La ministra Elsa Fornero dice che l‘art.18 dello Statuto dei lavoratori non è un totem. Giusto. E allora mettiamo tutto nel piatto: una riforma del lavoro non può essere fatta partendo, a muso durissimo, dall’abolizione di una delle poche garanzie che restano a tutela dei lavoratori.

Nessun tabù: ma allora parliamo di tutto, mettiamo tutto sul tavolo. Il precariato, lo sfruttamento, il fatto che i salari di molte categorie sono più bassi della media europea, la grande arretratezza nell’organizzazione del lavoro -parlavo qui l’altro giorno di telelavoro, altro tabù nelle aziende italiane-, le lettere anticipate di dimissioni richieste alle donne in cambio dell’assunzione, il gap delle retribuzioni e quindi delle pensioni tra i sessi, il misconoscimento del lavoro di cura, il welfare, e così via. Altrimenti rischiamo che capiti anche qui quello che è successo alle donne, ritenute “pari” soltanto in uscita, e su tutte le altre possibili “parità” nessuna garanzia.

E magari smettiamola di dire sciocchezze tipo “la sintonia tra Camusso e Fornero scricchiola sul piano della solidarietà di genere” (come leggo oggi su Il Fatto, tanto per dirne uno). Qui la solidarietà non c’entra un accidente. L’auspicio può solo essere che nessuna delle interlocutrici -Fornero, Camusso e Marcegaglia- debba dimenticare di essere donna, sedendosi a questo supertavolo, e si senta libera di cercare un linguaggio e delle soluzioni che tengano conto del fatto di non essere un uomo, di avere del lavoro un’esperienza ben diversa, di auspicare soluzioni ben diverse, di non sentirsi costretta alle  ritualità e al simbolico maschili.
p.s. Questo essere tutte donne ai livelli massimi del confronto non deve essere visto come occasione di “solidarietà”, ma come occasione di esprimere a quel tavolo, pur nel conflitto delle rispettive posizioni, la grande competenza femminile sul tema del lavoro.

 

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