Bernardo Bertolucci, regista che ho sempre apprezzato, 41 anni dopo l’uscita di “Ultimo tango a Parigi” rivela i dettagli della scena clou e pluricensurata del “burro” (eccola qui):
“L’idea è venuta a me e a Brando mentre facevamo colazione… A un certo punto lui ha cominciato a spalmare il burro su una baguette, subito ci siamo dati un’occhiata complice (!)… Abbiamo deciso di non dire niente a Maria per avere una reazione più realistica, non di attrice ma di giovane donna. Lei piange, urla, si sente ferita. E in qualche modo è stata ferita perché non le avevo detto che ci sarebbe stata la scena di sodomia e questa ferita è stata utile al film. Non credo che avrebbe reagito in questo modo se l’avesse saputo… Sono cose gravi ma è anche così che si fanno i film: le provocazioni a volte sono più importanti delle spiegazioni… E’ anche in questo modo che si ottiene un certo clima, non saprei come altrimenti. Maria aveva vent’anni. Per tutta la vita è stata rancorosa nei miei confronti perché si è sentita sfruttata. Purtroppo succede quando si è dentro un’avventura che non si comprende, lei non aveva i mezzi per filtrare quello che succedeva. Forse sono stato colpevole ma non potranno portarmi in tribunale per questo”.
Analizziamo da vicino queste dichiarazioni:
“L’idea è venuta a me e a Brando mentre facevamo colazione… A un certo punto lui ha cominciato a spalmare il burro su una baguette, subito ci siamo dati un’occhiata complice”.
Dunque, uno dei due spalma il burro e a entrambi viene in mente che si sarebbe potuto usare per una penetrazione anale. Bertolucci lo dice come se fosse una cosa normale. Quella complicità dà addirittura l’idea che sia tra loro che scatta la scintilla burro-penetrazione. Maria è un mezzo di questa complicità, un mero oggetto dello scambio, e infatti viene tenuta all’oscuro, come se il suo desiderio e la sua volontà fossero solo un possibile ostacolo.
“Abbiamo deciso di non dire niente a Maria per avere una reazione più realistica, non di attrice ma di giovane donna. Lei piange, urla, si sente ferita. E in qualche modo è stata ferita perché non le avevo detto che ci sarebbe stata la scena di sodomia e questa ferita è stata utile al film. Non credo che avrebbe reagito in questo modo se l’avesse saputo”.
C’è come il desiderio di perpetrare una violenza reale, e di vederla perpetrata: non basta l’attrice, bisogna che sia proprio lei, Maria. Bertolucci è consapevole che la sta ferendo e umiliando. Ma il suo pianto e le sue urla non lo muovono a compassione. Anzi. Servono proprio il suo dolore e la sua umiliazione reali a fare un buon film. Lui per primo ha il desiderio di vedere quella violenza e quelle lacrime. Altrimenti avrebbe fatto di tutto per non vederle. E’ come dire che serve dare una coltellata vera all’attore che viene accoltellato, o mandare a fuoco sul serio quello che viene bruciato. Non tenere conto della volontà di una donna non è affatto grave. Maria, secondo Bertolucci, non sarebbe stata capace di recitare realisticamente quella scena. Non si sarebbe visto come reagisce davvero una donna che viene violentata. Così, invece, lo possono vedere tutti, come in un morboso docu-film. E quello che contava era fare un buon film, non la disperazione della ragazza.
“E’ anche in questo modo che si ottiene un certo clima, non saprei come altrimenti“:
il “clima” è l’annichilimento prodotto da uno stupro, per quanto simulato, è l’eccitazione voyeuristica o, viceversa, l’angoscia di chi guarda (questione di punti di vista).
“Maria aveva vent’anni. Per tutta la vita è stata rancorosa nei miei confronti perché si è sentita sfruttata. Purtroppo succede quando si è dentro un’avventura che non si comprende, lei non aveva i mezzi per filtrare quello che succedeva. Forse sono stato colpevole ma non potranno portarmi in tribunale per questo”.
Maria, insomma, come avrebbe potuto capire che l’arte esigeva questo, la sua definitiva umiliazione? E invece forse, chissà, se le avessero spiegato, se avessero richiesto la sua partecipazione attiva e il suo consenso, la scena sarebbe venuta benissimo. Non servono poi molti mezzi per capire che ti stanno umiliando e fregando. Maria è morta ancora arrabbiata per quello che le era capitato su quel set, e che avrebbe segnato non solo la sua vita di attrice, ma anche quella di donna: questo evidentemente per molti uomini, anche intellettuali, resta difficile da comprendere. Forse se al posto di Maria ci fosse stato un giovane uomo -penetrabile analmente- la cosa sarebbe più evidente anche a loro. Non è questione di tribunale: è questione di intendere una donna, per di più giovane e con poche difese, come mero contenitore, anche eventualmente come contenitore della propria arte, svuotato dei suoi propri desideri.
E ora voglio restituire la parola a Maria, che non c’è più. Nel 2007 a La Repubblica dichiarava questo:
“Mi hanno ingannato. Mi hanno quasi violentata. Quella scena non era prevista nella sceneggiatura. Io mi sono rifiutata, mi sono arrabbiata. Ma poi non ho potuto dire di no. Avrei dovuto chiamare il mio agente o il mio avvocato perché non si può obbligare un attore a fare qualcosa che non è nella sceneggiatura. Ma all’epoca ero troppo giovane, non lo sapevo. Così fui costretta a sottopormi a quella che ritengo essere stata una vera violenza. Le lacrime che si vedono nel film sono vere. Sono lacrime di umiliazione. Non ho ancora perdonato Bertolucci per il modo in cui mi ha trattata e anche quando l’ho incontrato a Tokyo 17 anni fa l’ho ignorato. Lo ricordo ancora bene sul set. Era grasso, sudato e ci ha manipolati, sia Marlon che me. Alcune mattine sul set era molto gentile e salutava, altri giorni non diceva niente, solo per vedere le nostre reazioni. Io ero troppo giovane e ingenua. E sfruttata. Per il film mi diedero solo 5 mila dollari“. “Ultimo Tango a Parigi”, invece, incassò milioni.
Dopo quel set Maria scivolò in una vita dissoluta, segnata dalla dipendenza dall’eroina. Colpa, diceva lei, dell’immagine che Bertolucci le aveva fatto assumere nel film. “Ero triste perché mi trattavano come un sex symbol, ma io volevo essere apprezzata e riconosciuta come attrice“.
Aggiornamento di venerdì 20 settembre ore 16.30 circa:
onde non dover continuare a rispondere alla stessa obiezione, preciso il fatto che non sono io ad aver sostenuto che a causa del film la vita di Maria Schneider è stata problematica, tossicodipendenza compresa. E’ Maria Schneider, nell’intervista a Repubblica che cito, a porre in correlazione le difficoltà della sua vita con l’esperienza di quel set. Su questo ognuno/a avrà legittimamente le sue opinioni, me compresa. Ma era quello che pensava lei, a meno che Repubblica non si sia inventata di sana pianta l’intervista (cosa che escludo). Non posso, quindi, essere chiamata a rispondere di un convincimento che era di Maria Schneider.