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Donne e Uomini, economics Settembre 12, 2010

MA CHE COLPA ABBIAMO NOI

Se c’è una cosa che fa impazzire le donne, tutte, è lo spreco. Poco propense all’azzardo, ammortizzatrici nate, carne viva del welfare familiare –che in casa ne entrino dieci, centro o mille, tocca a noi tenere comunque insieme il pranzo con la cena, e con le bollette, la rata del mutuo, le scarpe, i libri per la scuola-, quando leggiamo di certi buchi di migliaia di milioni nella sanità o in qualunque altro comparto pubblico ci parte il cervello.

Fa pertanto piacere sentire il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso dire, in perfetta sintonia con la signora Gina e la signora Luisa, che in Italia le cose non vanno così male, che il sistema bancario è solido, la situazione dei conti privati rassicurante, ma resta il problema dei conti pubblici e di una pessima governance economica.

Scusate la volgarità, ma a “pessima governance economica” aggiungerei l’attributo “maschile”, visto che di governanti economiche ce n’è pochine: noi governiamo e rigoverniamo il micro del pane quotidiano, tirando la coperta sforbiciata da quei simpatici giocherelloni dei nostri uomini e dalla loro avidità testosteronica. In altre parole darei una lettura sessuata della nostra bizzarra situazione, in crisi ma non del tutto.

Cio’ che resta fuori dalla crisi è più femminile che maschile. Un modello italiano che forse non è così male. Forse la tenuta del “femminile” contro gli appiattimenti paritari ed emancipazionistici, letta normalmente come una delle nostre miserie, è proprio quello che ci sta salvando. Quel moltissimo-poco che le donne governano (i conti di casa, tanto per dirne una, ma anche tante piccole imprese) funziona. Perché non fargli governare anche lo spazio pubblico, allora?

Ma se in quei posti di uomini, nei board, nelle varie stanze dei bottoni, ci arriviamo da emancipate, ovvero come uomini di riserva; se ci affanniamo per acchiappare in extremis l’ultimo vagone del treno della parità -vedo una singolare agitazione neo-paritaristica, di questi tempi…-; se in viaggio verso la polis perdiamo per strada proprio quello che ci sta salvando (il fatto di essere rimaste donne più che altrove)… be’, sarebbe un paradosso grandioso.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera l’11 settembre 2010

AMARE GLI ALTRI, esperienze Aprile 26, 2010

FAMILISMO MORALE?

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Sulla Rossiyskaya Gazeta una ragazza russa che studia in Italia racconta le sue disavventure con la nostra burocrazia (che vergogna), e conclude intelligentemente che “in Italia il contatto emotivo con le persone ha probabilmente un’importanza nodale nella risoluzione dei problemi, in particolare quelli burocratici. L’Italia è una nazione del Sud, e l’interazione asettica, affaristica, non è molto ben vista. Gli italiani non ci provano gusto, perché non li anima e non li commuove”. E poi lo dice poeticamente, alla russa: “Qui, diversamente dai paesi del Nord Europa, devi prima di tutto “finire nell’anima”. “toccare” in qualche modo. Gli italiani devono prima “assaggiarti” per poi decidere come trattarti: “giustiziarti” o “graziarti”“. E non si capisce se la cosa le piace o la spaventa. Se la giudica una dote o una disgrazia.

Così me lo domando anch’io: questa tendenza familistica, alla relazione personale anche quando si tratta di faccende impersonali, è una cosa a doppio taglio? C’è modo di dare un valore positivo a questa nostra specialità, che abbiamo sempre liquidato come “mafiosità” naturale?

TEMPI MODERNI Febbraio 9, 2010

RIFUGIATI ETICI

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Da qualche tempo andiamo riempiendoci la bocca con questa nuova fastidiosa retorica della meritocrazia. Con la crisi, si è detto, ci sarà finalmente spazio per i talenti veri. Ma crisi o non crisi, di cambiamenti in atto francamente non ne vedo. Mi pare che bravi e talentuosi debbano accontentarsi delle solite mezze posizioni, quando le cose vanno bene. Preferibilmente mettendosi al servizio di un incapace. Solo occasionalmente, per circostanze del tutto fortuite, ottengono la fiducia e l’investimento che meriterebbero. I mediocri si tengono per mano stretti in difensiva, le solite conventio ad excludendum contro chi è capace.

Una persona a me cara dice che questa cosa della meritocrazia è solo un mantra consolatorio. Il nostro resta il paese delle consorterie, delle famiglie, delle spintarelle, dei salotti, delle corsie preferenziali, delle fedeltà,  delle rendite di posizione. La nostra specialità è questa. Al merito e alla sua redditività non crede nessuno. Se si vuole altro per i ragazzi, bisogna spingerli a fuggire altrove, oltre confine, oltreoceano. Eventualmente con lo status di rifugiati etici.

TEMPI MODERNI Novembre 16, 2009

SOMARI

asino

Qualche settimana fa vado a Barcellona a fare una conferenza, ed ecco che me la ritrovo su Youtube. Niente di strano, beninteso. Ma in Italia ho preso parte a moltissimi incontri, e nemmeno una volta sono finiti su Youtube. Intendiamoci: non lo sto dicendo per me. Non ho affatto la smania di moltiplicare la mia presenza su Youtube. Dico solo che da noi certe buone pratiche -sfruttare tutte le possibilità offerte dal web- non sono affatto diffuse. In Spagna, a quanto pare, ormai è una cosa normale.

Si potrebbe fare moltissimo, ricorrendo alle nuove tecnologie. Basta Skype per animare un convegno, ad esempio: la compresenza fisica non è sempre necessaria. Si potrebbe diffondere quello che si vuole a uso di un pubblico potenzialmente illimitato. Mi colpisce molto, pur da tecno-analfabeta quale sono, che qui siamo così arretrati, e non riesco a darmi una spiegazione. Sarà anche una questione di banda larga, ma io credo che più che altro sia per un basso desiderio.  Com’è poi che siamo la sesta potenza -dio, che brutta espressione!- benché “sconnessi” io non lo so. Il motivo di speranza, però, è che quando la gran parte dei cittadini finalmente frequenteranno il web, il rimbalzo potrebbe essere straordinario. Teniamoci pronti.

P.S. L’asinello qui su, però, è meraviglioso.

Politica, TEMPI MODERNI Ottobre 2, 2009

FATE COME LORO

la spiaggia di barceloneta

la spiaggia di barceloneta

Missione di due giorni a Barcelona, e pensavo questo: un viaggio-studio per tutti gli amministratori locali italiani, due passi sulla spiaggia di Barceloneta e Port Vell, chiedere ai colleghi locali com’è che quella sabbia -spiaggia pubblica- è così irrealmente pulita, com’è che quello che era un letamaio sono riusciti a farlo diventare un salotto magnifico; una camminata per il Barri Gotico e la Ciudad Vella, il grande centro storico qusi totalmente pedonalizzato, e chiedere com’è che hanno chiuso alle auto senza stare a sentire le lagne dei commercianti, che anzi sono molto sorridenti e gentili; dare un’occhiata alle strade senza cartacce, cicche di sigarette, deiezioni canine; osservare come il moderno e il postmoderno si integrano armoniosamente con l’antico; osservare gli arredi urbani, dai vecchi lampioni disegnati da Gaudì alla passeggiata sul mare, listoni di legno, docce e palme; mangiare in un chiringuito quasi sulla battigia, pulito ed elegante; vedere le fiumane di giovani da tutta Europa e dal mondo, e chiedere come si fa ad attirare lì la loro energia; due passi al Montjuic e al Parc de la Ciutadella, il verde curatissimo e accogliente. Eccetera. E stiamo parlando di una metropoli, non di una cittadina di provincia. Portarli lì e poi dirgli: vedete di fare uguale. E mandarli velocemente a casa, se non ci riescono. Ecco, ho pensato questo. Perchè loro ci sono riusciti e Milano, tanto per dirne una, capitale della moda e del design è un immondezzaio imbarazzante-Napoli non la nomino neppure-?

Intanto mi informerò con un Barcelonologo, per capire com’è andata.

TEMPI MODERNI Settembre 20, 2009

CHE ROSICHINO

“Non vediamo l’ora di trovare una scusa per riproporre i soliti pregiudizi e luoghi comuni sull’Italia e gli italiani” ha ammesso una volta sul Corriere Bill Emmott, già direttore del settimanale britannico Economist. “Ci godiamo non poco la tragica saga di Napoli e della sua spazzatura… Gongoliamo addirittura se si tratta di menzionare la mafia e il Vaticano (per motivi diversi, mi precipito a specificare). Siamo affascinati dalla possibilità che sotto il luccichio della vita politica italiana si nasconda qualche tremendo intrigo”.
Di “scuse”, come dice Emmott, negli ultimi mesi ne abbiamo offerte in abbondanza. Pagine e pagine sul nostro paese e su chi lo governa: “il buffone d’Europa” (copertina di quei simpaticoni di L’Express). Non diversamente dal solito, in realtà –salvo che quando si parla di pizza, dolcevita e marechiaro-, titoli improntati al sarcasmo, al dileggio, allo sprezzo, alla liquidazione di un intero popolo, il nostro, come civilmente immaturo, inaffidabile, irresponsabile, incomprensibile, incapace di meritarsi tutta la grazia e la bellezza che gli è toccata in sorte, e che a dire il vero lascia stupefatti anche noi.
Il punto è qui, a me pare: perché anche chi, fra noi italiani under attack, sia dell’opinione che tutto questo dileggio ce lo meritiamo, non può non constatare un accanimento un po’ sospetto. E lo sprezzo, secondo una ben nota legge psicologica, non è che l’altra faccia del desiderio. Lo dice anche il proverbio. Forse basta la parola “Italia” a fare audience.
Così, mentre leggo sulla stampa estera quello che siamo –ce n’è nello specifico anche per noi donne, che non lottiamo per i nostri diritti, che ci massacriamo di lavori domestici, che subiamo di tutto dai nostri maschi-bambini- non posso non notare quel tedesco che ogni sera fa il suo barbecue nel carrugio del “mio” paesello ligure, quella che ci piazza nel mezzo il suo stendino pieno di mutande, quell’altra che strilla come un’aquila invadendo con arroganza lo spazio altrui, quello che ascolta le Valchirie alle tre di notte. Coloni prepotenti e incuranti di noi selvaggi, che qui si liberano del loro violento e supponente super-Io. Non posso non pensare che tutto questo non sia altro che invidia per tutte le meraviglie che noi abbiamo, e loro no, dannazione. Bene: che rosichino.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 19 settembre 2009)

AMARE GLI ALTRI, Politica Giugno 6, 2009

L'ITALIA CHE VORREI

opera di giuliano tomaino

opera di giuliano tomaino

Oggi e domani si vota. Necessario silenzio pre-elettorale. Un’idea su come andranno le cose ce l’ho, ma la tengo per me. Saranno elezioni significative per il nostro paese, questo si può dire. E ci daranno un contributo per capire, lette in filigrana, da che parte stiamo andando.
Mi pare che sia uno di quei momenti climax, in cui si decide che strada imboccare e in quale mondo vivere. Uno di quei momenti in cui si tirano le somme e si gettano le fondamenta dei decenni successivi. C’è lotta, diciamo così, su tanti fronti, anche se è una lotta microfisica, interstiziale, più nel chiuso delle coscienze che all’aria delle piazze. E i fronti sono molti. Che cosa fare con i migranti, tra deregulation e utopie claustrofiliche. Che strada imboccare in materia di energia. E poi il destino della famiglia, sottoposta a doppio attacco: una fisiologica erosione, da un lato, in favore della solitudine, e dall’altro la costante disattenzione da parte dello stato. Il lavoro, soprattutto per i nostri figli: migranti a loro volta, più o meno qualificati, stavolta verso Est, e noi qui, vecchi bianchi tenuti a bada, in tutti i sensi, da una gioventù coloured che ha lasciato i suoi vecchi nel paese d’origine. E poi le donne, sempre più disilluse sugli uomini, e gli uomini, sempre più trascurati dalle donne, e in mezzo le bambine e i bambini, sempre più lontani dai padri, in un nuovo assetto post-edipico che solo la fantapsicologia può aiutarci a immaginare…
Io non vi dico chi voterò, né se lo farò. Ma posso dire, a grandi linee, in che genere di paese mi piacerebbe vivere. Un paese in cui l’individuo conti un po’ di meno, e le relazioni un po’ di più, e la nostra millenaria capacità dell’altro in tutte le sue declinazioni -le donne per gli uomini, gli uomini per le donne, i vecchi per i giovani e i giovani per i vecchi, i migranti, e così via- torni a essere una risorsa decisiva. Un paese organizzato intorno all’intelligenza della bellezza, che ci è data in origine e per dono, e che sappiamo, quando vogliamo, restituire al mondo: un nuovo fecondo kalos kai agathos, un bello che è anche buono e produttivo.
Penso che per andare avanti noi italiani dobbiamo voltarci indietro. Anche molto molto indietro.

(pubblicato su Io donna-Corriere della Sera il 6 giugno 2009)

Politica, TEMPI MODERNI Maggio 26, 2009

MEMO

Ricordarsi di bere tanta acqua, con questo caldo: più si è avanti con gli anni, meno si sente la sete. Rischio di disidratazione e di coliche renali.

Ricordarsi che non siamo un paese normale, non lo siamo mai stati e verosimilmente non lo saremo mai: se anche il premier dichiarasse che sì, in fondo una cottarella per Noemi se l’è presa, e un bacetto ci è pure scappato (Gesù…), che qualche bugia l’ha raccontata, la cosa probabilmente non sposterebbe un voto.

Ricordarsi che se la Chiesa dovesse prendere partito, se i vescovi mettessero davvero i piedi in questo gustoso piatto, se pretendessero davvero fino in fondo dal premier fimminaro quella “sobrietà” che si aspettano da ogni buon cristiano, se sanzionassero la sua condotta, allora sì, forse qualche voto si sposterebbe.

Ricordarsi che quando il consenso è così incredibilmente unanime e imperturbabile, il redde rationem può arrivare magari non subito, ma all’improvviso, per una qualunque causa occasionale, ben più insignificante della piccola Noemi; che la sorte può repentinamente mutare, e quindi non c’è da stare troppo tranquilli.

TEMPI MODERNI Gennaio 31, 2009

IL COMPLESSO DELLO STIVALE

Mi sento dire spesso, quando si discute -l’ultima volta a Tatami-: “Questa cosa in Italia non capita, e invece in America -o in Germania, in Francia, in Inghilterra_ sì”. Con ciò intendendo: dovremmo farlo capitare anche qui.

Non per orgoglio patrio -l’orgoglio è un sentimento con cui ho scarsa dimestichezza-: ma non è affatto detto che noi dobbiamo importare tutto, e a scatola chiusa. Non avendo certe cose, in realtà ne abbiamo altre, e non di rado migliori. Un esempio per tutti: la nostra legge sulla fecondazione assistita è fortemente limitante, alimenta il turismo procreativo, non consente la diagnosi prenatale preimpianto, il che paradossalmente può voler dire dover ricorrere a successivo aborto terapeutico, eccetera. Tutti i problemi che ben sappiamo. Ma che qui non sia possibile affittare un utero, come in molti stati americani e in Inghilterra, non mi pare affatto uno svantaggio. Anzi.

Vittime di uno strano complesso di inferiorità -spesso giustificato, ma non sempre- tendiamo a vedere l’omologazione a usi, costumi e leggi di altri paesi occidentali come un progresso. Ma non necessariamente lo è. E comunque, non sempre il cosiddetto progresso ci fa progredire.