Cagna, sciacalla, trovati un fidanzato, prendi le goccine, mettiti gli ovuli vaginali, stronza, merda, omofoba, sei Adinolfi, sei Salvini, tutto per fare pubblicità al tuo libro (?). Ma tu “hai figliato gratis?” Una giornata di hate speech
Caro Beppe Grillo,
nel caso avessi il tempo e la pazienza di fare un giretto per questo blog, vedresti che ho sempre trattato i 5 Stelle con il rispetto, la considerazione e l’attenzione che si deve a uno schieramento politico sostenuto più o meno da un terzo dei miei concittadini. E non raramente mi sono trovata in sintonia con i suoi contenuti, esprimendo tuttavia l’auspicio che dal linguaggio urlato, feroce e di battaglia della fase aurorale, il M5S sapesse passare alla forza autentica di una lingua più mite e “gandhiana”: quando si sa di avere ragione, non c’è alcun motivo di strillare e insultare.
Mi era parso che certe apparizioni televisive, tipo quella di Alessandro Di Battista a “Le Invasioni Barbariche”, intendessero muoversi in questa direzione, quanto meno per temperare al volo l’orribile uscita dell’onorevole De Rosa contro le deputate piddine, totalmente impolitica e beluina. Ma se poche ore dopo, caro Beppe, tu posti questo bel filmatino, con la premessa “Cosa succederebbe se ti ritrovassi la Boldrini in macchina“, sono costretta a ricredermi.
Sei un comunicatore troppo abile per non sapere che quella domanda chiama risposte oscene e sessiste, che puntualmente sono arrivate: “La metto a 90 gradi e poi gli metto nel c…”. “La scaricherei subito sulla statale, magari fa un po’ di cassa extra”. “Mi farei fare una p…”. “La riempirei di botte”. “La tromberei”. “Impossibile, non vado a mignotte”. “La porti in un campo rom e la fai trombare con il capo del villaggio”. “Inchioderei facendole sbattere la testa sul cruscotto, dopo mi fermerei in autostrada e con un guinzaglio la lascerei attaccata al guardrail”. E così via.
Nessuno meglio di te ha il polso e la misura delle quantità impressionante di odio che circola sul web (la mattina, quando mi connetto, mi si contrae in automatico lo stomaco, perché do per certo che sarò investita dallo tsunami di hate-speeching, in crescita esponenziale).
Pubblicando quel filmato -e non solo- mi ha dato la precisa sensazione che tu intenda servirti di quell’odio, che tu faccia di tutto per eccitarlo e scatenarlo, con particolare riguardo a una misoginia e a un sessismo intollerabili: e continuo a meravigliarmi del fatto che le donne del M5S (ma anche le tue amiche, tua sorella se ne hai una, tua moglie) non ti pongano apertamente il problema.
Insomma, sembra che ti piaccia giocare facile: l’odio per le donne è una miniera inesauribile.
Laura Boldrini è criticabilissima, l’operazione “ghigliottina” non mi è piaciuta, non mi è piaciuto l’abbinamento delle questioni Imu e Bankitalia, né mi piacciono i decreti, soprattutto quelli “omnibus”, dove si imbarca di tutto un po’ (vedi il femminicidio per parlare di furti di rame e di militarizzazione della Val di Susa). Ma colpirla nel suo essere donna, “caricarla” in macchina, con tutto il simbolico annesso, è una cosa francamente disgustosa.
La rabbia è uno straordinario carburante, ti dà l’energia indispensabile per partire, e l’exploit del M5S è stato davvero straordinario: le ragioni non mancavano. Ma un’avventura politica che continua a nutrirsi di odio, di rabbia e di cattivi sentimenti, che insiste nel parlare alla pancia, che accompagna il suo legittimo percorso con manifestazioni di barbarie –la misoginia violenta è sempre un’indizio di arretratezza civile– non può che avere due esiti: la perdita di consensi e il fallimento dell’impresa; o, in alternativa, la deriva fascistica e antidemocratica.
Se proprio deve andare così, preferisco la prima soluzione.
Qui di odiatori ce ne intendiamo eh, amiche e amici? Sono anni che ne vediamo e ne sentiamo di tutti i colori. Vero: l’agguato a gente malata (Caterina, e ora Bersani) fa particolarmente impressione, ma da queste parti non ci ha colto impreparati.
La chiamerei “guerra dei mondi”: tra il mondo degli ultracorpi di chi, a qualunque titolo, vive una super-esistenza -i politici, chi va in tv, chi scrive sui giornali o in rete o magari dei libri, chi conosce la gente giusta, chi ha un incarico di prestigio, o una seconda casa, senza troppe differenze tra chi ha ereditato dai nonni un bilocale a Recco e un gozzetto da pescatori e chi attracca con il suo ferro da stiro nel moletto privato della sua villa- e la sub-esistenza di chi è rimasto mera materia, di casa non ne ha neanche una, o sta faticosamente pagando un mutuo da 15 anni, ed è visibile a malapena ai suoi ringhiosi vicini di casa.
Mi pare infatti che la questione discriminante sia proprio quella, la Visibilità come prova di Esistenza: c’è un mondo dei Visibili e un mondo degli Invisibili. Per i quali la rete, libero accesso e costo quasi-zero, costituisce una formidabile occasione per confrontarti con la Kasta peer-to-peer e per accedere a quei 5 secondi di celebrità. A patto di strillare, di spararla più grossa che puoi, altrimenti resti imprigionato nella tua invisibilità pure lì. Del resto la politica televisiva degli ultimi anni è stato un vero e proprio master di bullismo.
Resto dell’idea che la rete sia uno straordinario strumento politico e di trasformazione, non saranno i conati degli haters a farmi cambiare opinione. E riconosco anche in me stessa, in particolare stamattina trovandomi nuovamente costretta a leggere di Tasi, Tares, Tirsu e Iuc, la tentazione di svuotarmi della rabbia rovesciandola con un semplice @EnricoLetta e clic. Ma ormai so bene che se lo facessi : 1. non cambierei nulla della situazione, restando nell’indifferenziato impolitico, cioè non trasformando il carburante della rabbia in azioni efficaci 2. questo provocherebbe solo ulteriore frustrazione e nuova rabbia, in un loop auto-intossicante.
Quindi non indugerei in inutili giudizi morali sull’hate-speech: mi limiterei solo a osservare che non serve a nulla, non trasforma nulla, non intacca le ragioni della rabbia, semmai ne alimenta altra, ingolfandoci. E proverei ad attenermi alle indicazioni della mia maestra Etty Hillesum: “Ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo rende ancora più inospitale“.
Anch’io sto con te, cara Caterina, ragazza coraggiosa che lotti contro la tua complessa malattia, e dici che senza sperimentazione sugli animali te ne saresti andata da bambina. E trovo ributtanti e inumani gli attacchi e gli auguri di morte che hai ricevuto sulla tua pagina Facebook: chi si batte a favore del cruelty-free non può essere tanto crudele nei confronti dei propri simili. La non violenza non è un abito che si mette e si smette a piacimento.
Però sbagli a definire “nazi-animalisti” i tuoi detrattori: si tratta di semplici professionisti dell’ hate-speech, odiatori di cui il web è pieno, e che colgono qualunque occasione, specie quando si discute di temi sensibili, per provare a sentirsi meglio scaricando la propria rabbia su qualunque bersaglio mobile (tecnica fallace: una volta che l’hai fatto, sei ancora più rabbioso, in un circolo che si autoalimenta).
Lasciamo perdere l’animalismo, quindi. Qui siamo su tutt’altro piano. E il rischio è che in seguito a questa brutta storia, “animalista” diventi sinonimo di disumano. Tipo quei gerarchi che nei campi di sterminio affamavano bambini ma garantivano carni scelte ai propri cani.
La gran parte dei ricercatori sostiene di non poter rinunciare alla sperimentazione su animali. Va tuttavia registrata anche l’opinione non meno qualificata di chi ritiene che questi test siano sostanzialmente inutili: come la biologa Susanna Penco, ricercatrice presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova, malata di sclerosi multipla da vent’anni e convinta “che sia proprio la sperimentazione animale ad allontanare le soluzioni e quindi la guarigione per i malati”. Il futuro, afferma, è “la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane”.
La cosa importante, Caterina -e su questo siamo certamente d’accordo- che si colga ogni occasione per diminuire la sofferenza di ogni vivente. Che non si trascuri la ricerca costante di possibili alternative ai test su animali, che non si abbandonino i tentativi di trovare soluzioni diverse e altrettanto efficaci: secondo alcuni, come vedi, perfino più efficaci. La cosa importante è che non cada questa tensione a ridurre il danno per il maggior numero.
Esserci intesi come titolari, in quanto umani, di maggiori diritti (avere anzi inventato la nozione di “diritto”, e con ciò anche quella di esclusi dai diritti), ci carica di grandi responsabilità nei confronti delle creature piccole, umane, animali e vegetali che abbiamo collocato ai gradi più bassi della piramide gerarchica.
Forse siamo pronti per cominciare a ripensarci, noi stessi e il resto del mondo, “in rete” e non più in chiave di gerarchia e di dominio. La strada è questa, per quasi tutto.
Ti abbraccio Caterina, esci presto dall’ospedale, per un 2014 più sereno possibile.