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pensioni

Donne e Uomini, Politica, questione maschile Maggio 19, 2015

Renzie, le nonne e le fidanzate: un immaginario anni Cinquanta

Parlando di pensioni, il premier Matteo Renzie ha sostenuto che

«se una donna a 61, 62 o 63 anni vuole andare in pensione due o tre anni prima, rinunciando a 20-30-40 euro, per godersi il nipote anziché dover pagare 600 euro la baby sitter, bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa nonna di andarsi a godere il nipotino».

Avrebbe anche parlato delle fidanzate che possono essere portate a cena fuori perché il fidanzato ha 80 euro in più in busta paga.

Un meraviglioso mondo strapaesano e Happy Days, in cui le sessantenni sono nonne di default (avvisare il premier che non lo sono poi tanto, in questo Paese si fanno pochissimi figli e nipoti perché non c’è abbastanza lavoro per le figlie delle nonne e i servizi scarseggiano -dirgli anche questo- e infatti come lui ben sa si devono “pagare 600 euro per la baby sitter”) e il massimo godimento loro consentito è spingere il passeggino.

Dirgli che nonne o non nonne, le sessantenni che girano oggi oltre che sferruzzando calze e confezionando bambole di pezza (pigotte), godono in parecchi altri modi: trascurando i sollazzi intimi, le vecchiette viaggiano, si informano, sono quelle che leggono di più e che affollano maggiormente i teatri e le mostre, fanno politica, fanno impresa, aspirano non solo a rigovernare ma anche a governare, quando lasciano il lavoro spesso se ne inventano un altro, e magari sono perfino breadwinner. Non è affatto detto che intendano continuare a sostituirsi ai servizi che andrebbero erogati dagli enti pubblici, inchiodate fino al decesso al ruolo di welfare vivente. 

Avvisarlo anche del fatto che oggi le fidanzate sono talmente scostumate da aspirare a pagarsi la pizza in proprio, e magari non solo quella, guadagnandosi la vita da sole: anche perché in genere sono più brave dei fidanzati, studiano di più, si laureano meglio, insomma se lo meriterebbero, al netto dei corsi di economia domestica e punto croce.

Un sorprendente immaginario anni Cinquanta con gonna a palloncino -consolatorio per il premier, agghiacciante per noi- che spiega in modo lampante i molti ritardi sul fronte delle politiche a favore delle donne (occupazione, smart work, servizi, diritti) e una certa resistenza a comprendere che il Paese non va avanti se le donne restano indietro a fare torte di mele e cotonarsi i capelli prima di cena.

Decisamente da rottamare.

Con una visione del genere, molto più vecchietta delle sessantenni, non andiamo da nessuna parte.

p.s: nel mio caso, al nipotino ci ha pensato il nonno.

 

Donne e Uomini, esperienze, Politica Dicembre 5, 2011

La ministra più bella del mondo

Ci sono gesti molto più politici di un decreto, c’è un simbolico che sposta di più che mesi e mesi di dibattito parlamentare. Di questi gesti, da parte della ministra del Lavoro Elsa Fornero, ieri ne abbiamo visti due.

La mattina, ricevendo la delegazione dei “giovani”, vedendo che erano tutti maschi ha espresso il suo sconcerto, dicendo che “così non si va da nessuna parte”, e indicando la strada: se vogliamo andare da qualche parte, le donne devono essere protagoniste della politica a tutti i livelli. E’ la prima volta che capita.

La sera, illustrando in conferenza stampa i provvedimenti sulle pensioni, è scoppiata in lacrime mentre stava pronunciando la parola “sacrificio”, senza riuscire a dirla. Lacrime di empatia e di compassione per tutti quelli che soffriranno, a causa di questo provvedimento, dopo un ventennio di sentimenti ad personam. Lacrime, forse, di rabbia, per lo scacco, per non essere riuscita a trovare e imporre un’altra soluzione. Un pianto che dice l’enorme peso della responsabilità, sentita fino in fondo, qualcosa a cui non eravamo più abituati, e forse perfino la colpa, interamente assunta, benché le colpe non siano sue ma interamente di altri. Che racconta più di mille parole la drammaticità di questo momento della nostra storia: questa manovra non ci mette affatto e definitivamente in sicurezza. Che dice l’impossibilità di separare il ruolo pubblico dai sentimenti privati, la finzione di questo dualismo. Che lascia una traccia, un indizio prezioso per un modo femminile di intendere la politica, e per tutte quelle che vi si avventureranno.

Ora analizzeremo la manovra nei dettagli. La prima cosa che mi sono sentita di dire è questa. Che Elsa Fornero è la ministra più bella del mondo. 

 

Donne e Uomini, economics, lavoro, Politica Settembre 14, 2011

Caro Presidente Napolitano: noi donne, welfare vivente…

Carissimo Presidente Napolitano,

non so bene come si scriva a un Presidente della Repubblica. Ma se è consentito, carissimo davvero: con tutta la riconoscenza di chi si sente tutelata dalla sua saggezza, dalla sua sollecitudine e dal suo equilibrio.

Questi sono giorni di grande fatica per il nostro Paese, e alla riserva di fiducia abbiamo già abbondantemente attinto. Ad aggravare ulteriormente i pesi si prospetta la possibilità di una manovra aggiuntiva, sacrificio che attende ansiosamente di essere compensato da una maggiore chiarezza sulla direzione che abbiamo intrapreso: quale Paese? quale crescita? quale sviluppo?

Purtroppo questi pesi, carissimo Presidente, non appaiono equamente distribuiti fra le cittadine e i cittadini. Alle donne anche in questa circostanza è chiesto molto di più. Di salvaguardare il buon andamento della vita familiare e del bilancio domestico, pure disponendo di minori risorse. Di garantire qualche forma di risparmio a tutela della sicurezza della famiglia, benché da accantonare resti ben poco. Di continuare a farsi carico, vero welfare vivente, di tutto il necessario lavoro di cura, e in particolare dei bambini, degli anziani e dei non autosufficienti: lavoro preziosissimo, dato per scontato e scarsissimamente condiviso. E anzi, di farsene carico sempre di più, visti i tagli a servizi già insufficienti, pur cercando di non perdere il posto di lavoro, se si ha la fortuna di averne uno, magari precario e a tempo determinato: il rischio di entrare a fare parte dell’ampia schiera delle inoccupate per non uscirne più è molto concreto, in assenza di misure di sostegno all’occupazione femminile. Questo anche se autorevoli economisti ci hanno più volte spiegato, dati alla mano, che a un aumento dell’occupazione femminile corrisponderebbe un significativo aumento del Pil, con l’effetto virtuoso di produrre ulteriore occupazione.

E invece del lavoro delle donne non si parla più, se non in riferimento al momento dell’uscita, con l’età pensionabile in via di progressivo innalzamento: la sola parità che sia stata effettivamente riconosciuta, e in qualche modo inflitta. Perché quanto all’ammontare delle pensioni femminili, mediamente più basse di oltre il 30 per cento rispetto a quelle maschili, restiamo dispari. Disparità che va ad aggiungersi a quella del doppio o triplo ruolo, dato per scontato e indiscutibile. Qualcuno ha calcolato che ritardando il pensionamento, tra maggiori contributi versati e minori quote di pensione erogate, ogni donna “regalerà” allo stato tra i 40 e i 50 mila euro: un tesoretto che il Governo si era impegnato a destinare ai servizi per la famiglia, promessa puntualmente disattesa di fronte alla necessità impellente di fare cassa. Che alle donne tocchi lavorare fino a 65 anni significa anche che le giovani non potranno più contare sulle loro madri, ancora impegnate nel lavoro, per un aiuto con i bambini, ammesso e non concesso che sia giusto chiedere loro di compensare la carenza di servizi facendosi carico dei nipoti oltre che degli anziani genitori, necessità che con l’allungamento della vita media si pone sempre più frequentemente.

Insomma, Signor Presidente, le donne in questo Paese sono intese, volenti o nolenti, come una risorsa illimitata a cui attingere secondo necessità e ad libitum. La crisi lì non è contemplata. Proviamo a immaginare che cosa accadrebbe se tutte le italiane incrociassero le braccia anche per una sola giornata: e forse dovrebbero farlo, per rendere visibile nel momento in cui manca la preziosità di un lavoro che nessuno vede, nessuno monetizza, nessuno calcola nella sua centralità e nel suo immenso valore .

Se è vero che tra i passi necessari l’Europa ci chiedeva la parificazione dell’età pensionabile, è altrettanto e dolorosamente vero che in nessun altro Paese europeo la fatica femminile è tanto grande, i servizi così carenti, le pretese maschili così irriducibili: circostanze che probabilmente vanno in gran parte ricondotte a un’inadeguata rappresentanza politica femminile -anche qui siamo maglia nera-. Se le decisioni pubbliche non fossero prese quasi esclusivamente da uomini probabilmente non ci troveremmo in questa situazione, o quanto meno le soluzioni adottate non sarebbero queste.

Le chiedo perciò, carissimo Presidente, come si possa emendare questa profonda ingiustizia, confidando nella sua sensibilità e nella sua attenzione.

Voglia gradire i più cari saluti

 

Donne e Uomini, lavoro, Politica Settembre 7, 2011

ScioperA generale

 

 

 

 

 

Dunque il governo Berlusconi ha deciso che noi italiane lavoreremo di più, andando in pensione più tardi, in compenso i servizi diminuiranno causa taglio welfare. Il triplo salto mortale diventa sestuplo. La manovra ci spezza l’osso del collo.

Le giovani mamme non potranno nemmeno più contare sulle nonne per i loro bambini, perché le nonne saranno ancora al lavoro, avendo già peraltro sulle loro spalle la casa, i loro vecchi genitori, la cura dei malati, e via dicendo. Le donne italiane sono l’unico welfare di cui disponiamo, il cui ammontare può essere aumentato a dismisura, senza nemmeno chiedere loro se sono d’accordo e se pensano di farcela. L’unica è starsene a casa, altro che aumento dell’occupazione femminile che fa crescere il Pil. E fare più bambini: disfattiste!

E ora divertiamoci rileggendo quello che mi ha detto il ministro Renato Brunetta esattamente due anni fa di questi tempi (hey, ministro, te lo ricordi quel giorno a Ravello?):

mia domanda: Che cosa ne farà di quello che si risparmia posticipando il pensionamento delle donne?

risposta di Brunetta: «Sono due miliardi e 300 milioni di euro nei prossimi dieci anni che andranno ai non autosufficienti e al welfare familiare. Io ho voluto questo, io l’ho fatto mettere in un decreto legge già approvato dal Parlamento. Questa è la differenza tra un riformista e un post- comunista radical chic».

Lui l’ha voluto, ma poi non l’ha fatto. Immagino che il ministro oggi ci direbbe che le cose si sono messe economicamente peggio di quanto allora si potesse prevedere. Immagino che io gli risponderei: ma davvero pensate che siano sempre le donne a dover pagare? che siano la materia prima, la risorsa inesauribile a cui attingere a piacimento, come alla mamma? Perché non provate a immaginare -altro che sciopero generale!- che cosa capiterebbe se le donne mollassero all’unisono per 24 ore i bambini, i vecchi, la casa, la spesa, la cucina e tutto il lavoro di cura che erogano gratuitamente dopo aver lavorato 8 ore + eventuali straordinari?

Ecco: perché non lo facciamo?

Donne e Uomini, Politica Gennaio 9, 2009

L’IMBROGLIO DELLA PARITA’

Come saprete, l’Europa ci “invita” a parificare tra i sessi l’età pensionabile: 65 anni per tutti, uomini e donne. Ci inviterebbe a essere pari anche sul lavoro (trattato di Lisbona), e non solo all’uscita: almeno il 60 per cento di occupazione femminile. E invece siamo al 46.7 per cento, terzultimo posto, con enormi differenze tra Nord (quasi 75 per cento) e Sud (nemmeno 35 per cento). Ma su questo non sembra esserci altrettanta fretta e attenzione da parte del governo, nonostante tutte le analisi concordino sul fatto che aumento dell’occupazione femminile e aumento del Pil siano praticamente sinonimi. C’è poi il fatto che le pensioni delle donne sono vistosamente inferiori a quelle degli uomini, corrispettivamente alla differenza di retribuzioni: e anche qui, nessun impegno per sanare la palese ingiustizia. E infine, ma sarebbe la questione da considerare per prima, noi italiane che oggi andiamo “comodamente” in pensione a 60 anni siamo le europee che erogano più ore-lavoro domestico e di cura, lavoro non monetizzato e non valutato ai fini pensionistici, visto che i nostri uomini non se ne fanno in alcun modo carico: ma anche qui, si fa finta di non vedere.

Ergo: nella mia vita io ho lavorato molto più di un uomo, guadagnando molto meno di un uomo, ed erogando moltissimo lavoro invisibile e gratuito, ma solo alla fine divento miracolosamente pari a un uomo, parità nominale e beffarda che mi viene inflitta come una condanna (anche se poi nei fatti resto impari, visto che la mia pensione sarà notevolmente più bassa). Se si deve riformare, riformiamo tutto.

Mi pare che ci sia molta materia di discussione. E allora discutiamone.