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Da qualche tempo andiamo riempiendoci la bocca con questa nuova fastidiosa retorica della meritocrazia. Con la crisi, si è detto, ci sarà finalmente spazio per i talenti veri. Ma crisi o non crisi, di cambiamenti in atto francamente non ne vedo. Mi pare che bravi e talentuosi debbano accontentarsi delle solite mezze posizioni, quando le cose vanno bene. Preferibilmente mettendosi al servizio di un incapace. Solo occasionalmente, per circostanze del tutto fortuite, ottengono la fiducia e l’investimento che meriterebbero. I mediocri si tengono per mano stretti in difensiva, le solite conventio ad excludendum contro chi è capace.

Una persona a me cara dice che questa cosa della meritocrazia è solo un mantra consolatorio. Il nostro resta il paese delle consorterie, delle famiglie, delle spintarelle, dei salotti, delle corsie preferenziali, delle fedeltà,  delle rendite di posizione. La nostra specialità è questa. Al merito e alla sua redditività non crede nessuno. Se si vuole altro per i ragazzi, bisogna spingerli a fuggire altrove, oltre confine, oltreoceano. Eventualmente con lo status di rifugiati etici.

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