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bambini, diritti, Donne e Uomini Giugno 29, 2015

I gay, le donne e l’utero in affitto

Travolta da piccola bufera di inizio estate. Qualcuno che mi accusa di essere contro i matrimoni gay e contro le adozioni gay, e quindi omofoba. Il fatto è che io sono a favore dei matrimoni gay e pure delle adozioni gay, più precisamente sono a favore della non-discriminazione in base all’orientamento sessuale. Quindi mi domando da dove nasca questa colossale cretinata.

So bene da dove nasce: da una mia posizione di grande cautela in tema di fecondazione assistita, e in particolare sulle pratiche di donazione –o acquisto- di gameti e sull’utero in affitto. La mia posizione non discrimina affatto fra etero e gay. Vero che quella dei gay è almeno in teoria la platea più interessata all’utero in affitto, quindi la mia posizione di cautela sembra voler interferire con quello che è ritenuto un proprio diritto (anche se il diritto a un figlio non esiste per nessuno, né etero, né gay). Ma il genere e l’orientamento sessuale di chi compra ovociti e affitta uteri per me è del tutto indifferente.

I principi a cui mi radico sono due: il superiore diritto del bambino e della bambina, che sta saldamente in cima alle priorità; e il diritto delle donne a non essere sfruttate per ragioni economiche.

Quanto ai bambini, norme e statuti nazionali e internazionali riconoscono loro il diritto a conoscere il più possibile delle proprie origini. Non sempre, nel caso degli adottandi, questo è realizzabile. Ma nel caso dei nati da provetta certamente sì. La battaglia della prima generazione dei figli della provetta è riuscita a spostare il più dei paesi dall’anonimato a non anonimato del donatore, in modo che i figli possano accedere, se lo vogliono, a informazioni sui loro genitori biologici. Il che naturalmente ha ridotto il numero di donatori e donatrici. In Italia, per esempio, sono pochissimi, e l’affitto di utero non è consentito se non in rari casi autorizzati da sentenze sull’ “utero solidale”, ovvero quando vi sia un comprovato legame affettivo tra chi chiede e chi offre. Ma come si sa non è difficile trovare altrove gameti da comprare e uteri da affittare.

Nel caso dei donatori, basta l’emissione di un po’ di seme, pratica a rischio zero. Nel caso delle donatrici la cosa è decisamente più complessa: stimolazioni ormonali, prelievo di ovociti in anestesia o in sedazione con qualche rischio per la salute. Quindi creazione degli embrioni, impianto in utero –normalmente di un’altra donna-, rischi connessi alla gestazione e al parto, rischi psicologici legati all’esperienza e al distacco dalla creatura (che anch’essa patisce il distacco). Come si vede, la cosa è innegabilmente più complicata. Qui si fonda la naturale asimmetria tra una donna che intenda procreare “da sola” o in un progetto con la propria compagna, e un uomo che intenda procreare da solo o in un progetto con il proprio compagno. La differenza sessuale vale per tutti, etero e gay. Il corpo esiste. Perfino Judith Butler, caposcuola delle contestatissime “gender theory”, poco tempo dopo ha ammesso l’esistenza incontrovertibile di un fondamento materiale, arrivando a dire cose tipo “il corpo è mio e non è mio”. Ma qui non l’ha ascoltata più nessuno.

Quanto alle donatrici e alle madri surrogate: solo in un numero decisamente minore di casi si tratta di una libera scelta. Scelta difficilmente comprensibile per il più delle donne, ma possibile. Nella grande maggioranza dei casi, invece, si tratta di mettere a disposizione parti del proprio corpo –e della propria psiche- per ragioni di bisogno economico. Da questa “cessione” può certamente derivare molta felicità al “richiedente”, ma se  le donne in questione, spesso cittadine di Paesi poveri, potessero evitare l’esperienza, non è azzardato ipotizzare che la eviterebbero volentieri. Dobbiamo restare indifferenti di fronte a questo sfruttamento?

Essere consapevoli di queste criticità non equivale a essere pro-life, integralisti cattolici o militanti del Family Day . Voler considerare in primis i diritti dei minori, e insieme la condizione di queste donne, rese minori dalla povertà e dal bisogno, non può essere letto come omofobia. La filosofa Sylviane Agacinski è super-laica, e così l’eurodeputato dei Verdi José Bové, il saggista anticristiano Michel Onfray, e tutte le militanti femministe europee, americane, australiane, indiane, africane che in Francia hanno sottoscritto un duro appello contro l’utero in affitto  recentemente pubblicato dal quotidiano Libération, che non è certo Avvenire.

Segue furioso dibattito. Cerchiamo di darci tutti una calmata, e proviamo a ragionare in una logica di riduzione del danno per il maggior numero. A cominciare dai più piccoli e indifesi: principio non negoziabile. E sempre diffidando di conformismi, neoconformismi e pensieri unici.

Il corpo esiste. Ed esistono anche la testa e il cuore.

p.s: sarebbe bello poter fuoruscire dalla logica dei diritti contrapposti, l’un contro l’altro armato.

 

 

 

diritti, Donne e Uomini, Politica, questione maschile Maggio 6, 2015

Amore e rispetto per le sorelle prostitute. Ma quello non è un mestiere come un altro

Amore e rispetto per le sorelle prostitute. Per quelle “autodeterminate” (secondo gli addetti ai lavori, non più del 5 per cento del totale) e a maggior ragione per le schiave sessuali, le prostituIte. Quando dico amore e rispetto penso alle facce e ai corpi di mie vere amiche, nate donne o trans, con cui ho condiviso intimità e pensieri, e che per me sono state come tutte quante le altre mie amiche. Non mi sono mai sognata di discutere la loro scelta, ho raccolto senza giudizi le loro confidenze sulla brutalità (o sulla ridicolaggine) dei loro clienti, e se mi stanno leggendo potranno testimoniarlo nel proprio cuore.

Per esempio con Tizia ho riso molto mentre mi raccontava di quell’illustre professore che adorava farsi passeggiare con i tacchi a spillo sulla schiena ed eventualmente prendersi due cazzottoni. O di quel tale, ometto minuscolo e calvo che si presentava in corsetto e reggicalze sotto il paltò: nel tragitto dall’auto all’appartamento lei si vergognava da morire, temendo che qualcuno la vedesse in compagnia del mostriciattolo en travesti. Perché, cari clienti, bisogna che lo sappiate: le prostitute ridono molto di voi e delle vostre comiche perversioni (a volte sono meno comiche, e allora c’è poco da ridere).

Le schiave sessuali sono più difficili da avvicinare. Qualche giorno fa percorrevo una strada interna della Sicilia, assolata e profumata di zagara. Ogni dieci metri una ragazza nigeriana, in qualche caso proprio una bambina. Ho notato che portano quasi sempre qualcosa di rosso, sono truccatissime e di costituzione abbondante: grossi seni, grandi sederi in mostra. Ho visto un vecchietto che ne scaricava una. Ho pensato: povera te, che ti tocca farti toccare da quel papa smanioso. Meriteresti l’abbraccio vigoroso di un giovane che ti ama veramente.

Davvero pensate che una donna possa disprezzare o detestare queste creature? Le cosiddette “abolizioniste” sperano solo di poter ridurre il danno per il maggior numero e di contenere in un minimo residuale la necessità di prostituirsi per vivere. A Pia Covre -Comitato per i diritti civili delle prostitute- dico che possiamo anche ragionare sulle tutele che le lucciole autodeterminate chiedono da decenni, al netto del fatto che non siamo più negli anni Settanta né Ottanta: il quadro della prostituzione è drammaticamente mutato, ormai si tratta quasi interamente di schiavitù. Quello che non ci si può chiedere è di considerare la prostituzione un mestiere come un altro. 

La prostituzione non è un mestiere come un altro. Chi vuole liberamente prostituirsi lo faccia, proponga le misure che per la sua esperienza sono necessarie a ridurre il rischio sociale e tutti gli altri pericoli: discutiamone. Ma non chieda pacificazione e normalizzazione di quella che resta una ferita aperta: il mercato tra una sessualità maschile abusante, che paga per il “diritto” di esercitare sul corpo di una donna pratiche -spesso ripugnanti- di compensazione identitaria, e il bisogno femminile di campare. Le belle de jour sono figure letterarie, minoranza nella minoranza già esigua delle libere professioniste, la maggioranza della quali ha certamente intrapreso il mestiere per mettere insieme il pranzo con la cena. Quanto al restante 95 per cento, è stato sbattuto in strada per fare mangiare abbondantemente i businessmen criminali.

La prostituzione non può essere normalizzata perché rappresenta lo scacco delle relazioni tra donne e uomini, la perversione del dominio di un sesso sull’altro. E questo riguarda tutte le donne, non solo le prostitute.

Rispetto anche per chi, come la senatrice piddina Maria Spilabotte, è convinta che la strada giusta sia costituita da regolarizzazione, zoning, certificati di idoneità rilasciati dalle Asl e altre misure del genere. Il mio dissenso è radicale. Mi pare che Spilabotte, che è molto simpatica e disponibile, dica cose davvero allucinanti. Se non avete letto l’intervista pubblicata su “Io donna” qualche giorno fa, ve la ripropongo qui.

Fatevi un’idea.

 

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Così, così, così”: sulla condizione di prostituta “Filumena Marturano” dice ancora l’essenziale. Quella “guagliona” raccontata da Eduardo, costretta al mestiere dalla miseria e dalla fame. Poi sono venuti gli anni Settanta-Ottanta delle sex worker emancipate e autodeterminate. Ma oggi la tratta dei migranti, il più colossale business d’Occidente, ci ha riportato a Filumena. Anzi, peggio: schiave, decine di migliaia, il 95 per cento di tutta la piazza. Le prostituIte*: mercato che in Italia vale almeno 1,5 miliardi annui, con 9-10 milioni di prestazioni erogate al mese (dati Direzione Nazionale Antimafia). E’ questa la situazione con cui la politica deve fare i conti. Tra i vari disegni di legge depositati in Parlamento, quello a prima firma Maria Spilabotte, senatrice Pd: proposta di regolarizzazione che agita il movimento delle donne. E anche la Chiesa (il suo parroco, a Frosinone, l’ha semi-scomunicata). Il più dell’Europa -il Nord, la Francia, perfino l’Olanda delle ragazze in vetrina: la tratta è fiorente anche lì- va da tutt’altra parte: restrizioni, punibilità dei clienti, in coerenza con la risoluzione Ue firmata dalla laburista Mary Honeyball, che definisce la prostituzione una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana”. E indica il modello svedese –lì si sanziona il cliente- come quello da seguire. Perché mai noi dovremmo viaggiare contromano? In Germania la legalizzazione (2002) è stata un disastro: oggi è il bordello d’Europa, il business della tratta ancora più fiorente, e la politica non sa come cavarsi dall’impiccio.

“Non sarebbe come in Germania “dice Spilabotte. “Lì ci sono megabordelli gestiti da impresari del sesso. Io voglio autoimprenditorialità, iscrizioni alle Camere di Commercio…”.

In Germania si sono iscritte in 44 su 400 mila…

“Si deve comunque tentare. Ci sarà anche a un colloquio nelle Asl per ottenere l’idoneità psicologica”.

Mi immagino le file…

“… in qualunque Asl d’Italia. Si deve tenere conto delle ragioni di discrezione”.

A molte sex worker il suo ddl non piace.

“Perché non vogliono pagare il tesserino: 6000 € per il full time, 3000 per il part-time. E non gli va che i loro nomi siano comunicati in questura. Ma non è una schedatura. E’ un albo. Come per i notai”.

E comunque di libere sex-worker ce n’è pochine. 9 su 10 sono schiave di tratta.

“Regolarizzare serve proprio contro la tratta”.

Carolyn Maloney, comitato anti-tratta al Congresso Usa, dice il contrario:“C’era una volta la convinzione naif che legalizzare la prostituzione consentisse di migliorare la vita delle prostitute e di scacciare il crimine organizzato. Come tutte le fiabe, anche questa convinzione si è rivelata pura fantasia”.

“Sono le politiche proibizioniste ad aver clandestinizzato la prostituzione e foraggiato gli schiavisti”.

Insomma: il modello svedese a lei non piace.

“Da noi è inapplicabile. Lì c’è un gran lavoro sull’educazione sessuale e sulle pari opportunità. Ci sono fondi anti-tratta. Qui non abbiamo nulla. E il tasso di inoccupazione femminile è il più alto d’Europa: molte donne  come potrebbero sostenersi?”.

Ah, capisco! Prostituirsi è un’opportunità di lavoro come un’altra!

“Be’, anche quelli di muratore o badante sono mestieri che si fanno solo per il pane. Ognuna usi il proprio corpo come crede”.

La Consigliera di parità del Governo, Giovanna Martelli, si è espressa a favore dei quartieri a luci rosse. Poi Palazzo Chigi l’ha stoppata. Secondo lei il suo ddl piace a Renzi?

“Non è del tutto chiuso. Teme il giudizio della Chiesa, ma in questi tempi di vacche magre è anche allettato dal tesoretto fiscale”.

Lei sa che per Expo sono attese 15-20 mila prostitute?

“Il sindaco dovrà indicare le zone dove esercitare. Ma le sembra giusto che tutti i soldi che guadagneranno in Italia poi vengano portati all’estero?”.

Insomma, ci vorrebbe lo Stato pappone. Come ai bei vecchi tempi.

“Ma lo Stato è già pappone! Impone forfait fiscali secondo i conti correnti o la casa che hai comprato. Tanto vale pagare le tasse giuste”.

Crede che la sessualità maschile sia immodificabile, come un dato di natura? C’è la legge di gravità, e poi ci sono gli uomini che pagano per il sesso…

“Mai pensato. Bisogna educare alla sessualità e all’affettività. Prevenire, come per lo stalking e i femminicidi. Ma è un lavoro lungo, di anni e anni”.

 

 

diritti, Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Aprile 14, 2015

Parla Greta, ex-prostituta: “Ormai sono quasi tutte schiave. E in Germania la legalizzazione ha fallito”

Un bordello tedesco

Greta ha 56 anni, madre tedesca, padre italiano, due lauree. Sposata, vive a Karlsruhe dove lavora nell’amministrazione dopo un periodo passato in Italia. Per qualche anno, prima della caduta del Muro, ha esercitato la professione di prostituta in Germania. Oggi si dedica come volontaria ai programmi di recupero e riabilitazione delle “colleghe”.

“Ho cominciato per ragioni economiche. Lo fai sempre e solo per quello: soldi, necessità. Il mio compagno era morto in un incidente stradale e io mi sono trovata in difficoltà. Non alla fame, però nei guai. Ero giovane, mi pareva di poter avere un certo potere sugli uomini”.

Ricordi la prima volta?

“Oh, certo! Uno che soffriva di eiaculazione precoce. Una grande fortuna”.

 Dove lavoravi?

“In casa, o in hotel. Con il passaparola. Era come stare in un limbo. Staccavo l’interruttore per il tempo necessario, mi sconnettevo da me stessa. Uno sdoppiamento, uno stato di catalessi in cui lasci che la cosa succeda. Ce la facevo senza presidi chimici, ma la gran parte delle ragazze ha bisogno di alcol o droghe. E’ un problema grosso quando lavori per riabilitarle: sono quasi sempre tossiche di qualcosa, borderline, con gravi problemi di autolesionismo. Si tagliuzzano le braccia, o sono preda di una specie di euforia autodifensiva. Tante sono perdute per sempre”.

Pagavi le tasse?

“Nemmeno per sogno. Ma non le paga nessuna, nemmeno oggi che in Germania la prostituzione è legale (dal 2002). Dovresti iscriverti alle Camere di Commercio, pagare un forfait fiscale. Si valuta che le prostitute siano almeno 400 mila: ebbene, quelle che si sono registrate sono 44, di cui 4 uomini. Un fallimento assoluto”.

 Un fallimento anche contro la tratta?

“Soprattutto contro la tratta. Con l’ingresso in Europa di Romania, Bulgaria e stati baltici c’è stata un’ondata di ragazze che arrivavano da lì. Tedesche non ne trovi quasi più. Ragazzine in grande parte analfabete che arrivano da paesini sperduti nelle montagne e mantengono tutta la famiglia: sai che libertà! Tante rom, tante ragazze madri: le vedi anche per strada che battono con il bambino, poi quando arriva il cliente il pappone custodisce il piccolo. Una cosa straziante. Poi ci sono quelle che possono permettersi un posto nei bordelli per 140-160 euro al giorno. Sono enormi strutture private a più piani, un business colossale per i proprietari”.

 Quanto paga un cliente?

“Come saprai dipende dalle prestazioni. Di base, per una cosa normale, sui 40-50 euro. Ma quasi mai sono cose normali”.

 E quali cose sono?

“L’idea un po’ “romantica” e ingenua che gli uomini vadano a prostitute per farsi una s…a e via va dimenticata. Una s….a se la possono fare con chiunque. Mica è “Pretty Woman”: vengono da te per ben altro. Vedono il porno, ti chiedono di indossare falli artificiali, di travestirsi con parrucca o intimo femminile. Ci sono i feticisti, i coprofagi. Vanno molto i giochi con l’urina. Dall’anal sex alla zoofilia, un repertorio sterminato. Sono sporchi, maleodoranti, spesso ubriachi e strafatti. Pagano il diritto di scatenare quello che hanno dentro, e tu sei solo una latrina, né più né meno. Devi tacere, fare e lasciare fare, e saper fingere piacere. Ti pagano, e pretendono anche che tu sia soddisfatta delle loro prestazioni”.

Qual è il senso profondo dell’andare a prostitute?

Non si tratta di sesso. In questione c’è ben altro. E’ un mix tra il potere che ti dà il fatto di pagare e il piacere di umiliarti. Il tutto veicolato da una violenza di base. Hai a che fare con qualcosa di guasto”.

Una specie di camera di compensazione: mi svesto per un’ora o due dei ruoli che devo sostenere, mi concedo di manifestare una parte di me che normalmente devo tenere compressa e nascosta, un mio doppio impresentabile. La tua scelta di prostituirti la definiresti libera?

“Be’, allora ho scelto liberamente. Ma se non avessi avuto problemi di soldi, a questa “libertà” non avrei dovuto ricorrere. Fai quel mestiere perché sei in stato di bisogno. Punto. Quelli erano anche altri tempi. Negli anni ’70-’80 la quota delle “libere” professioniste era significativa. Ancora non c’era il fenomeno della tratta, che oggi copre il 95 per cento della prostituzione. Uno scenario drammaticamente diverso. Appena ho intravisto l’opportunità di uscire dalla prostituzione l’ho fatto. Ma io ho le mie risorse. Parlo 7 lingue, sono riuscita a trovare incarichi come traduttrice, interprete, davo qualche lezione… Poi nel ’92 sono stata assunta nella pubblica amministrazione. Mi sono sposata: mio marito conosce la mia storia. Ne sono uscita viva, ma non ho mai dimenticato. Per questo lavoro nei progetti di recupero”.

Si dice che con la legalizzazione la Germania è diventata il bordello d’Europa.

“Ci sono bordelli di uno squallore inimmaginabile. Le case “all you can fuck”, con un ingresso di 90 euro bevande comprese fai tutto quello che vuoi per il tempo che vuoi. Ci sono quelli dove puoi astenerti dal preservativo. E’ veramente dura, credimi. Ne sono uscita, ti dicevo, perché avevo risorse su cui puntare, ma c’è voluta una forza titanica. Anche lavorare nella riabilitazione non è semplice: ricordo il caso di un’ex-prostituta di Amburgo, Domenica Niehoff, che si è data molto da fare in progetti di recupero ma dopo un po’ ha mollato, non ce la faceva a reggere tutta quella miseria e quella disperazione”.

 Che cosa si dice in Germania di questa situazione?

La legalizzazione è unanimemente riconosciuta come un enorme fallimento. Ma è molto difficile uscirne. E’ un serio problema politico. Paradossalmente, proprio il fatto che c’è una legge ti dà pochi margini di manovra. Il business è floridissimo. A Saarbrücken, ai confini con la Francia, è stato da poco aperto un megabordello, una specie di filiale del famoso “Paradise” di Stoccarda. Lo hanno aperto per intercettare clienti francesi, visto che in quel Paese si stanno muovendo in senso restrittivo. E il proprietario di queste strutture è uno legato alla tratta. Del resto chi apre bordelli se non i malavitosi? Tra l’altro in questi bordelli le donne sono molto meno sicure che per strada! Ci sono state decine e decine di prostitute uccise in questi anni: altro che maggiore sicurezza! Al chiuso i rischi aumentano in modo esponenziale”.

 Tu sai che in Italia si sta discutendo di legalizzazione: l’esperienza tedesca dimostra che la strada è fallimentare. Che cosa si dovrebbe fare, allora?

“Bisognerebbe convincersi che la prostituzione oggi è essenzialmente schiavitù e non libera disponibilità del proprio corpo. Ci vorrebbe una forte azione delle forze dell’ordine congiunta alla volontà politica di affrontare la questione: non è difficile individuare le vittime di tratta. Quando vedi ragazze nigeriane, rumene, bielorusse per le strade di Milano che cosa pensi? Che sono libere professioniste? Se sono libere professioniste, bene: che emettano fattura, che si facciano pagare con carte di credito e denaro tracciabile. Si può scegliere la strada svedese o islandese della punibilità del cliente: lì andare a prostitute non è più considerata una faccenda normale. La popolazione andrebbe sensibilizzata: il tema non può essere il decoro urbano, il tema è che migliaia di schiave vivono in mezzo a noi. Ma il business è colossale, verosimilmente la partita è la stessa della droga, delle cooperative “sociali” che sfruttano i migranti. Ci saranno anche politici che difendono questi buoni affari”.

#ListenToSurvivors

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

diritti, Donne e Uomini, Politica, questione maschile Aprile 11, 2015

Forse ci sono questioni ben più importanti del quartieri a luci rosse: un’urgenza che appare sospetta

Cambiare la legge della senatrice Lina Merlin, che con il coraggio delle pioniere riuscì a far abolire le case chiuse: cui prodest? Istituire quartieri a luci rosse, formalizzare che la prostituzione è un mestiere come un altro, o forse anche meglio di altri, con tanto tasse e contributi e addirittura test attitudinali nelle Asl per capire se si è adatte alla professione: per quale ragione una simile stramobilitazione bipartisan di parlamentari, da Scelta Civica al Pd (prima firmataria della proposta di legge è la senatrice piddina Maria Spilabotte) in sostegno di una riforma assolutamente anacronistica e, come dimostrato dall’esperienza da altri paesi, vedi Germania, del tutto inefficace contro la tratta delle schiave sessuali (una lunga e articolata inchiesta potete leggerla qui)?

Sarebbe bello vedere i parlamentari mettere tutta questa straripante energia nella realizzazione di riforme ben più impellenti che cambierebbero la vita della stragrande maggioranza delle cittadine e dei cittadini. Ne dico alcune? L’abolizione dell’odiosa pratica delle dimissioni in bianco; la piena applicazione della legge 194; l’apertura di un definitivo dibattito sulla legge 40 sulla fecondazione assistita, progressivamente martoriata dalle sentenze e ancora in attesa di linee guida; la discussione sul testamento biologico e sul fine vita, sollecitato da ripetuti e accorati appelli; una legge sulle coppie di fatto; la cittadinanza per i bambini nati in Italia da coppie straniere; lo smart work o lavoro agile. Devo continuare? Non per fare i benaltristi, ma se i parlamentari hanno tutta questa voglia di lavorare di cose da fare ce ne sono a bizzeffe.

E invece no. Ignorando deliberatamente quello che capita nel resto del mondo e che va in tutt’altra direzione – una recente risoluzione europea ha definito la prostituzione come “una forma di schiavitù incompatibile con la dignità umana”- e rinunciando del tutto al progetto di un discorso sulla sessualità maschile –data per immodificabile-, discorso finalizzato alla riduzione del ricorso allo sfruttamento sessuale, il multiforme drappello di parlamentari si dà un gran daffare con un manifesto-evento oltre la Merlin, con tanto di sex worker testimonial (la turca Efe Bal, sempre lei, forse non ne trovano altre, che coglie la ghiotta occasione per proporsi come ministra).

Se a ciò aggiungiamo che il governo Renzi non sembra affatto favorevole all’innovazione (una sortita a favore dello zoning della consigliera di parità Giovanna Martelliè stata gelidamente rigettata come “opinione personale”), la domanda viene spontanea: a chi giova? In nome di chi e che cosa una simile urgenza, visto che le libere professioniste non costituiscono più del 5 per cento delle prostitute, contro un 95 per cento di schiave? In un Paese, il nostro, in cui come abbiamo visto perfino la “carne migrante” diventa occasione di business (e che business! più redditizio perfino della droga), che cosa si deve pensare?

Si fa peccato a pensare male, e a chiedersi: che cosa c’è sotto?

 

bambini, Corpo-anima, diritti, TEMPI MODERNI Marzo 30, 2015

The Body affitta un body per avere un figlio a 51 anni

La ex-stra-top Elle Macpherson (The Body), 51 anni, vorrebbe un terzo figlio. Per via naturale, com’è ovvio, non ce la farebbe mai, perciò avrebbe deciso per una madre surrogata. The Body affitterebbe un altro body in cui fare impiantare i suoi ovuli (congelati anni fa) fecondati con il seme del terzo  marito Jeffrey Soffer, anche lui già ampiamente padre insieme ad altre donne.

Di figli, volendo, ce ne sarebbero già abbastanza. Ma Elle e Jeffrey ne vorrebbero uno tutto loro, e avrebbero già individuato l’utero, quello di una donna di trent’anni. Non so come escano certe notizie: forse è un modo per avere i riflettori, o forse il close-insider è la candidata-utero che vuole arrotondare e ha spifferato tutto alla rivista Woman’s Day, che ha diffuso la notizia.

Per i paladini e le paladine delle “libertà” femminili –sempre pronte-i  a difendere in il diritto di ciascuna di vendere o affittare il proprio corpo, con particolare riferimento agli annessi sessuali: perché i diritti sono inviolabili, mentre vagina, utero etc sono violabilissimi– dico che se The Body maiuscolo e the body minuscolo trovano un accordo, e se la legge lo consente (in Italia no), si potrebbe anche dire che sono affari loro.E dico anche che mi piacerebbe vederli sostenere, con uguale accanimento, il diritto di avere figli entro la scadenza biologica, contro tutto e contro tutti (le aziende che non ti assumono o ti licenziano, le banche che non ti danno il mutuo casa, etc.).

Quanto a me penso che una coppia di cinquantenni già plurigenitori, in buona salute e pieni di soldi dovrebbero ringraziare Dio ogni giorno, fare del bene per condividere la propria buona sorte, e magari baloccarsi con il pensiero di un bambino tutto loro, e poi guardarsi negli occhi e dirsi: “Ma no, lasciamo stare…” e aspettare e sperare nei bambini dei propri figli.

E a quella ragazza così bisognosa, al punto di affrontare gravidanze per conto terzi, offrire il proprio aiuto senza pretendere niente in cambio.

Non metterebbero al mondo un bambino, ma ho la sensazione che darebbero alla luce qualcosa di più grande: un’umanità più adulta, capace di accettare il limite.


diritti, Donne e Uomini, Politica, Senza categoria Marzo 26, 2015

Pillola dei 5 giorni dopo: così proprio non va, ministra Lorenzin

Dal punto di vista dei cosiddetti diritti il governo Renzi non è centro-destro, è superdestro: cosa che peraltro non mi sorprende affatto,  era ben nota fin dai tempi delle primarie, a volerlo sapere, quando Renzi era ancora sindaco e di una sua premiership non si parlava.

Niente sulle coppie di fatto, niente sul fine vita (in Francia è stata appena approvata un’umanissima legge che sarebbe piaciuta al nostro Cardinal Martini), la legge 40 sulla fecondazione assistita è impantanata nelle secche di un ri-dibattito parlamentare, la legge 194 sabotata dall’obiezione di coscienza record. E nessuno, tra i dirigenti e le dirigenti del Pd -salvo rare ed estemporanee prese di posizione- che intenda disturbare il manovratore.

Chiedo in particolare alle donne del Partito Democratico: conosceranno pure una coppia di fatto (o magari è la loro stessa condizione), avranno qualche amico o amica LGBT nei guai (o lo saranno loro stesse), capiterà loro di avere amiche o amici infertili (o magari è una cosa che le riguarda personalmente), avranno pure avuto un amico o un parente malato terminale, si saranno una volta nella vita trovate (loro personalmente, o una loro amica, una sorella, una figlia) di fronte alla dolorosa scelta di abortire. Che cosa si sta aspettando per queste riforme a costo zero, e che, anzi, potrebbero pure fare risparmiare un po’ di soldi pubblici?

Quello che è capitato sulla cosiddetta pillola dei 5 giorni dopo è la dimostrazione plastica di quello che sto dicendo: la politica informata da una sottocultura retriva che non corrisponde affatto al comune sentire del Paese. L’Europa dice che quel farmaco (un contraccettivo, non un abortivo) può essere venduto senza ricetta. Il nostro Consiglio Superiore di Sanità non molla: la ricetta ci vuole. Ma l’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco, non tiene conto del parere e decide diversamente: la pillola si potrà acquistare in farmacia senza prescrizione medica, salvo che nel caso delle minorenni che potranno farsela prescrivere in un consultorio o in un Pronto soccorso. Se non fosse che i consultori sono ormai pochi e depotenziati (questo lo riconosce la stessa ministra Lorenzin) e che in Pronto Soccorso puoi sempre imbatterti in un obiettore superzelante, di quelli che -è capitato- obiettano perfino sull’inserimento di una spirale.

Io non capisco la ministra: la contraccezione d’emergenza non è pur sempre meglio di un aborto, e magari di un aborto clandestino, visto come siamo messi a causa degli obiettori, come nel caso di quella ragazzina genovese che dopo aver assunto un abortivo comprato online ci stava lasciando la pelle? perché ostacolarla, allora? o lei pensa che, trovandosi di fronte a tanti ostacoli, una donna rimasta incinta deciderà di portare avanti la gravidanza? non ci pensa ogni giorno in tutta coscienza, lei che potrebbe fare molto, a quella ragazzina? non ne sente la responsabilità?

Secondo la ministra in realtà va tutto bene. Con astuti calcoli trigonometrici ci informa del fatto che la legge sta funzionando. Interi ospedali che fanno obiezione di struttura, turismo abortivo da una regione all’altra, fatale aumento degli aborti clandestini, il Consiglio d’Europa che ci richiama duramente, le romane che vanno a presidiare il San Camillo per evitare che si insedi un primario obiettore. Ma secondo i suoi conti il servizio è garantito.

E’ anche questo il prezzo delle larghe intese. O forse no, basterebbe la determinazione del premier Renzi a imporre le sue personalissime convinzioni in materia di diritti, manco Mariano Rajoy, e praticamente nessuno nel partito che osi contrastarlo, visto che con le liste semibloccate dell’Italicum sarà lui a decidere chi si candiderà. Il tutto mentre la sua Consigliera di parità si premura di prendere una netta posizione a favore dei quartieri a luci rosse: proprio il mondo alla rovescia.

No, così non va. I diritti sono la carne di noi tutti. E prima o poi il Pd potrebbe trovarsi a pagare un prezzo salato per, diciamo così, tanta reticenza

p.s: Mai dimenticare che le posizioni di Barack Obama in materia di aborto, più ancora che in tema di lavoro, sono state decisive per quel voto femminile che gli ha garantito il secondo mandato.

 

 

bambini, diritti, Donne e Uomini Marzo 17, 2015

In difesa di Dolce & Gabbana

Difficile, in questo bailamme, capire che cosa abbiano effettivamente detto D&G -entrambi, o l’uno, o l’altro-, scatenando l’ira di Elton John.

Sto ai virgolettati che vedo: “Tu nasci e hai un padre e una madre”. “Non mi convincono quelli che io chiamo i figli della chimica, i bambini sintetici” qui a parlare è Domenico Dolce. “Uteri in affitto, semi scelti da un catalogo. E poi vai a spiegare a questi bambini chi è la madre. Procreare deve essere un atto d’amore, oggi neanche gli psichiatri sono pronti ad affrontare gli effetti di queste sperimentazioni”.

E ancora, qui dovrebbe essere Stefano Gabbana: “Un figlio? Sì, lo farei subito. Ma sono gay, e non posso avere un figlio. Credo che non si possa avere tutto dalla vita, se non c’è vuol dire che non ci deve essere. È anche bello privarsi di qualcosa. La vita ha un suo percorso naturale, ci sono cose che non vanno modificate. Una di queste è la famiglia”.

Sono sicura che Elton John e il suo compagno -e Ricky Martin, e Miguel Bosè- amino immensamente i loro bambini. Ma che si nasca da un padre e da una madre (anche se in questi casi la madre è criptata) è un fatto indiscutibile. “Figli della chimica, bambini sintetici” suona un po’ duretto, ma la femminista Mary Daly ci andava anche più dura, parlando di “madri maschili” e di “tecnorapina delle uova”. Perché poi, romanticismi a parte, nel 99,9999 per cento dei casi le donne che cedono i loro ovociti e affittano i loro uteri lo fanno perché hanno bisogno di soldi.

Ma la frase che mi interessa maggiormente è questa: “Un figlio? Sì, lo farei subito. Ma sono gay, e non posso avere un figlio“. Bene, dico a Stefano Gabbana: la questione non è affatto l’essere gay o etero. La questione è l’essere uomini. Ci vuole sempre una donna, per mettere al mondo un figlio. Per una donna non è difficile reperire del seme maschile. Per un uomo trovare ovociti e uteri è decisamente più complicato, e comporta la mediazione di una scienza al servizio del mercato, e di leggi che regolino la materia. Non c’è simmetria.

Uno può mettere al mondo un figlio con una donna, in una relazione affettuosa, anche se è gay: il punto non è questo. Il punto è pretendere di far sparire la madre: perchè se a te non piacciono sessualmente le donne, questo non comporta che a tuo figlio non piaccia avere accanto sua madre, o quanto meno sapere chi diavolo sia.

La nostra legge non permette l’utero in affitto, nel rispetto della Costituzione che vieta atti dispositivi del corpo o di parti del corpo. Sì, la nostra bella Costituzione -lo segnalo a chi strilla di libertà priva di limiti, libertà obbligatoria– dice anche questo. E che lo sfruttatore sia gay o etero, verde, giallo o blu, non cambia nulla. Io difenderò usque ad sanguinis effusionem questo sacro principio. Come difenderò il diritto di tutti di esprimere liberamente le proprie opinioni, senza sentirsi obbligato in quanto omosessuale a intrupparsi nel mainstream gay, o viceversa.

Boykott the intolerance!

Aggiornamento sabato 21 marzo: qui un’intervista di Cnn a D&G. Sui social network li stanno linciando. Io non capisco che cosa stiano dicendo di sbagliato.

 

 

diritti, Politica, salute Marzo 10, 2015

Aborto-Europa: giusto un passetto avanti

Silvia Costa, eurodeputata Pd:
ha sostenuto l’emendamento sull’aborto proposto dal Ppe

Nel 2o13 era andata proprio male, con la bocciatura netta della risoluzione Estrela che ribadiva l’autodeterminazione delle donne in materia di sessualità e riproduzione. Stavolta, grazie anche all’impegno di europarlamentari come Elly Schlein ed Elena Gentile, la risoluzione Tarabella, compresa la parte in cui si sostiene che le donne devono «avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto» è passata a larga maggioranza (441 sì, 205 no e 52 astenuti), nonostante la mobilitazione dei cosiddetti “pro-life”.

Ma il PPE ha presentato un emendamento approvato dall’Aula che specifica che la legislazione sulla riproduzione deve comunque rimanere di competenza nazionale. Il che significa che le irlandesi, le polacche e le maltesi, cittadine di Paesi in cui dove l’aborto resta illegale, dovranno continuare a vedersela da sole. L’emendamento del PPE è stato sostenuto anche dalla parlamentare Pd Silvia Costa, che ha precisato di aver votato a favore della mozione solo perché è stato garantito il principio di sussidiarietà. Ecco il suo tweet: “Con emendamento PPE che ribadisce che sanità e diritti sessuali e riproduttivi sono competenza nazionale ho votato a favore della #Tarabella” (Luigi Morgano, altro eurodeputato Pd, ha reso noto di essersi astenuto).

Quindi un passo avanti, ma a metà.

Sarebbe a questo punto interessante che Silvia Costa, proprio in forza del principio di sussidiarietà che lei ha caldeggiato, a differenza della quasi totalità del partito a cui appartiene, ci dicesse che cosa dovremmo fare con la nostra legge 194, svuotata da un’obiezione di coscienza che in alcune regioni italiane, come il Lazio, supera il 90 per cento. Se ogni Paese europeo, come lei ritiene, deve vedersela da sé, ci dica come dobbiamo vedercela nel nostro: giusto qualche giorno fa una ragazzina genovese ha rischiato la pelle per aborto clandestino, scene da pre-’78 che dovrebbero preoccupare tutte e tutti, Silvia Costa compresa.

Restiamo quindi in attesa di una sua efficace proposta in materia, eventualmente anche di una proposta di Morgano, magari ne hanno di migliori delle nostre (il 50 per cento dei posti riservati ai non obiettori: tutta la proposta qui) : permettendoci di ricordare che la legge 194 è stata voluta dalla maggioranza delle cittadine e dei cittadini di questo Paese, cattoliche e cattolici compresi, consenso ribadito in un successivo referendum. E che fare tornare a crepare le donne non è una buona strategia anti-aborto. Silvia Costa che è una donna dovrebbe saperlo.

#save194

aggiornamento 11 marzo: a proposito di “competenza nazionale”. L’Europa ha autorizzato la commercializzazione della “pillola dei 5 giorni dopo”, contraccezione d’emergenza dopo rapporti a rischio (il farmaco ritarda l’ovulazione) senza necessità di ricetta medica. Molti Stati europei, fra cui la Germania, hanno già autorizzato la libera vendita. Non l’Italia, come potete leggere qui.

 

 

 

Corpo-anima, diritti, Donne e Uomini Marzo 4, 2015

Diciassettenne rischia la vita per aborto fai-da-te. Martedì il voto in Europa

A Genova una ragazza di 17 anni ha rischiato di morire per emorragia interna dopo aver assunto un farmaco abortivo, a quanto pare acquistato online con l’aiuto del fidanzato di 20 anni. In quanto maggiorenne, ora il ragazzo è indagato dalla Procura per procurato aborto, mentre la ragazza è ancora ricoverata in ospedale- Con ogni probabilità si trattava di un noto farmaco antiulcera: molto siti indicano come acquistarlo e come assumerlo per l’aborto fai-da-te.

Con il sostanziale blocco della legge 194 siamo tornati in pieno all’aborto clandestino. Le giovani donne non si stanno affatto mobilitando in difesa una legge che garantirebbe loro di non rischiare la salute, e che le loro madri hanno conquistato a prezzo di molte lotte. Le nuove generazioni sono tornate ad “arrangiarsi” tra contraccezione del giorno dopo e farmaci abortivi, e capita con una certa frequenza che le cose finiscano male, con ricoveri d’urgenza per finti aborti spontanei.

Ignorando la questione nonostante un richiamo del Consiglio d’Europa, il governo sceglie la strada della resistenza passiva, sostenendo che la 194 è sufficientemente applicata e che il problema non esiste, e ritenendo la ri-clandestinizzazione una buona strategia contro l’aborto.

Costringere le donne a rivolgersi alle mammane online non è politica contro l’aborto, è politica contro le donne.

Con la speranza che qualche parlamentare italiano rivolga un’interrogazione sul caso genovese alla ministra per la Salute Beatrice Lorenzin, si segnala che il prossimo martedì 10 marzo il Parlamento Europeo si esprimerà sulla risoluzione Tarabella, in cui tra l’altro si afferma “che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva».

Il dibattito è già acceso. La speranza è che la risoluzione venga sostenuta dalla maggioranza degli europarlamentari, con particolare riferimento a quegli esponenti Pd (Toia, Sassoli, Costa e altri) che nel 2013 con la loro astensione impedirono l’approvazione di una risoluzione dai contenuti analoghi presentata dalla portoghese Estrela. Stavolta gli auspici sembrano migliori: un gruppo di deputati di partiti diversi ha lanciato l’iniziativa All of us, per difendere il diritto della donna alla scelta in tema di salute sessuale e riproduttiva. Tra loro le piddine Elena Gentile ed Elly Schlein.

Occhi puntati su Strasburgo.

 

 

 

diritti, Donne e Uomini, Politica Febbraio 3, 2015

Aborto e contraccezione: altro 8 marzo di lotta. In Italia e in Europa

La Commissione Europea ha recentemente autorizzato la vendita in farmacia senza ricetta dellapillola dei 5 giorni dopo” (ulipristal acetato 30 mg). Il contraccettivo d’emergenza funziona soprattutto nelle prime 24 ore dopo il rapporto a rischio, bloccando o ritardando l’ovulazione: se non serve ricetta, l’assunzione è velocizzata e l’efficacia maggiormente garantita. I vari Paesi europei dovranno decidere se recepire o meno il pronunciamento Ue. In Italia l’accesso al farmaco è attualmente una corsa a ostacoli: non è necessaria solo la ricetta, ma anche un test di gravidanza che escluda il concepimento. Non è improbabile che il Consiglio superiore di Sanità decida per eliminare l’obbligo di test di gravidanza, mantenendo quello di ricetta: in sede Ue, infatti, i rappresentanti italiani si sono espressi contro il nuovo regime di dispensazione.

L’ulipristal acetato non può essere considerato un abortivo: è a tutti gli effetti un contraccettivo –come dicevamo, agisce bloccando l’ovulazione-, che contiene il numero dei concepimenti indesiderati e quindi delle interruzioni di gravidanza, in una prospettiva di riduzione del danno (meglio un non-concepimento che un aborto). 

Qualche giorno dopo il pronunciamento Ue, la Commissione sui diritti delle donne del Parlamento europeo ha approvato una Relazione sulla parità tra donne ed uomini, che comprende un documento dell’eurodeputato Marc Tarabella secondo il quale: “Il Parlamento europeo (…) insiste sul fatto che le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l’accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare gli uomini sulle loro responsabilità in materia sessuale e riproduttiva”.

A marzo il Parlamento europeo sarà chiamato a votare sulla relazione. Potrebbe capitare nuovamente quanto accaduto nel dicembre 2013, quando la risoluzione firmata dall’eurodeputata socialista Edite Estrela (che prevedeva, tra l’altro, che la Ue invitasse tutti gli Stati membri a garantire l’aborto e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne) non passò con il contributo attivo (astensione) dei deputati del PD Silvia Costa, Franco Frigo, Mario Pirillo, Vittorio Prodi, Patrizia Toia, e David Sassoli. La Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche (FAFCE) è già mobilitata sollecitare i membri del Parlamento europeo a riaffermare nel voto di marzo la posizione già con la bocciatura della risoluzione Estrela.

Il voto degli eurodeputati Pd potrebbe essere nuovamente decisivo. Nel nuovo drappello Pd a Bruxelles uscito dalle ultime elezioni europee, un buon gruppo di eurodeputati che dovrebbe certamente sostenere il documento Tarabella. Ma serve l’impegno esplicito di tutto il partito, fatta salva la libertà di coscienza, perché possano essere tutelati i diritti sessuali e riproduttivi delle donne, nel nostro Paese già fortemente limitati dal sostanziale svuotamento della legge 194 a causa della massiccia obiezione di coscienza.

Qui una petizione al presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi.