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cultura, jihad, Politica Gennaio 14, 2015

Kouachi, Coulibaly e gli altri: perché a quei ragazzi non piace più l’Occidente

Dunque rap, birra, sesso, probabilmente canne, scarse prospettive: la vita media del giovane occidentale metropolitano. Poi un incontro che ha a che fare con le proprie radici, un passato che si spalanca come possibile futuro, l’adrenalina di un’identità vincente per cui combattere, il sogno del Grande Islam che vendica le umiliazioni subite dall’Occidente (Abu Ghraib ricorre come un’ossessione nelle biografie dei “martiri” parigini), le esercitazioni militari, il jihad.

Le storie dei foreign fighters si somigliano un po’ tutte.

E se, con discreto ritardo, si sta pensando a una superprocura europea, se le immagini della macchina della polizia che ingrana la retro di fronte ai kalashnikov dei guerriglieri Kouachi danno precisamente il senso dello sbigottimento, della sorpresa di fronte a un impensabile atto di jihad nel cuore d’Europa, chi lavora con la cultura e non con le forze dell’ordine a mio parere ha un altro compito: capire perché il modello occidentale, e segnatamente l’american way of life, il mito della frontiera raggiungibile da tutti, il sogno americano che ha trainato le speranze e i progetti generazioni di donne e di uomini, per queste giovani donne e per questi giovani uomini non funziona più. Perché gli viene preferito ben altro sogno.

Qui riproduco più o meno quello che dice Mr White, americano del New Mexico protagonista di “Breaking Bad”, una tra le straordinarie serie tv (“True Detective”, “Fargo”) che danno forma al nuovo romanzo americano. Mr White si ritrova in un bel casino, intrappolato in un camper con le batterie esauste e senza una goccia d’acqua nel bel mezzo del deserto: sta crepando. Sdraiato senza forze sulla branda, Mr White dice che è tutta colpa sua, che avrebbe dovuto pensarci prima, che è lui stesso responsabile della situazione in cui si è ficcato. Me lo sono meritato. Mi merito quello che mi capita. Un monologo paradigmatico -andrebbe ascoltato- insieme al resto: in tutte le serie, deserti e praterie senza frontiere né miraggi, spaesamento, perdita di ogni riferimento, solitudine, disastro delle relazioni -siamo il Terzo Mondo delle relazioni-, Dio che si affaccia qua e là come una possibilità.

L’America per prima dice che il suo sogno è finito: per loro, per noi, per tutti. E che ci vuole qualcos’altro da sognare. Un giovane occidentale, coetaneo dei foreign fighters, l’altro giorno mi diceva: “Qui non conta più niente: la famiglia, l’amicizia, i minimi valori. Solo i soldi. E i soldi non ci sono più”.

Ascolto con attenzione, mi chiedo quale sogno dovremmo metterci a sognare. Qualche vaga idea ce l’ho.

Ma mi chiedo anche se i giovani guerrieri, scaricata l’adrenalina e finita la droga del jihad (per il potere), ipoteticamente raggiunto il loro obiettivo dichiarato (Dio non voglia), il Grande Islam che domina il mondo, la sharia come legge universale con tutto ciò che ne consegue, poi in quel mondo ci si troverebbero davvero a loro agio: loro, nati e cresciuti bene o male liberi, nelle periferie di Parigi, Berlino e Milano, come starebbero in quel mondo di ubbidienza, oppressione, illibertà?

Forse bisognerebbe insinuargli il dubbio.

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Ottobre 21, 2012

I palpeggiatori di Piazza Tahir

Dalla pagina Fb di lotta delle donne arabe.
Sul cartello c’è scritto: “Sono Menna, egiziana. Partecipo alla rivolta delle donne nel mondo arabo perché non posso accettare più il silenzio su quegli sguardi allucinati e su quelle mani addosso nelle strade del mio Paese”.

 

Venerdì sera in Piazza Tahir (Il Cairo) una giornalista francese di France 24, Sonia Dridi, è stata aggredita da una folla di maschi che l’hanno palpeggiata e molestata, aprendole la camicia e cercando di slacciarle la cintura (qui il video).

Soccorsa da un collega, ha evitato il linciaggio sessuale rifugiandosi in un fast food. I palpeggiatori hanno continuato a picchiare sulle vetrine, rivendicando il possesso della loro “preda”, e successivamente hanno circondato il taxi con il quale Sonia è riuscita ad allontanarsi in stato di choc. Prima di lei, altre giornaliste straniere hanno denunciato episodi simili. Qui il video dell’aggressione alla francese Caroline Sintz. L’americana Natasha Smith, a sua volta vittima delle violenze dei maschi egiziani, le racconta così:  “Quegli uomini erano come dei leoni intorno a un pezzo di carne, avevo le loro mani dappertutto sul mio corpo e sotto i vestiti. Gli sguardi erano quelli di animali. Mi sbattevano a destra e a sinistra, come se fossi uno straccio e non un essere umano” 

Moltissime donne egiziane, sottoposte quotidianamente a queste violenze, subiscono invece in silenzio, vista la non-reazione delle autorità e il pericolo di ritorsioni.

Dopo la primavera rivoluzionaria, di cui le donne sono state protagoniste, piazza Tahir è diventata la scena di un violento ed estremo colpo di coda patriarcale. Quasi a compensare quel protagonismo e a neutralizzare quella straordinaria forza femminile, molti maschi egiziani adottano il palpeggiamento e l’umiliazione fisica come forma di lotta sessista, il cui significato è lampante: “tu sei soltanto una cosa a mia disposizione, non hai una tua vita e tuoi desideri autonomi”. Il corpo delle donne resta uno dei principali campi di battaglia. 

La politica egiziana non è meno violenta nei confronti delle cittadine: nella bozza di Costituzione l’articolo 36 stabilisce che la parità fra i sessi non deve entrare in conflitto con «i principi della sharia» e lo Stato deve far sì che una donna possa conciliare «i propri doveri nella famiglia e il suo lavoro nella società», si parla di nuova legalizzazione delle mutilazioni genitali e del matrimonio per le bambine.

Le donne del mondo arabo lottano e mostrano il loro volto nella piazza virtuale, insieme a quello di molti uomini “nuovi” che sostengono i loro diritti essenziali. Cliccatissima su Facebook la pagina ”The uprising of women in the Arab world”, visitiamola tutt* e mettiamo il nostro “mi piace” contro la barbarie.

L’Egitto non è solo un posto per vacanze low cost. L’Egitto oggi è uno dei tanti luoghi del mondo in cui le nostre sorelle soffrono.