato o mafia? E così via. A me non viene di chiedere a un milanese: “com’è Milano?”. Perché la rappresentazione sembra così univoca, limpida, la definizione così scontata. Lo stereotipo raramente viene messo in discussione. E invece la Calabria no. La Calabria resta sconosciuta. E non so perché. Abbiamo così bisogno di un esotico su cui fantasticare?  E’ normale che una nazione si interroghi in un caso come quello di Fabiana Luzzi. Ma è meno normale, secondo me, voler scaricare tutte le colpe sul contesto. E’ una giustificazione sempre troppo facile. E’ successo perché è lì. Perché non sono come “noi”. (…)  Dai, che se scappi ti salvi. Chi parte, chi resta. La Calabria ha un problema di identità, e rispecchia in maniera più o meno deformata, come tutte le frontiere, la nazione in cui è inserita. In Calabria la logica binaria non regge. Non è mai tutto bianco o tutto nero, ma neanche tutto grigio. La Calabria, terra di emigrazione e di immigrazione, è un crogiuolo di identità che si stanno reinventando.  Se ne discute sempre più spesso, qui a Sud, guardando l’Italia sottosopra. Anche di recente, in occasione della Regione Ospite al Salone del Libro di Torino, ci si è interrogati sugli stereotipi accettati o negoziati. L’emigrazione meridionale, come hanno documentato i ragazzi di LiberaReggioLab, ha ripreso i ritmi del dopoguerra. Io non so perché non se ne parla. (…)  Non dovrebbero esserci sfumature. E invece ci sono. Se la Calabria fosse solo patriarcale non ci sarebbero le donne a tenere le fila delle relazioni fondamentali (affettive e non solo). Se la Calabria fosse solo matriarcale ci sarebbero meno uomini ad occupare lo spazio pubblico. E quindi, la logica binaria non regge. L’identità è negoziazione delle differenze. Quando cominciano a essere percepite solo come minacce da tenere sotto controllo, abbiamo un problema. Adesso, sottosopra, guardate l’Italia».

La buona notizia è in questo attaccamento e questo amore, da cui non può che venire molto bene. La buona notizia è questa abbondante libertà femminile, che può fare del Sud il baricentro della rinascita.

(pubblicato anche dal blog “Buone notizie” del Corriere della Sera)

Corpo-anima, esperienze Maggio 18, 2013

Un attimo prima di andare

Un’anziana donna ha perso sua figlia. E’ molto forte, nella vita ne ha passate tante, ma stavolta il colpo appare insopportabile. Un fatto contro natura.Parlando della figlia in agonia, dice che negli ultimi giorni “ha visto tutti i morti”, il padre, il marito, la nonna: e li elenca uno a uno. Dice che li invocava, che ci parlava.

Intende che la figlia aveva già messo un piede in quell’altro mondo, e che quei cari che da tempo stavano di là erano accorsi tutti per accompagnarla amorosamente nel passaggio, stretto e faticoso come un parto, che l’avrebbe riportata lì da dove era venuta. Non il nulla, ma un’altra casa che somigliava a quella terrena, popolata di affetti, di consuetudini e di invisibili abbracci.

Si potrebbe anche dire così: che nel delirio terminale, l’ammalata confondeva il presente con il passato e la realtà con la memoria. Che complesse reazioni biochimiche riattivavano tracce mnestiche profonde. La scienza sembra saper spiegare razionalmente quasi tutto.

Ma traducendo quell’avere “visto tutti i morti” nei termini della pura ragione, qualcosa del significato di quell’esperienza va irrimediabilmente perduto. Sembra la stessa cosa ma non lo è.

Non sono una medica o una biologa, e tanto meno una linguista. Mi avventuro con uguale prudenza in tutti questi territori. Ma da persona che lavora con le parole, credo di poter dire che rinunciando all’allegoria, a quel vivido racconto di un incontro amoroso, di un intrecciarsi di parole, sguardi e carezze, magari anche qualche risata e una prima timida passeggiata in quel mondo nuovo, rinunciamo a una parte essenziale di quello che ci capita come esseri umani.

Mi ha commosso che la lingua materna –per essere precisi, la lingua di una madre ferita, ricondotta alla primarietà della sua esperienza, a quel corpo-a-corpo con la creatura, liberata dalla costrizione a credere in un razionale depurato di tutto- abbia saputo raccontare in modo così vero l’esperienza vissuta. Ricorrendo a un’allegoria che non separava ragione e sentimento, dolore e consolazione, disperazione e fiducia. Sistemando in un’immagine tanto viva quel poco che di quell’assurdo poteva essere sistemato.

Si può anche dire con i versi di Emily Dickinson, che sulla morte ha splendidamente poetato: “Attraverso una luce sfuggente/Più acuta la visione, in vero/Che con uno stoppino ben fermo”.

Donne e Uomini, esperienze, questione maschile Maggio 17, 2013

Ma che cos’è un “atto sessuale”?

 

L’altra sera in tv sento un pezzo del processo di Avetrana. Sabrina Misseri, condannata all’ergastolo per l’uccisione della cugina Sarah Scazzi, dichiara in aula che no, non ha avuto mai rapporti sessuali con il famoso Ivano. Ivano conferma: niente rapporti.

Semplicemente si sono denudati in macchina, e poi c’è stata una rapida penetrazione. Ma non un rapporto completo, no.

La “completezza” del rapporto, insomma, si sarebbe avuta solo in caso di eiaculazione.

Vedo che al processo contro Silvio Berlusconi, Ruby ha sostenuto di non aver mai assistito –né tanto meno partecipato- ad atti sessuali. Solo “balli sensuali”, ha detto.

Nicole Minetti vestita da suora che a un certo punto, mentre ballava, “si è tolta i vestiti ed è rimasta in biancheria intima”.

Marystelle Polanco che si travestì da “Obama e da Ilda Boccassini, con una parrucca rossa e con la toga”. Altre ragazze si vestivano “da infermierine sexy e da dottoresse”. Nella sala “del bunga bunga” c’era anche un “palo della lap-dance”.

Lei personalmente, Ruby, allora diciassettenne, a questi “balli sensuali” non ha mai partecipato: solo una volta, “un balletto di danza del ventre”, usando gli abiti regalati a Berlusconi da Gheddafi.

 

Ma che cos’è un atto sessuale, mi domando? Come si misura il tasso di sessualità? In centimetri di penetrazione? O è sessuale, come sembra pensare Sabrina Misseri, solo quando si conclude con l’eiaculazione?

Una carezza è sessuale o no? E un ballo allo scopo di eccitare? Un bacio sulle labbra è sessuale? O lo diventa solo se impegna la lingua? E basta un pezzettino di lingua, a renderlo sessuale, o la pomiciata deve essere profonda e prolungata?

 

Mi pare che la definizione comune di atto sessuale corrisponda a quello che gli uomini intendono quando dicono “me la sono fatta”. Se l’hai semplicemente palpata, non te la sei fatta. Se l’hai penetrata e sei arrivato all’orgasmo, allora sì. Per noi donne, in effetti, la faccenda è molto più complessa di una semplice scarica. Personalmente, non ho mai sperimentato niente di più terribilmente sessuale dello sfioramento di una mano da parte del ragazzo che mi piaceva quando avevo 12 anni.

Ma una minorenne che fa la danza del ventre a casa del Presidente del Consiglio sta facendo qualcosa di sessuale? E se no, che cosa sta facendo? E la situazione di un Presidente del Consiglio che gode dello spettacolo di una minorenne che fa la danza del ventre a casa sua, rientra nella categoria “sesso”, oppure cosa?

AMARE GLI ALTRI, economics, esperienze Maggio 13, 2013

Buone idee per uscire dal tunnel

 

Noi guardiamo speranzosi (?) alla politica. Ma è raro che la politica -quella politica- si inventi qualcosa.

Alla politica -a quella politica-, quando e se funziona,  si può chiedere al massimo di non ostacolare o addirittura di facilitare quello che di buono sta già capitando nella vita reale, di saper cogliere i segnali che vengono dalla politica vera, la politica che facciamo tutti e ogni giorno quando troviamo il modo di minimizzare i danni e massimizzare i vantaggi del vivere insieme, e di farli fruttare.

Detto alla buona, dobbiamo cavarcela senza di “loro”. Dobbiamo scovare le cose buone e fruttose che stanno capitando nelle nostre vite e nelle vite degli altri, dare a queste cose il massimo di pubblicità, fargli propaganda, mettere in comune. E spingere insieme per realizzarle.

Ho assistito qualche giorno fa -al Capri Trendwatching Festival- a un interessante dibattito sul tema dell’invenzione e dell’innovazione. Gli interlocutori erano Adam Arvidsson, autore di “Societing Reloaded” e teorico delle nuove relazioni produttive, e Andrew Keen (“Digital Vertigo”), imprenditore della Silicon Valley e critico dell’imperativo della condivisione. Se per Arvidsson oggi l’economia e l’impresa sono basate sul networking e sulla collaborazione, per Keen il “social” e l’open source sono pura ideologia, l’invenzione -e il guadagno che ne deriva- sono strettamente individuali, quello che funziona davvero è il “secret source”. “Chi ha creato il pc” dice “l’ha fatto da solo”.

A me pare questo: che se il “colpo di genio”, chiamiamolo così, è del singolo, la realizzazione chiede condivisione fiduciosa.

Per farla breve: mi piacerebbe che in questo blog, mentre continuiamo a discutere di tante cose, aprissimo un file -o tenessimo un filo, come preferite- sui segnali “deboli” ma promettenti, a qualunque titolo: buone idee di impresa, iniziative che meritano attenzione, idee, intuizioni, lampi di luce, modi per arrangiarsi che offrono spunti da osservare e sviluppare, cose interessanti che state facendo o vedete fare, anche non immediatamente “profit”.

E’ il momento per cambiare musica. Suoniamola insieme.

Per esempio, un bel po’ di ottime idee le trovate qui.

 

Aggiungo una mia piccola lezione  radiofonica (un po’ raffreddata) su Etty Hillesum.

C’entra molto, con la fiducia.

Potete ascoltarla qui

 

Donne e Uomini, esperienze, Libri, Politica Maggio 11, 2013

Autorità, antidoto al Potere

Nella circostanza della recente elezione-rielezione del Presidente della Repubblica, tanti “semplici” cittadini hanno ritenuto di dover dire e perfino strillare la loro, benché sapessero che la Costituzione delega interamente la faccenda ai Grandi Elettori.

Al di là del “chi” e delle questioni strettamente istituzionali –la possibile transizione verso una Repubblica presidenziale- la domanda era di un/una Presidente dotato di tutta la forza necessaria a guidare il Paese, eppure “lontano dal potere”. Come se nel senso comune sopravvivesse l’idea di un’autorità che non ha a che vedere con il potere, che non è affatto un suo sinonimo. E anzi, che è proprio il contravveleno per il potere e i suoi abusi.

Da dove viene, questa idea di autorità? Che storia ci racconta questa parola?

Il linguista francese Émile Benveniste la rintraccia nel significato arcaico del latino augere: “atto di produrre dal proprio seno; atto creatore che fa sorgere qualcosa da un ambiente nutritivo e che è il privilegio degli dei, non degli uomini” (ma anche un po’ delle donne, volendo, e della potenza materna, che viene ben prima e va ben oltre ogni grossolano potere).

Traggo la citazione da un piccolo e scandaloso (nel senso che fa proficuamente inciampare) libro di Luisa Muraro, “Autorità”, Rosemberg & Sellier. Che partendo dai “pregiudizi, timori, avversione, malintesi, ma anche appelli e nostalgie” intorno all’idea di autorità, giunge a concludere che “coltivare il senso dell’autorità è una scommessa in favore di qualcosa di meglio per l’umanità e la civiltà… consapevolmente alternativa al culto del dio potere”.

L’autorità “non ha un fondamento, essa è un fondamento”, e lo è misteriosamente, per come tutti ne facciamo esperienza.“Può agire senza i mezzi del potere e del dominio”. Ha bisogno della libera fiducia della relazione, e si rinnova così, di volta in volta. Mentre il potere, che si dà una volta per tutte, dalla messa alla prova della relazione è costantemente minacciato, e se ne tiene alla larga.

La buona novella è questa: che “la forza fisica… non può sconfiggere l’autorità, perché questa è di un altro ordine”. Ordine che si richiama alla “relazione materna, relazione di somma disparità (tra la madre e il figlio neonato, ndr), di molta vicinanza fisica e di nessuna gerarchia”.

Quando si parla di un mondo più femminile, conviene pensare a questo.

Donne e Uomini, esperienze, Politica Aprile 8, 2013

Luisa Muraro: 3 lezioni di filosofia


CIBO DELL’ANIMA CIBO DEL CORPO

 

è il titolo di un ciclo di Tre lezioni di filosofia di Luisa Muraro

(su invito di Ida Faré, Rossella Bertolazzi e Sandra Bonfiglioli)

al Circolo della rosa, presso la Libreria delle donne, via Pietro Calvi 29    Milano – tel. 02 70006265

 

Primo appuntamento domani, martedì 9 aprile 2013, ore 18.30

 

Tiratevi su, si torna a combattere

È una nuova versione del “discorso del Castello” fatto al Castello Sforzesco di Milano per il Bookcity 2012, in cui molte/i sono rimaste fuori per il numero limitato di posti. Il discorso prende le mosse da una frase del poeta Wallace Stevens “La realtà divenne violenta e tale è rimasta”.

Lui si riferiva alla seconda guerra mondiale. Io penso al nostro presente. Senza però dimenticare né il passato né il futuro: questa lezione è dedicata ai morti della prima guerra mondiale (tra i quali, i due fratelli maggiori di mia madre), guerra della quale l’anno prossimo ricorrerà il primo centenario europeo; quello italiano sarà nel 2015.

 

qui il video della prima lezione

 

ed ecco gli altri due incontri

martedì 16 aprile 2013, ore 18.30

La frana del patriarcato

In due parole: la frana del patriarcato non finisce di franare e vengono allo scoperto cose impensate. Prendete un posto in prima fila, ma attenzione che c’è da pagare.

Questa seconda lezione riprende e sviluppa il mio contributo al Colloque international di Parigi, 28-29 novembre 2012, dedicato a Françoise Collin. Il titolo era Il prezzo pagato, e di questo parleremo, di un prezzo parte già pagato e parte da pagare. La lezione è dedicata a Françoise Collin e a Francesco I (intendo il nuovo vescovo di Roma e papa).

 

martedì 23 aprile 2013, ore 18.30

C’è una vis politica

La politica non è solo arte, è anche vis: forza, slancio, azione, impeto…, da cui viene anche violare (e violenza). Questa lezione prende le mosse da Michel de Montaigne e finisce con Lia Cigarini, passando per Hannah Arendt. In essa anticiperò una parte delle mie ultime ricerche, destinate a un librino della collana Le perle, editore Rosenberg & Sellier, intitolato Autorità. La lezione è dedicata a Donne TerreMutate dell’Aquila.

 

Ogni lezione sarà seguita da un buffet preparato dal gruppo Estia del Circolo della rosa e il tutto, cibo dell’anima e cibo del corpo, sarà offerto alle/ai partecipanti per dieci euro.

Qui lo streaming della seconda lezione di filosofia di Luisa Muraro, titolo: Un piede in due staffe http://qik.com/video/58118737