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art.18

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Marzo 24, 2012

Questo governo non sta facendo nulla per le donne/2

Non è l’art. 18 a fermare lo sviluppo del Paese, ma la troppa burocrazia. Poi la mancanza di infrastrutture. E il costo eccessivo dell’energia.

Non lo dice un guerrigliero del Chiapas, non lo dico io, ma lo dice -con queste precise parole- Giorgio Squinzi, il nuovo presidente di Confindustria. E con ciò mi pare che l’argomento sia definitivamente chiuso.

In attesa di capire come il Parlamento interverrà sul disegno di legge, ribadisco: questo governo non sta facendo abbastanza per le donne, e quindi per il Paese e per la “crescita” (virgolette non casuali: su che cosa diavolo sia questa crescita, su che cosa debba crescere, non c’è affatto chiarezza).

Primo: le donne vengono pensate non al centro della riforma del lavoro -come dovrebbe essere, a meno che non si giudichino dei perfetti imbecilli tutti quelli che sostengono, a partire dalla Banca d’Italia, che il Pil cresce, e di una decina di punti, se ci si avvicina al 60 per cento di occupazione femminile- ma a latere, alla fine, come spinoso capitolo aggiuntivo a cui destinare qualche briciola delle risorse.

Il solito della politica, insomma. Un’impostazione fallace e discriminatoria, che continua a pensare il lavoro come maschile, e le donne che lavorano un’eccezione, quando invece le donne si fanno carico della gran parte del lavoro sul pianeta (e quasi sempre gratis).

Da questo enorme svarione, e beffardamente proprio da parte di una ministra, discende l’insufficienza dei provvedimenti: quei ridicoli 3 giorni di congedo di paternità obbligatoria (contro le due settimane in Francia e le 12 settimane della Norvegia) che non servono proprio a niente; l’abolizione delle dimissioni in bianco, e ci mancherebbe altro; l’attuazione sulle quote nei cda delle società quotate in borsa e partecipate dallo Stato: mero atto amministrativo, la legge c’era già, e non può essere venduta come una concessione di questo governo; e ok, i voucher per la baby sitter per un annetto se la mamma torna al lavoro subito dopo la maternità obbligatoria.

Tutto qua. Ah, sì, da qualche parte dovrebbero esserci misure di defiscalizzazione per l’assunzione dei giovani e delle donne (ovvero dei giovani maschi, che presentano il vantaggio di non restare incinti) ma sui giornali oggi non ne vedo traccia.

E’ stata persa una grandissima occasione: quella di portare nella discussione sul lavoro, e a beneficio di tutti, lavorator*, imprese, Paese, quel ricco pensiero femminile sul lavoro che si focalizza anzitutto sul tema dell’organizzazione.

Continueremo a vivere insensatamente detenuti nelle aziende, che pagano costi di gestione insensati in cambio di un’organizzazione militare e maschile del lavoro, mettendoci in coda alle 9 del mattino e alle 6 di sera, inquinando le città, svuotando i quartieri dormitorio, depositando i bambini all’alba e riprendendoli al tramonto, e in più con il terrore di un licenziamento “economico”, in un momento in cui con due stipendi in famiglia ce la si fa a malapena.

Grande risultato.

E se per caso questa “riforma del Lavoro” che divide lo stesso governo non fosse farina del sacco di Elsa Fornero -come io non smetto di sperare- ma emanazione della volontà del premier Monti, che Elsa Fornero si faccia sentire, con tutta la sua forza femminile.

E magari si faccia sentire anche Se non ora quando, perché la sua voce sta mancando molto.

 

 

Politica Febbraio 7, 2012

O con lui o contro di lui?

Posta un lettore qui sotto, dove si dibatte sulla battutona della ministra Anna Maria Cancellieri (peraltro stigmatizzata un po’ da tutti):

“La sintesi dei partecipanti al blog:  per fare quello che ha fatto Monti non serviva un professore, bastava un bidello.
David Thorne, ambasciatore americano in Italia: Monti ha cambiato la dinamica europea.
Che ignorante questo rappresentante dei poteri forti che non ha letto le vostre critiche”.

Non è l’unic*, anzi sono in tanti ad assumere questa posizione, che definirei fideistica: o in questo governo ci credi senza riserve e senza critiche, o non ci credi affatto. O bianco, o nero. O stai con Monti, o sei un nostalgico del Cav. E così via.

E invece è possibile, e anzi auspicabile, avere fiducia in questo governo e dissentire da alcune delle sue azioni o posizioni. O, viceversa, non crederci, ma convenire sulla bontà di certe operazioni. Ed esprimere le proprie posizioni, opportunamente dialettiche.

L’uomo della salvezza non esiste. Essere politicamente adulti richiede di prenderne atto.

Soprattutto in un Paese come il nostro, storicamente propenso all’Amministratore Unico.

Donne e Uomini, esperienze, lavoro, Politica Dicembre 20, 2011

Datemi la mia nemica

Questa cosa delle 3 donne in conflitto sul tema cruciale del lavoro (Fornero-Camusso-Marcegaglia), la trovo semplicemente esaltante, e volevo dire due parole in più.

Apro il Corriere e sono pazza di gioia, pp 2-3 con l’immagine di 3 donne che non sono lì per un caso di cronaca, come vittime di qualcosa, con la ramazza in mano o con le tette fuori. Sono 3 protagoniste della nostra vita politica. E questo è moltissimo.

Di più: sono in conflitto pesante tra loro -conflitto che naturalmente tutte e tutti speriamo trovi un punto di mediazione soddisfacente per il maggior numero. Chi invoca solidarietà dice una stupidaggine.

Io voglio una nemica. Ho bisogno di una nemica. Ho diritto ad averne una.

Forse non sembra, ma anche questo è un modo per riconoscere l’altra, e anche me stessa. Non intendo farmi schiacciare e limitare da un unanimismo solidale che impedisce le differenze e i conflitti. Questo è un modo maschile di guardare a noi stesse, come a un unicum indifferenziato.

Quello in cui sperare è molto diverso dalla solidarietà. E’ un patto tra donne. E’ una fedeltà al proprio genere che consenta di convenire su un valore comune -io direi: tenere la vita al primo posto– pur nella differenza assoluta delle posizioni.

E’ una fantastica prima volta.

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Dicembre 20, 2011

Totem e Tabù

La ministra Elsa Fornero dice che l‘art.18 dello Statuto dei lavoratori non è un totem. Giusto. E allora mettiamo tutto nel piatto: una riforma del lavoro non può essere fatta partendo, a muso durissimo, dall’abolizione di una delle poche garanzie che restano a tutela dei lavoratori.

Nessun tabù: ma allora parliamo di tutto, mettiamo tutto sul tavolo. Il precariato, lo sfruttamento, il fatto che i salari di molte categorie sono più bassi della media europea, la grande arretratezza nell’organizzazione del lavoro -parlavo qui l’altro giorno di telelavoro, altro tabù nelle aziende italiane-, le lettere anticipate di dimissioni richieste alle donne in cambio dell’assunzione, il gap delle retribuzioni e quindi delle pensioni tra i sessi, il misconoscimento del lavoro di cura, il welfare, e così via. Altrimenti rischiamo che capiti anche qui quello che è successo alle donne, ritenute “pari” soltanto in uscita, e su tutte le altre possibili “parità” nessuna garanzia.

E magari smettiamola di dire sciocchezze tipo “la sintonia tra Camusso e Fornero scricchiola sul piano della solidarietà di genere” (come leggo oggi su Il Fatto, tanto per dirne uno). Qui la solidarietà non c’entra un accidente. L’auspicio può solo essere che nessuna delle interlocutrici -Fornero, Camusso e Marcegaglia- debba dimenticare di essere donna, sedendosi a questo supertavolo, e si senta libera di cercare un linguaggio e delle soluzioni che tengano conto del fatto di non essere un uomo, di avere del lavoro un’esperienza ben diversa, di auspicare soluzioni ben diverse, di non sentirsi costretta alle  ritualità e al simbolico maschili.
p.s. Questo essere tutte donne ai livelli massimi del confronto non deve essere visto come occasione di “solidarietà”, ma come occasione di esprimere a quel tavolo, pur nel conflitto delle rispettive posizioni, la grande competenza femminile sul tema del lavoro.

 

economics, lavoro Dicembre 19, 2011

I poveri che abbiamo in casa

Seguo il dibattito sull’art. 18 e provo a farmi un’opinione, senza pregiudizi.

Al momento dico solo che non è sopportabile che in uno stesso luogo di lavoro, a parità di mansioni, vi sia chi è garantito e non lo è -situazione che conosciamo bene tutti- e nemmeno che il sistema delle garanzie vada a esaurirsi con la progressiva uscita degli attuali assunti a tempo indeterminato, che nel prossimo futuro rischiano di diventare una vera rarità.

Dico che i poveri ce li abbiamo in casa, e sono i nostri figli, destinati, in assenza di nuove regole, a un precariato senza fine. Toccherà a noi doverli garantire, fargli da welfare, assicurargli un tetto, arrivare dove non arrivano, investire i nostri risparmi nella tutela delle loro famiglie. E poi?

Dico anche che non possiamo rinunciare, nemmeno in queste circostanze, a ragionare sulla qualità del lavoro e dell’esistenza. Che non possiamo sacrificare sull’altare delle garanzie il senso di un’intera vita. Conosco molti ragazzi che pur di non rassegnarsi all’alienazione di un lavoro deludente ancorché garantito, che non corrisponde affatto alle loro aspirazioni, riducono al minimo le loro pretese e rinunciano a perseguire l’idea del posto fisso. Una generazione di downshifter, nata e cresciuta nel relativo agio e pronta alla frugalità del molto-meno.

Si dovrebbe tenere conto anche di questo, nei ragionamenti. E ripensare tutta quanta la questione del welfare in questa prospettiva. Una parte consistente delle moltissime tasse che eroghiamo siano destinate a un sistema di garanzie che preservi il senso di ogni singola vita.

Anche questa è crescita.