Se stamattina disperate, e vi lasciate prendere dallo sconforto, e pensate che niente cambierà mai, provate a ritrovare la fiducia con questo.
L’atmosfera al Memorial Jackson, qualche ora fa allo Staples Center, L.A., era sorprendentemente simile a quella di Chicago, primo discorso di Barack Obama da presidente degli Stati Uniti. Una preponderanza dello spirito. Arriva anche questa roba dall’America di oggi, e non solo lo tsunami della crisi. Non arriverebbe l’una, forse, senza l’altro.
Tra le lacrime per l’addio alla più grande icona pop di ogni tempo, la stessa pienezza di speranza che ha investito il mondo la sera del debutto del neopresidente. Ci volevano due ragazzi neri -meglio: anche neri– per fare questo. E allora grazie a tutti e due, e una preghiera per tutti e due.
Dev’essere dura per Diana Ross. Lei lo chiamava “my baby”. Lui le ha affidato i suoi babies. Godetevi questa esplosione di gioia e di amore. In memory of.
In un carcere filippino
Ieri la rete è andata quasi in tilt, in seguito alla morte di Michael Jackson. La notizia è stata più cliccata perfino delle notizie dall’Iran. Io non mi scandalizzo affatto -tendo peraltro in genere a scandalizzarmi poco-. Vi sono eventi simbolici che spostano molto di più di quelli “reali”, e quindi addensano più realtà. La morte di Jacko è uno di questi. Quello che lui ha fatto e rappresentato, anche suo malgrado, è stato importante per intere generazioni di questo pianeta. La sua morte significa molto, e provoca molto. Questo è il genere di tempo in cui viviamo, che ci piaccia o meno. Vale la pena di pensarci sopra.
E’ morto ancora “giovane” -anagraficamente e soprattutto nel suo corpo mutante– Michael Jackson. Il suo cuore per qualche ragione si è fermato. Non molti giorni fa aveva faticosamente annunciato in una conferenza stampa una serie di concerti a Londra per luglio. “The final curtain call” (l’ultima chiamata sul palco), aveva detto ai giornalisti. “Questo è il sipario, saranno i miei ultimi concerti… se lo dico vuol dire che davvero sarà così”. La fine è arrivata prima del previsto.
La parabola di Jacko, bambino ex-nero e infelice dalla voce prodigiosa, è stata decisamente tragica. Nella sua vita, e nella sua morte precoce, molti segni del tempo in cui ci è toccato vivere. L’impossibilità di avere la faccia che abbiamo, per dirne uno, e di diventare vecchi come lo sono diventati i vecchi che ci hanno preceduto. Jacko ci saluta dalla sua esistenza trans, tra le età, le razze, i sessi. E forse ci dice che in questo modo non è possibile vivere.