Un documento importante, firmato da persone transessuali, che fa chiarezza sulla differenza tra transessualità e transcult/trans-attivismo. Da cui si sentono danneggiati e prendono le distanze
Scusate la brutalità, ma a quanto pare le italiane non fanno più sesso. Spiegatemi altrimenti come potrebbe verificarsi quanto segue.
Dalla recente relazione della ministra Lorenzin sullo stato di applicazione della legge 194, apprendiamo che il tasso di abortività delle italiane è molto basso, tra i più bassi d’Europa, 9 interruzioni volontarie ogni 1000 donne. Avrebbe tutta l’aria una notizia positiva, e la ministra se ne rallegra. In altri Paesi il tasso di abortività è decisamente più elevato: 15.9 in Gran Bretagna, 18.1 in Francia, 20.13 in Svezia, 31.3 nella Federazione Russa. Come può spiegarsi questa differenza?
Ipotesi A: un maggiore ricorso alla contraccezione? Più delle svedesi? Non siamo ridicoli. L’Italia è agli ultimi posti anche in questa classifica, davanti solo a Cipro, Romania, Lituania e Repubblica Ceca. Del resto manca qualunque campagna informativa, e i consultori non esistono quasi più.
Ipotesi B: nascono più bambini? Via, non scherziamo. Siamo tra i Paesi meno prolifici al mondo, la nostra natalità ha raggiunto il livello più basso dall’Unità d’Italia a oggi.
Ipotesi C: la nostra infertilità è più elevata che nel resto d’Europa? Vero che le nostre primipare sono tra le più attempate al mondo, ma tra i 15 e i 30 anni si resta incinta uguale.
L’unica spiegazione plausibile, a questo punto –immagino che sia quella della ministra Lorenzin, se no quale? – è che le italiane non lo fanno più.
Oppure ce n’è un’altra, ben più tragica: con un’obiezione di coscienza a livelli mostruosi (una media del 70 per cento, con punte che superano il 90 in alcune regioni), il 40 per cento degli ospedali che non eroga il servizio di Ivg (obiezione di struttura, con punte del 70 per cento in alcune regioni), città come Jesi o Ascoli Piceno dove non c’è più un solo ospedale a cui rivolgersi (ne ha parlato perfino il New York Times) alle donne non resta che rivolgersi all’aborto clandestino, mammane chirurgiche o pillole online, salvo precipitarsi al pronto soccorso quando le cose finiscono male (sono in aumento le procedure d’urgenza). Ne abbiamo parlato fino allo sfinimento, per esempio qui, qui, qui e in decine di altri post.
Quel 9-1o per cento di differenza nel tasso di abortività rispetto a Francia, Gb, Svezia non può che avere questa spiegazione: il ritorno all’aborto clandestino.
Stiamo via via riprecipitando nella situazione pre-194, l’Europa ci sollecita e ci condanna, ed è davvero vergognoso che la ministra insista a giochicchiare con i numeri per sostenere che le cose stanno funzionando.
E’ una donna, abbia almeno pietà delle sue simili. E le parlamentari si diano una svegliata (qui invece gli ultimi assurdi provvedimenti in materia di aborto).
#save194
Qui la proposta di legge sulla 194 a cui ho lavorato insieme alla medica non obiettrice Mercedes Lanzilotta e al costituzionalista Andrea Pertici.
Secondo loro io sarei una cosiddetta “moralite”: una di quelle che non vorrebbero vedere il magnifico sedere di Belen in primetime, una di quelle che preferirebbero evitare che “Kooly Noody” diventasse la nuova sigla del tg.
Per questo le femministe amoraliste e i loro entusiasti supporter non ci amano, noi moralite. Dicono che boicottiamo il godimento. Talora trascendono un po’ e dicono che siamo cesse e invidiose, tipo le comari di “Bocca di rosa”.
Invece loro godono e godono. E lo dicono e lo scrivono, paventando che il femminismo bacchettone delle “moralite” ci riporterà indietro, a ri-essere donnine che esultano per il bianco-più-bianco e per la sfoglia-più-sfoglia. E’ infatti arcinota la casalinghitudine delle scandinave, che se un uomo per strada gli dice “Hey, bella!” chiamano l’esercito.
Ora avrei una notizia: anche noi “moralite” ce la spassiamo -o ce la siamo spassata, qui dipende dall’anagrafe e dal livello di estrogeni-. Almeno alcune di noi non sono affatto male, o lo sono state, le occasioni non sono mancate. E forse è proprio per il fatto che ce la spassiamo o ce la siamo spassata, che non ci viene poi tutta questa voglia di vedere sesso mentre diamo la pappa ai bambini e di dire e parlare di sesso. A riprova della nota legge “meno lo fai e più ne parli”. O anche a conferma dell‘intuizione di Foucault, secondo il quale non esiste la sessualità, esistono i corpi e i piaceri, i quali non richiedono necessariamente di essere detti. Ogni parola detta sul sesso è norma sul sesso.
Magari quello che ci fa soffrire è che lo splendore del corpo della madre (quella ragazza che è stata nostra madre, e che siamo state noi, o siamo noi) venga umiliato per ragioni di audience, ovvero per vendere cose, e perciò ridotto a cosa.
Devo poi dire che tra l’originale e la copia tendo a preferire l’originale. E mi attacco al midollo di alcune leonesse, come Roberta (Tatafiore), o anche Catherine Millet, che quanto meno non hanno mai fatto mistero di quanto Thànatos ti arriva addosso ogni volta che fai troppo la spiritosa con Eros.
Signor Presidente del Consiglio,
sono abbastanza vecchia da non poter più aspirare a essere selezionata per i suoi party a Villa San Martino, ma anche abbastanza giovane da poter essere sua figlia (per bontà divina non lo sono). Quelle ragazze sono mie figlie, e lei è il loro nonno. Lei dice di aver diritto a godersi la vita, ma anche quelle ragazze hanno diritto a godersela. Se sua figlia o sua nipote, per godersi la vita, per trovare un posto nel mondo, o per legittima per quanto malriposta ambizione, dovessero danzare e spogliarsi per un vecchio quale lei è, o perfino accomodarsi tra le sue braccia, lei di sicuro ne soffrirebbe molto. Che queste ragazze siano minorenni o maggiorenni è un fatto che riguarda la legge. Ma anche se avessero 25 anni, rimarrebbe aperta una seria questione di coscienza.
Signor Presidente del Consiglio, attualmente lei gode ancora del consenso della maggioranza degli italiani, ma questo non la dispensa dalla più elementare legge morale, che è quella di non fare del male a chi è indifeso, e di non approfittare di chi si trova in una situazione di bisogno. Se quelle ragazze vengono ai suoi party, Presidente, non è perché la trovino attraente, ma solo perché sperano di ricavarne qualche vantaggio. Per qualunque donna giovane e feconda, non si faccia illusioni, il contatto con un uomo vecchio è ripugnante. Senza eccezioni. Lei compreso. Questo può essere molto doloroso per un uomo che provi ancora il desiderio di una donna, contravveleno alla paura della morte che si avvicina. A quanto ci viene raccontato da molta letteratura, da vecchi il desiderio può essere ancora lancinante, e perfino disperato. Ma vi è la possibilità che il dispositivo della coscienza sia più forte, che il desiderio venga sublimato, che l’istinto di proteggere chi è più piccolo, come quelle quasi-bambine, abbia la meglio. Su questa possibilità e su questa speranza basiamo grande parte del patto umano.
Ci sono anche i ragazzi, non solo le ragazze, a cui da molti anni, praticamente da quando sono al mondo, lei offre un modello di relazione tra uomini e donne basato sullo scambio sesso-potere-denaro. I suoi figli e i suoi nipoti, che la osservano, e si sentono certamente mortificati dal suo lassismo.
Signor Presidente, molti osservatori concordano sul fatto che il tempo del suo premierato è in scadenza, che siamo agli ultimi giorni di Pompei, e si sa che un impero alla sua fine esprime quasi sempre un collaterale degrado morale. Ma senza voler parlare di politica, stando all’essenziale della sua e anche della mia umanità, l’auspicio, Presidente Berlusconi, è che in uscita lei accetti i limiti e le responsabilità connessi alla sua età veneranda, che trovi la forza morale per esprimere qualche ravvedimento, per restituire in extremis alle giovani generazioni quello che, insieme a ben altro -la possibilità di un lavoro, di una casa, di una vita- è stato loro tolto: la fiducia nell’amore vero, costruito nel rispetto e nella dignità, e nella possibilità di costruire insieme, uomini e donne, quel poco di serenità in cui ci viene dato di sperare nella vita. Si lasci aiutare a farlo, se da solo non ci riesce.
Detto come da una figlia a un padre in gravi difficoltà, e provando una profonda compassione, per lei e per tutti.
La prima cosa che ho pensato, leggendo il discorso del Patriarca Angelo Scola ai veneziani per la bella festa del Redentore, è che il puro sesso è davvero un pessimo investimento. Sempre che esista un sesso in questo supposto stato di “purezza”: il nostro ambiente naturale è il simbolico; per noi, bizzarri animali, le cose, e perfino gli istinti, cominciano a essere solo dal momento in cui gli diamo un nome.
“Normati” e costretti per la vita, anche da vecchi, a rincorrere quel piacere momentaneo; un sacco di energie spese per allestire fuggevoli rendez-vous. Ma fin dai primi e provvisori bilanci esistenziali, ti rendi conto che è già un successo se di quelle circostanze roventi te ne ricordi un paio.
Un tempo il consumismo sessuale tentava solo l’umanità maschile. Gli si davano altri nomi –collezionismo, dongiovannismo– e forse, tutto sommato, qualcosa di sacro resisteva. Oggi il sesso è dappertutto, nella triste e diffusa provincia dei ragionieri scambisti e dei sabati al privé. Ma se il sesso è dappertutto, come dice Charles Melman, allievo di Lacan, vuole dire che non è più al centro. E questo è un guaio per la nostra identità.
Oggi anche l’umanità femminile si dà al raunch e alla caccia grossa, “liberata” nel corso della cosiddetta rivoluzione sessuale, storico imprinting dell’omologazione tra i sessi. E allora, ti dicono tanti ragazzi, meglio una bella partita di pallone, una sgambata in montagna, casomai una sbronza nel week-end. E tocca a un cardinale ricordarci che cos’è il desiderio, il godimento, il “bell’amore”.
Una sera a cena due di questi ragazzi, due ventenni fatti con il pennello e assediati da fanciulle con il piercing ombelicale, mi dicono che di tutto questo ne hanno abbastanza. Che vorrebbero qualcosa di diverso, qualcosa che duri, un’amica, una consolazione, una carezza, un progetto. Una con cui puoi parlare di tutto, perfino di figli, perché dicono di volerne due o anche tre, non come noi baby boomer che ci siamo sterilizzati in tutti i modi possibili. Ma dicono anche che “di ragazze così non se ne trovano”, consapevoli del fatto che se per loro sarà difficile trovare un posto fisso, figuriamoci un amore fisso. Poi non chiediamoci perché si sbronzino.
Il Patriarca vive nel celibato sacerdotale, ma la relazione, il legame, il matrimonio, il “caso serio dell’amore” sono da molto tempo al centro del suo magistero. In cerca di quella ragionevole felicità che si incontra solo quando si smette di credere nell’individuo irrelato, triste chimera che ci sta divorando e che oggi seduce più le donne, neofite dell’individualità, che gli uomini. Convinte di poter fare tutto da sole, lavoro, casa e anche figli, da tirare su senza l’ingombro di un padre, tendono a diventare loro stesse la copia conforme di quegli uomini da cui si tengono accuratamente lontane. Il rischio dunque è che l’esito di quella millenaria “perversione” dei rapporti tra i sessi (giudizio inequivoco di Joseph Ratzinger) che è stato il dominio dell’uomo sulla donna, sia una perversione ben più subdola e sottile, una nuova e più perfetta forma di dominio: l’asservimento delle donne al modo maschile di concepire la sessualità, le relazioni, il lavoro, il mondo.
Il concetto di emancipazione trattiene in sé e ipostatizza l’idea della schiavitù.
La donna ha sempre tenuto il posto dell’altro, e gli ha sempre fatto spazio in sé. Ma se anche lei si scorda vendicativamente di questo, se non vuole più essere l’Altra ed elimina l’Altro dalla sua strada, se non è più lì a testimoniare con il suo corpo schiuso quella radicale apertura che è il soggetto umano, inestricabile dal suo oggetto (certa psicoanalisi è giunta a parlare di oggetti-sé), quel dinamismo spirituale che nell’esperienza della maternità diventa carne, chi lo farà al suo posto suo?
Viviamo in un affascinante tempo di lotta tra l’epica dell’individuo e il “bell’amore” di cui ci parla Scola, quella relazionalità che ci segna fin nella nostra fisiologia più minuta, e che neuroscienze e scienza sociale, da Giacomo Rizzolatti a Jeremy Rifkin, classificano come empatia. In questa lotta la questione della differenza sessuale e del rapporto con il nostro primo altro -l’uomo per la donna, e la donna per l’uomo- è un passaggio decisivo. Oggi il lavoro grosso tocca agli uomini, che devono abdicare dall’assoluto e riconoscersi come differenza, alla ricerca di un’identità maschile che rinunci al dominio; ma anche per le donne c’è molto da fare. Prima di tutto riscoprire che “la maternità è il viaggio”, come diceva Carla Lonzi, geniale pioniera di quel femminismo della differenza che il Patriarca mostra di conoscere bene.
Molte parti del suo bel discorso per il Redentore si prestano a essere lette in chiave di appello a un femminile minacciato di estinzione, che lui vede incarnato soprattutto nell’avventura di Maria, a cui ha dedicato il suo ultimo libro. Anche là dove parla del consumismo sessuale, di quella “smania del tutto e subito” radicata nella paura della morte. Il paradosso è questo: che per sfuggire alla morte ci manteniamo al suo cospetto per tutto il tempo. Che per paura di morire anticipiamo la morte scegliendo la solitudine, e mandiamo a morte le relazioni, o meglio non le facciamo neanche nascere, e non facciamo nascere più nulla. Ma questo tenersi lontani dalla nascita, categoria cara ad Hannah Arendt (e lontani dalla rinascita cristiana, mediante la Resurrezione, in una vita non più minacciata dalla morte), non può forse essere letto come eccesso di maschilità del mondo?
Scola conclude parlando di castità, e riconducendo il termine al suo significato originario, che non è quello di privazione, ma vuole semplicemente dire “tenere pulito, in ordine”, attività che le donne hanno sempre praticato con pazienza meticolosa. Il senso di questa misura e di questa regola ce lo portiamo misteriosamente dentro, come un’impronta indelebile. Perfino certi sesso-dipendenti, tipo David Kepesh e altri disperati protagonisti dei romanzi dello spiritualissimo Philip Roth, con il loro disordine compulsivo non fanno altro che testimoniare la struggente mancanza del “bell’amore”, agitandosi intorno al vuoto scavato dalla mancanza di Dio.
pubblicato su Il Foglio il 21 luglio 2010
Se c’è una cosa che mi dà l’orticaria sono le prescrizioni sul sesso nella terza età. Età che poi, paradossalmente, comincia proprio quando vedi che il sesso non è più un fattore esistenzialmente decisivo. Tutto avviene in modo molto dolce e progressivo: natura non facit saltus. Se mi ripenso, sui 13-14 anni, certe devastanti reazioni psicofisiche solo per un casuale sfioramento di mano da parte di un tale Roberto, un tipo cereo sempre vestito di nero…
Non mi sento propriamente nella terza età: sullo scivolo della seconda, diciamo. E non che vedendo Josè Mourinho, ad esempio, non mi renda conto… Ma niente di simile a quell’urto, a quell’intossicazione ormonale: un vero elisir per la pelle.
Meglio così, tutto sommato. Non vorrei mai diventare una di quelle mature e scutrettolanti signore. Se non fosse per certe prescrizioni medico-sanitarie travestite da sondaggi che ci obbligano a non perdere il ritmo: sotto le 4 volte al mese sei una disfattista. Una tra le ricerche più cretine che ho letto di recente sosteneva che il 40 per cento delle occidentali ha “problemi sessuali”, in particolare donne mature, che sperimentano un “preoccupante calo del desiderio”. Ma quel calo non è preoccupante per niente. Semplicemente il desiderio, trucco anti-estinzione dei nostri geni egoisti, ha esaurito la sua mirabile funzione. Non è più previsto che ci riproduciamo, tutto qui. Le aspettative eventualmente sono altre.
Non per bacchettonismo, sia chiaro. Frequentare teneramente il marito o il compagno –il cui andazzo ormonale è molto diverso dal nostro- è cosa buona e affettuosa. Mi spiace però che tante signore perdano tempo ed energie in manovre seduttive fuori tempo massimo, peraltro con risultati scarsi. Che si sentano perdute all’idea di non poter giocare più il magnifico gioco che le ha impegnate più o meno intensamente per un quarantennio.
Ci sono tanti altri giochi da cui, dal menarca in poi, abbiamo dovuto distoglierci, prese dal vortice della grande danza. Se ben ricordate ci divertivamo come pazze. Si potrebbe riprendere di lì, da quei giochi interrotti di bambine. E ricominciare a guardare con un certo sussiego “i maschi”. Come facevamo da piccole.
(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 16 maggio 2009)
A Napoli, museo di Capodimonte, vista mostra di Louise Bourgeois, classe 1911, nata francese, trapiantata in America. I suoi ragni, le sue teste di stoffa, le sue “opere appese” installati tra Caravaggio, Botticelli e Goya.
Bourgeois dice una cosa, tra le tante -sa usare magnificamente le parole- parlando del sesso maschile. Mi è venuta in mente pensando al commercialista veronese che ha fatto strage della sua famiglia e di sé, terrorizzato che la moglie lo abbandonasse. Dice più o meno (non sono in grado di essere letterale, scusate): “Ho dovuto occuparmi dei miei uomini, e ho molta tenerezza per il pene. Però mi fa anche paura”. Un sentimento molto femminile (altro che invidia…).
Date fiducia all’arte. Quando un artista vi chiama, rispondete.
Il ragazzo –ragazzo per dire, ha passato di sicuro i 40, ma la pelle nerissima è tesa e lucente- prende la faccenda alla larga. “Tu sa? Io ho tante amiche italiane. Io gli fa compagnia. Loro mi telefona e io va”. Si siede sul mio lettino, poggia il box con gli anelli e le altre chincaglierie del Senegal. Riposa un poco sotto l’ombrellone, fa caldo anche per lui. “Loro mi telefona: tu mi fa’ un po’ di compagnia? E io va. In macchina, in albergo. Un po’ di djiki-djiki. Anche tre djiki-djiki in una volta”. “Complimenti” gli dico. C’è qualcosa di innocente nel modo in cui racconta sconcezze. “E ti fai pagare?”, gli chiedo. “Noo! Altri ragazzi sì, ma io no. Io lo fa per compagnia, per divertirsi. Mia moglie è lontana. Come fa un uomo sei mesi lontano?”. Ah, lo so bene. Qui da noi la questione è diventata perfino un caso politico. “Un uomo senza djiki-djiki non può. Noi uomini africani non può. Uomini italiani invece forse può”.
Questo è molto interessante: qualcuno può riferirlo all’onorevole Mele? “E chi lo dice che gli italiani può?”. “Le sue moglie. I mariti non fanno, e loro chiama me. Per djiki-djiki. E mi dice bravo. Una signora di cinquanta anni. Molto bella. L’ho vista ieri sera al Forte. Molto contenta”. “Tua moglie invece” obietto “non sarà contenta…”. “Ma io non dico! Lei non sa!”. Poligamia a parte, quindi, anche lì usa come da noi.
Eccoci al dunque: “E noi non può vedersi? La sera, le nove, le dieci. Noi ci diverte. Io vengo con macchina. Tu dove sta?”. “Guarda” gli dico “sei davvero gentile, ma io sono a posto così. Apprezzo molto, ma non mi serve nulla”. “Ma io so!” si scusa. “Tu brava moglie! Ma sempre pasta e pasta… magari una ha voglia di risotto con i frutti di mare”. “Niente frutti di mare, grazie”. “Ma non soldi!”. Ci manca pure che pago.
Si chiama turismo sessuale, e viene anche servito a domicilio: se Maometto non va alla montagna… Ma la notizia è un’altra: ormai, nell’opinione del Terzo Mondo, gli uomini occidentali sono maschi che non lo fanno più. “Forse perché donne non sono gentili?” mi domanda il mio generoso amico. Mi rituffo nella lettura del giornale.
(pubblicato su “Io donna”-“Corriere della Sera”)