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omosessualità

bambini, diritti, Donne e Uomini Dicembre 8, 2015

9 domande e 9 risposte sull’utero in affitto

Girano un bel po’ di stupidaggini sulla questione utero in affitto, che pur con ritardo è clamorosamente esplosa anche nel nostro Paese (qui, come saprete, ce ne occupiamo da anni).

Sarebbe tutto molto semplice: come Eduardo fa dire a Filumena Marturano, “i figli non si pagano”. Ma in questi tempi di dirittismo esasperato, le cose tendono a complicarsi.

Proviamo quindi a tornare in tema, affrontando le questioni che ricorrono con maggiore frequenza.

1. Tutti abbiamo diritto alla “genitorialità”

E’ un diritto inesistente, privo di fondamento, figlio di una cultura dirittistica e adolescenziale che non distingue tra desideri e, appunto, diritti, e fonda un diritto per ogni desiderio. Sarebbe come affermare il diritto ad avere un marito o una moglie: il mio diritto, semmai, è che nessuno mi impedisca di legarmi liberamente a qualcuno/a, ma non posso certo pretendere che mi venga garantito un legame affettivo. Così per i figli: ho diritto a metterli al mondo, se intendo farlo –e conseguentemente ho il dovere di occuparmene responsabilmente, una volta che l’ho fatto-, ho diritto a che nessuno mi impedisca di diventare madre o padre minacciando per esempio di licenziarmi, come avviene correntemente alle giovani precarie (diritto per il quale si battono in pochi). Ho diritto a cure mediche ragionevoli, se la mia salute riproduttiva le richiede. Ma non posso chiedere che lo Stato mi garantisca di essere padre o madre a ogni costo e in qualunque condizione, fino a consentire un vero e proprio mercato dei figli. L’unica titolare di diritti è la creatura: diritti a cui le convenzioni internazionali riconoscono assoluta superiorità, e che nei discorsi sull’utero in affitto e più in generale sulla fecondazione assistita vengono invece tenuti spesso come terzi e ultimi.

2. Del mio corpo faccio quello che voglio

Per la nostra legge il corpo è indisponibile: non posso, cioè, farne sempre quello che mi pare, né tanto meno oggetto di mercato. L’unica eccezione è un uso solidale. Posso cioè donare sangue, midollo, o anche un rene a un consanguineo, ma non posso metterli in vendita o comprarli. Nessuno di noi ha perciò diritto di mettere in vendita parti del proprio corpo. E’ una limitazione alla propria libertà? Sì, lo è.

 3. E’ come per le donazioni d’organo

Sì e no. Anche nel caso dell’utero in affitto la legge ammette, ad alcune precise condizioni, la pratica solidale: i nostri tribunali hanno già ammesso casi di “utero solidale” dopo aver vagliato attentamente le situazioni, aver accertato l’esistenza di una relazione affettiva tra la donatrice e i riceventi, e aver escluso ogni passaggio di denaro. Ma l’analogia si ferma qui: perché se la donazione d’organo è un fatto tra due, il donatore e il ricevente, nel caso dell’utero c’è un terzo, il nascituro, le cui ragioni vanno tenute per prime.

 4. Non si può impedire a una donna di offrire il proprio utero

Se una donna si offre di condurre una gestazione per altri in cambio di denaro –quindi per ragioni di bisogno economico suo o, peggio, di terzi sfruttatori che decidono per lei- è necessario opporsi con ogni mezzo a questa pratica. Se l’offerta è solidale, è necessario verificare a fondo l’effettiva necessità a cui la sua offerta corrisponde, e la gratuità e autenticità di questa solidarietà, che comporta l’esistenza di una relazione e il suo mantenimento nel tempo con i “committenti” e con il nascituro. Questo limita la libertà della donna? Sì, la limita. Il limite consiste precisamente nel fatto che la sua decisione darà vita a un terzo, che va tenuto per primo, e va in ogni modo tutelato. Inoltre la “portatrice” deve essere libera di revocare in ogni momento il suo consenso, anche dopo la nascita del bambino, per tenere la creatura presso di sé.

5. Se c’è libertà di prostituirsi, ci dev’essere libertà di offrire l’utero

I piani sono molto diversi, e per la ragione che dicevamo sopra: perché qui non si tratta di un agreement tra due (è vero, troppo spesso anche nella prostituzione non c’è affatto libertà, ma qui non approfondiamo il tema) ma di un accordo finalizzato alla messa al mondo di un terzo, il bambino, che al momento dell’accordo non ha voce in capitolo, e che non può essere pensato come prodotto, ma è a tutti gli effetti il protagonista muto della vicenda.

6. Molte donne si offrono gratis

Si tratta di un numero infinitesimo e non significativo di casi. Anche in quei Paesi, come il Canada, in cui alle donne viene riconosciuta un’indennità comprensiva del rimborso delle spese mediche sostenute, si tratta in realtà di una transazione economica -in Canada si adotta la medesima prassi per rimborsare chi si offre per la sperimentazione di un farmaco-. Si tratta in realtà di un compenso a tutti gli effetti, destinato a donne che nella quasi totalità dei casi si offrono per necessità economiche.

 7. La portatrice non ha legami biologici con il bambino

La “semplice” portatrice non ha legami genetici con il bambino, ma ha importanti legami epigenetici, che influenzano il fenotipo (ovvero la morfologia, lo sviluppo, le proprietà biochimiche e fisiologiche comprensive del comportamento etc.) senza modificare il genotipo.  In parole semplici, durante la gestazione tra lei e il feto avvengono scambi biochimici decisivi per lo sviluppo del bambino, scambi che continuano nella fase perinatale e che fanno di quel bambino quello che sarà. La madre portatrice non è un semplice incubatore, come nella visione aristotelica fondativa del patriarcato, che postula la naturale inferiorità del genere femminile: nella riproduzione, secondo Aristotele, il maschio è attivo, è il vero genitore che dà forma alla materia inerte femminile, la donna è invece “passiva” in quanto  “è quella che genera in se stessa e dalla quale si forma il generato che stava nel genitore” (il maschio). Chi pensa alle portatrici come semplici contenitori che alla fine della gestazione consegnano docilmente il prodotto ai committenti, si allinea alla violenza di questo pensiero patriarcale.

8. Chi si oppone all’utero in affitto è omofobo

Non è affatto così, visto che la pratica riguarda nella stragrande maggioranza dei casi coppie o singoli eterosessuali. Inoltre il più del femminismo mobilitato contro l’utero in affitto sostiene attivamente i diritti delle coppie omosessuali, ed è a favore dell’adozione anche per loro (me compresa). E’ pur vero che se solo una minoranza di chi ricorre all’utero in affitto è omosessuale, la quasi totalità dei maschi omosessuali che progettano un figlio geneticamente proprio deve ricorrere a una donna, che “concede” il proprio utero in solidarietà o molto più frequentemente a pagamento, cedendo la creatura e interrompendo ogni relazione con lei. Si commette inoltre un grave errore quando sul fronte della genitorialità, secondo una logica paritaria fuoriviante, si fa un tutt’uno tra gay e lesbiche, invocando “uguali diritti”. Una lesbica è una donna sulla cui scelta di diventare madre non può esserci parola pubblica: è lei che  decide, che sia sola o abbia una compagna, esattamente come una donna eterosessuale –con l’unica differenza di non concepire, di norma, via rapporto sessuale-. Nel caso di un maschio, invece, che sia gay o un eterosessuale deciso a concepire fuori da una relazione con una donna, la parola pubblica è decisiva, perché il suo desiderio necessita di almeno tre livelli di mediazione: dev’esserci un mercato dove acquistare ovociti e “affittare” uteri (o molto più di rado averli in dono); dev’esserci una medicina che ti assista, dal momento del prelievo (doloroso) degli ovociti, all’impianto dell’embrione, alla gestazione; dev’esserci un quadro normativo che ti permetta di condurre in porto l’operazione. Non vi è, quindi, alcuna “uguaglianza di diritti” su questo fronte fra gay e lesbiche, perché la differenza sessuale esiste a prescindere dall’orientamento sessuale. Questo è triste e doloroso per i gay che vogliono un figlio geneticamente proprio? Immagino di sì, ma non ci si può fare molto. Esiste pur sempre l’opzione di fare quel figlio con una donna che lo desideri, e che sarebbe sua madre (senza costringerla a scomparire).

9. La stepchild adoption non c’entra con l’utero in affitto

Purtroppo c’entra, e qui si apre un notevole dilemma. La stepchild adoption (ovvero l’adozione del figlio del proprio partner) è molto importante per tutti quei bambini che vivono nelle cosiddette famiglie arcobaleno, perché si tratterebbe del riconoscimento dell’affettività che lega questi bambini al partner del genitore biologico, garantendo la continuità di relazione. E’ vero anche, tuttavia, che poter adottare i figli del partner costituirebbe una remora in meno alla scelta di concepire un bambino con utero in affitto. Si tratta, quindi, di bilanciare l’interesse dei già nati, per i quali si aspira giustamente alla continuità affettiva, con quello di ulteriore nascituri, moltiplicando il numero di quelli che subirebbero la violenza di essere tolti alla madre. Trovare un equilibrio è difficile. Una strada –forse- potrebbe essere quella di un riconoscimento “tombale” per i bambini già nati, subordinando la concessione di stepchild adoption per i nascituri alla presenza di una madre.

Un’osservazione, per finire: quando si evidenziano i limiti “naturali” (ovvero fondati nella biologia dei corpi) che impediscono a molti desideri di tradursi automaticamente in diritti, molte e molti reagiscono con stizza, come bambini a cui sia negato di avere tutto ciò che vogliono e che di “no” (o magari di doveri che bilancino i diritti) non vogliono sentir parlare. Ma spesso si tratta di desideri indotti da un mercato che non si dà limiti di profitto, il cui obiettivo non è certo farci crescere in umanità, e che di consumatori-bambini ha sempre più bisogno.

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Aggiornamento 18 dicembre: seguendo il dibattito, a tratti furente ma certamente interessante, evidenzierei due temi che ne sono usciti e che mi sembrano decisivi: 

1) affermare un diritto significa ipotizzare un corrispettivo dovere: se, quindi, si pone un diritto alla genitorialità, chi è titolare del dovere corrispondente? se ho diritto ad avere un figlio, chi ha il dovere di darmelo? una donna, al momento non c’è alternativa. quindi toccherebbe alle donne farsi carico di questo dovere. e perché mai?

2) si glissa sul tema della gratuità della Gpa. probabilmente sarebbe più facile trovare una composizione se si ammettesse che l’utero non può essere affittato, ma deve essere effettivamente donato. e il dono, per definizione, non ammette alcuno scambio di denaro. perché non si conviene sulla gratuità? perché si sa benissimo che nessuna donna (salvo rarissime eccezioni solidali) si presterebbe a una Gpa, se non in cambio di denaro. quindi è meglio glissare.

 

 

 

 

 

 

 

diritti, esperienze, Politica, scuola Novembre 16, 2014

Omosessualità: la Chiesa cominci da se stessa

Dopo il caso della lettera della Diocesi di Milano che, nei fatti, sembrava invitare i prof di religione a collaborare alla “schedatura” delle scuole troppo liberal in tema di omosessualità, l’arcivescovo Angelo Scola corregge il tiro, ribadendo le scuse della Curia«per l’inappropriatezza del linguaggio» e sottolineando che l’intento era solo quello di conoscere la situazione: «Una posizione non omofoba, ma da cui non intendiamo recedere di un millimetro, come giusto in una società democratica. Noi abbiamo qualcosa da dire circa le conseguenze sociali e la questione dei diritti connessi a questo orientamento sessuale“. Scola ha ammesso che «La Chiesa è stata lenta sulla questione omosessuale“, e che si tratta oggi di aiutare “i 6 mila professori di religione della Diocesi a proporre la nostra visione di problemi come quello dell’educazione sessuale” nel rispetto del Concordato.

Non sono affatto tra coloro che chiedono alla Chiesa di ritirarsi da questo territorio, dalla politica e dal mondo. Su svariati temi, come la fecondazione assistita, sono più grata ai dubbi della Chiesa che alle certezze del laicismo liberistico (laicismo, non laicità).

Mi piacerebbe semmai che si osasse di più. Perché è vero che la Chiesa ha molto da dire in tema di omosessualità, ed è vero anche per il fatto che nella Chiesa ci sono molti omosessuali. Non si tratta, quindi, di guardare fuori da sé. Si tratta semmai di intraprendere una riflessione efficace proprio a partire da sé -come insegna il pensiero femminile della differenza-, assumendo la posizione autocosciente dell’osservatore che si osserva.

Non è provocazione, né gossip: dico solo che la percentuale di persone omosessuali all’interno della Chiesa è notevole, con ogni probabilità superiore a quella del “mondo fuori”. Sono molti i religiosi omosessuali, e chiunque frequenti la Chiesa ne ha esperienza. Ci si potrebbe forse spingere a dire che la Chiesa è la più omosessuale tra le nostre istituzioni, verosimilmente seguita dall’esercito. La Chiesa, quindi, non dovrebbe “saltarsi”, nel suo processo di conoscenza. Non può tenersi fuori dal campo di osservazione. Semmai, dovrebbe porre se stessa al centro di ogni indagine e interrogazione, conferendo in questo modo il massimo di verità al proprio intento conoscitivo ed educativo.

Diversamente sarà buon gioco dei suoi critici e dei suoi nemici stigmatizzare come ipocrite e negazionistiche le sue iniziative a riguardo.

 

 

 

Corpo-anima, Donne e Uomini, esperienze Ottobre 31, 2014

Il Ceo di Apple è gay: e dove sta la notizia?

Tim Cook, Ceo di Apple

Tim Cook, Ceo di Apple, decide il coming out globale e rivela di essere gay,uno dei più grandi doni che Dio mi ha fatto“. E finisce in prima pagina sui giornali di tutto il mondo.

Bene, mi sono detta: dove sta la notizia? Lui dice: “se sapere che il Ceo di Apple è gay può aiutare una persona in difficoltà ad accettarsi, o essere di conforto a chi si sente solo, o di incoraggiamento a chi rivendica la propria uguaglianza, vale la pena di rinunciare per questo alla mia privacy“.

Non sono omosessuale, forse ho meno titoli per parlare di queste cose. Ma l’operazione non mi convince affatto. Mi suona così: anche se sei gay puoi diventare perfino Ceo di Apple. Insomma, la notizia perpetua lo stupore che a quanto pare dovremmo provare se un uomo a cui piacciono gli uomini o una donna a cui piacciono le donne raggiungono gli apici della carriera, guadagnano un’ottima posizione professionale, fanno splendidi business o cose del genere, confermando l’eccezionalità di questi traguardi per un non-etero.

Ve lo vedete un maschio Ceo o ministro o altro scrivere una lettera pubblica in cui rivela: a me piacciono le donne?

Il fatto è che io conosco molte persone omosessuali in ottime posizioni. Per fare un esempio “settoriale”, ho sempre pensato che le lesbiche sono politiche particolarmente brave e audaci perché non si pongono il problema di compiacere gli uomini, e ne conosco parecchie. Sono sicura che la stragrande maggioranza dei miei concittadini e delle mie concittadine, di fronte ai luminosi successi di una persona omosessuale, non commenta: “Wow, guarda dov’è arrivato/a, nonostante sia gay“. E ormai da tempo non ho molto interesse riguardo all’orientamento sessuale di chi mi sta di fronte: se uno/a sia etero o omo non è certo fra le prime domande che mi faccio, quando lo/a incontro, ritenendola una domanda fortemente condizionata e condizionante. Non penso che il coming out sia sempre e comunque la miglior cosa da fare, per sé e per gli altri. Né penso che chi fa coming out sia necessariamente più coraggioso o più risolto di chi non lo fa.

Quindi nell’uscita di Tim Cook, senz’altro animato dalle migliori intenzioni (a meno che non si tratti di un’operazione di marketing, serie: Apple è gay friendly), paradossalmente vedo il rischio di un passo indietro sul fronte dei diritti delle persone LGBT.

Ma forse sbaglio, ditemi voi.

Corpo-anima, TEMPI MODERNI Luglio 24, 2010

SPUTTANA IL PRETE

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Ok, sputtana il prete è il gioco dell’estate. Ok, non puoi predicare bene e razzolare male. W queste inchiestone scoop sulla lussuria nella Chiesa, così siamo tutti più tranquilli. Il Vicariato di Roma ordina a tutti i preti gay di venire allo scoperto e di lasciare la tonaca. Occhio, perché se ubbidissero tutti vedremmo un esodo biblico, e non lo dico con l’intento di diffamare, ma come pura constatazione di realtà: io ne ho conosciuti davvero tanti, di sacerdoti omosessuali. Che lo erano, palesemente, vistosamente, anche se sono pressoché certa che non avessero una vita sessuale, intesa come pratica della propria sessualità: nessun essere vivente dotato di un sesso può “smettere” la sua vita sessuale. Può sublimarla, offrirla al Signore, può imbrigliarla e farci i suoi conti nei modi più svariati, ma l’autocastrazione non è pensabile.

Detto questo, sono furiosa: perché qui è colpita l’omosessualità, non la doppia vita. La doppia vita non consiste nell’essere omosessuale, “condizione” che non si sceglie. Uno può essere omosessuale e voler fare il prete, ed essere anche un grande prete, un grandissimo prete che sale ai vertici delle gerarchie ecclesiastiche. E’ già così. La doppia vita consiste nell’avere rapporti sessuali, omo o etero che siano, nel tradire la promessa di rinunciare a praticare la propria sessualità, perfino nella masturbazione.

Non ci si può impegnare a non essere omosessuali, così come non ci si può impegnare a essere o non essere eterosessuali. Si può promettere solo di non esercitare la propria sessualità, qualunque essa sia, in nome di un bene più grande.

Che la Chiesa impedisca agli omosessuali di prendere i voti è assurdo e ipocrita. Escano piuttosto allo scoperto i sacerdoti, i vescovi, i cardinali omosessuali, e rivendichino di poter stare nella Chiesa. E semmai invitino i giovani omosessuali che scelgono i voti solo per poter nascondere la loro condizione, come è sempre capitato, a non intraprendere più questa strada, che fa male a tutti, alla Chiesa e a loro stessi.

OSPITI Dicembre 2, 2008

LO SPAZIO IN MEZZO di Luisa Muraro

Su Chiesa e omosessualità, ricevo e pubblico un intervento della filosofa Luisa Muraro.

Oltre a danneggiare la Chiesa, pensi tu Marina che questa presa di posizione del Vaticano abbia l’effetto di ostacolare la campagna della depenalizzazione? Gli ostacoli sono già tanti e decisivi, temo, il che deve suggerire un’ipotesi: forse ci sono altri effetti che questa presa di posizione del Vaticano persegue, uno potrebbe essere di marcare una vicinanza con l’Islam, e di restare così nell’area della religiosità sentita e praticata, restarci in maniera concorrenziale, distante dal dilagare di permissività e di diritti a gogò che va in circolo con la crescente indifferenza religiosa.

luisa muraro, "il dio delle donne"

luisa muraro, "il dio delle donne"

La questione che io sollevo diventa allora un’altra, ed è che si sta confondendo i diritti con la depenalizzazione, esattamente come si è fatto con l’aborto (che è argomento ben diverso, intendiamoci). In
entrambi i casi, si crede che depenalizzare sia uguale a sancire un nuovo diritto relativo al comportamento depenalizzato. Tu dici, come altri: che i comportamenti omosessuali siano giudicati un peccato, io non lo credo ma ammetto che la Chiesa possa insegnarlo. Secondo me, la fai troppo facile, devi considerare che questo è troppo poco dal punto di vista di coloro che pensano che sia un peccato, per loro bisogna anche che la cultura lo faccia sentire come tale, altrimenti…

A me pare di vedere che c’è un margine per uno scambio, direi quasi una trattativa fra le due posizioni, ed è questo. C’è sotto un errore, si crede che, fra riconoscere un diritto e vederci al contrario un reato, non ci sia niente di mezzo, e a causa di questo niente di mezzo, qualcuno ha creduto giusto mantenere la condanna penale. Ma è sbagliato e bisogna adoperarsi a mostrarlo, come noi femministe a suo tempo abbiamo insistito che è sbagliato parlare di un diritto d’aborto, è sbagliato anche legalizzarlo (come poi si è fatto) e che la strada giusta è la semplice depenalizzazione, in quanto questa riduce l’ambito degli interventi del diritto penale ampliando l’ambito di altri possibili interventi. Ma quali sarebbero, nel caso dell’omosessualità?

Uno ne vedo, che forse sono molti: combattere il disprezzo per favorire la consapevolezza e la conoscenza, che sono sicuramente strade per uscire da comportamenti coatti e dal vittimismo sempre in cerca di risarcimenti e compensazioni.

Ciao, Luisa Muraro.

AMARE GLI ALTRI Dicembre 2, 2008

DISPOSTA A SCRISTIANIZZARMI

Mi sento con compassione dalla parte di quei molti preti di buona volontà, e in particolare di quei preti omosessuali, a cui oggi il voto di ubbidienza peserà come un macigno. Rispetto la Chiesa, sono cresciuta nel suo abbraccio, benché da tempo me ne sia parzialmente sciolta, e credo che la fede possa fare molto per alleviare l’infelicità e l’ingiustizia. Oggi la Chiesa avrebbe potuto serenamente sostenere, pur senza venire meno al principio in base al quale la stigmatizza come un doloroso peccato -principio che pure non sento come mio-, che l’omosessualità non è un reato. Perchè un conto è un peccato, che attiene alla libera coscienza, un altro conto è un reato, punito in un centinaio di stati di questa terra e in una ventina addirittura con la messa a morte. E invece la Chiesa si dice contraria alla proposta di depenalizzazione dell’omosessualità che la Francia ha annunciato di voler sottoporre alle Nazioni Unite.

Sono certa che la Chiesa, ovvero il corpo dei fedeli, si senta ferita a morte da questa violenta presa di posizione del suo Principe, che significa assumersi fin da oggi, inutile girarci intorno, il peso di centinaia di omosessuali crocifissi con la sua benedizione, o quanto meno con la sua complice distrazione. “Not in my name”, è questo che dovrebbero dire tanti cattolici in tutto il mondo.

Sono sicura che qualcosa è andato storto, perché Dio è perdono, e Gesù si farebbe mettere in croce al posto del più piccolo omosessuale di questo mondo, e c’è tutto il tempo per correggere la stortura. O in alternativa sono costretta a pensare a un perverso moto autopunitivo, alla torsione di una cattiva coscienza, poiché come tutti sanno -basta aver frequentato un oratorio, o essere stati in un collegio religioso- tra gli uomini di Chiesa la percentuale di omosessuali, praticanti o meno, è decisamente alta, e l’omofobia corrispettiva e denegante altrettanto cospicua.

C’è qualcosa di terribilmente e perversamente umano, dietro questa orribile decisione in nome di Dio. NOT IN MY NAME di sicuro. Anch’io sono cristiana, e sono disposta a scristianizzarmi se nell’indifferenza o peggio della mia Chiesa un solo ragazzino iraniano andrà a morte perché gay.