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elezioni amministrative

leadershit, Politica Dicembre 2, 2015

Elezioni amministrative: basta con l’uomo solo al comando. Fateci vedere la squadra

Linus, direttore di Radio Dj, è un tipo molto capace nel suo lavoro oltre che parecchio simpatico. A qualcuno del Pd milanese è venuta l’idea balzana di chiedergli di candidarsi alle primarie per la scelta del candidato sindaco. Non si sa bene a chi: di fronte al suo garbato rifiuto (“non sono all’altezza… la politica mi fa abbastanza impressione“) e alle ironie della rete, oggi tutti nascondono la mano. Un agnello sacrificale della società civile sarebbe molto utile per non dare l’idea che queste primarie sono primarie solo del Pd -e non del centrosinistra- e che Beppe Sala, commissario e ad di Expo, nei fatti non ha veri competitor. Un po’ di cortina fumogena. Peccato, anche stavolta non è andata.

C’è un fatto: tolto il caso di Beppe Sala, candidato unico del partito unico per la città unica etc etc, tutti gli schieramenti fanno una gran fatica a indicare nomi di possibili candidati/e. La bizzarra operazione Linus si spiega anche così. A Milano vive un sacco di gente, e nel sacco c’è anche tanta gente capace e competente. Eppure nomi non ne saltano fuori.

La politica delle donne mi ha insegnato a interrogare gli ostacoli anziché cercare di dribblarli, e a scrutare anche nei vuoti e i silenzi: quando persistono, è perché lì c’è qualcosa di significativo e anche di buono da capire. In questo caso, nella fatica di trovare “il nome”, il buono è che degli uomini soli al comando -e anche delle donne, quelle poche volte che capita- probabilmente ci fidiamo sempre meno. Tu eleggi uno (o una) che poi mette insieme la squadra in base a criteri spesso imperscutabili -un po’ di Cencelli, le spinte e controspinte dei grandi elettori, le simpatie della moglie, metti una sera a cena quattro chiacchiere tra amici-, con qualche rischio per le effettive competenze e quindi per il funzionamento dell’amministrazione.

La squadra, invece, quella che prenderà decisioni non irrilevanti per le nostre vite, quella che deciderà come gestire tutti i soldi che scuciamo come contribuenti e così via, ecco, forse sarebbe il caso di conoscerla prima. O quanto meno, lasciando qualche inevitabile margine di manovra per le alleanze al ballottaggio, sarebbe utile conoscere lo “squadrone” rappresentativo di un progetto e di un’idea di città dal quale il sindaco/a, primus/a inter pares, pescherà il suo team (con tutti gli altri comunque ingaggiati nell’impresa).

Ecco perché mi ritrovo perfettamente nell’impostazione suggerita da Francesco Rutelli, ex-sindaco di Roma: basta con l’uomo solo al comando,l’abbiamo già visto per carità. È giusto che il sindaco sia la guida, il direttore d’orchestra. Quella che è fallita è la solitudine del comando. Ed è per questo che a mio avviso che prima di andare a scegliere i candidati, o assieme a questa scelta, a Roma e nelle altre città si dovrà andare verso l’identificazione di progetti, ma anche e soprattutto di squadre di governo, di personalità, di competenze, perché la solitudine ha dimostrato di avere fallito“.

Se posso dire, una logica più femminile che maschile.

pubblicità Ottobre 10, 2015

Pisapia-Freccia Rossa: l’orgoglio ferito di Milano

“Fonti romane” dicono che ieri, in una giornata piuttosto complessa per Roma, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia è andato a Palazzo Chigi per un colloquio con Matteo Renzi. C’è un simbolico che ha un notevole peso politico: se a Renzi interessa tanto la partita milanese sarebbe stato lui a dover prendere una  Freccia o un aereo pubblico o privato e a farsi un giro a Palazzo Marino (o anche no).

Un gesto ben poco civico e pisapiano che offende la città: è vero che Renzi si gioca la pelle nella partita amministrativa milanese congiuntamente a quella romana. Ma questo è un problema di Renzi, non di Milano e del suo sindaco.

Non mi sentirei più di escludere che Pisapia faccia marcia indietro e decida di ricandidarsi. E comunque, che si tratti di lui, di Sala o di chissà chi, che il giocattolo delle primarie, che come dicevamo qualche giorno fa si è rotto, venga ficcato in un baule in soffitta tra le cose inutili (agli attuali candidati un ovvio premio di consolazione). Ma in tutto questo ci sarebbe comunque un Renzi di troppo, il premier che nessuno ha mai eletto, la creatura delle primarie che rinnega le proprie origini. Passato lui, il portone viene richiuso a dieci mandate.

L’incartamento è tale che viene istintivo guardare altrove, nello spazio aperto di una città libera che trovi un proprio sindaco o una propria sindaca ben lontano da questi tavoli o tavolini dove siedono giocatori-incasinatori, che tra i “valori” a cui i candidati dovrebbero aderire infilano in modo very casual un incomprensibile riconoscimento del “successo di Expo” (in realtà, il punto programmatico cardine del programma).

Milanesi! Respirare! Aria! Aria, fantasia, e orgoglio!

Politica Luglio 17, 2015

Cantiere Milano: c’è da finire il lavoro. Insieme, oltre personalismi e divisioni

Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia oggi sul Corriere: «Milano in questi anni è rinata, per tutti è il place to be. Non lo dico io, lo dicono i giornali di tutto il mondo e i milanesi lo vivono sulla propria pelle. In città c’è un clima straordinario, che è il risultato del lavoro collettivo dell’amministrazione che ha lavorato per una città aperta, solidale, efficiente, innovativa, sempre più internazionale e che coniuga pubblico e privato. Non è un caso che nella nostra città oggi vi siano il maggior numero di consolati di tutte le città del mondo. E tutto questo è dovuto ad un lavoro unitario e a un progetto condiviso della coalizione di centrosinistra, non legato a una sola persona. Non ho paura che Milano si perda. Due giorni fa abbiamo presentato lo scooter sharing e siamo adesso l’unica città al mondo che abbia un’offerta completa: bici, moto, auto. Essere avanti è il modello Milano. E i fatti sono più forti delle polemiche momentanee. Certo, sento fortemente su di me la responsabilità non solo di dare il massimo nei prossimi mesi nell’azione di governo, ma anche di evitare che scelte personali indeboliscano quanto abbiamo fatto e rendano più difficile il cammino verso le elezioni».

Pisapia ha ragione: in città c’è un clima straordinario e come dicevo nell’ultimo post, caldo assurdo a parte,  passa anche la voglia di andare al mare. Non è pensabile che questo ciclo virtuoso si interrompa. Ciclo che, a mio parere, deriva dalla convergenza di vari fattori: 1. le energie e i desideri portati dai nuovi milanesi arrivati da lontano. Il titolo di un vecchio film, “Si ringrazia la regione Puglia per averci fornito i milanesi”, rende l’idea. Lì si trattava della prima ondata migratoria post-bellica, quella dal Sud, e dei mirabolanti anni Sessanta, il boom e tutto il resto. E’ la storia dello stesso Pisapia, suo padre era casertano. E’ la storia di un pezzo della mia famiglia, e quella di centinaia di migliaia di milanesi. Oggi si tratta di ragazzini di centinaia di etnie diverse che parlano un meraviglioso slang. Non c’è niente di più felicemente e orgogliosamente milanese di uno che arriva da lontano. E’ sempre stato così, nella storia di questa città. 2. la fine della lunga crisi identitaria seguita alla deindustrializzazione: oggi sappiamo meglio chi siamo e che cosa vogliamo, abbiamo ritrovato la strada, e tutto batte a un ritmo festoso e frenetico, per lasciare ogni crisi alle spalle 3. una giunta che ha saputo interpretare -con tutti i suoi limiti, le sue fatiche e i suoi errori- questi processi. Tra i limiti, io ho sempre indicato un ritardo nel cambiamento di sguardo sul tema delle cosiddette “periferie”, che in alcuni casi hanno sperimentato un vero e proprio abbandono. E’ stato l’errore più serio e più grave, e i prossimi 5 anni devono servire a rimediare. Non ci devono più essere “periferie” (lo dico da anni). Il programma deve essere: Milano diventerà più bella, “solidale, efficiente, innovativa” dappertutto.

Diversamente da Giuliano Pisapia, io invece ho paura che Milano si possa perdere. La partita è difficile e delicata. Le dimissioni improvvise della vicesindaca De Cesaris almeno un merito ce l’hanno: quello di aver dato la scossa e di aver indicato i pericoli che derivano dai personalismi e dalle divisioni. Tutti, ma proprio tutti, dobbiamo mettercela tutta, gettando ponti e costruendo un progetto unitario in cui possa confluire la ricchezza delle differenze. Da subito, e senza interferenze romane. Per fare capitare alla politica quello che sta capitando alla città, e remando tutti nella stessa direzione.

Sfida meravigliosa.

 

Politica Luglio 15, 2015

Milano è bella. La sua politica meno. E Del Debbio è un candidato temibile

A Milano la notizia politica del giorno sono due: le dimissioni della vicesindaca Ada Lucia De Cesaris e la possibile candidatura a sindaco per il centrodestra di Paolo Del Debbio, giornalista Mediaset già assessore della giunta Albertini. Candidato perfetto: precedente esperienza amministrativa e profilo televisivo e super-pop. Piace a tutte le componenti del centrodestra e chiede democraticamente le primarie, tanto sa che le vince.

Il fatto è che potrebbe vincere anche le elezioni: è piuttosto famoso, sa parlare alla pancia della gente, ha un’aria rassicurante, lontana dagli estremismi salviniani. Insomma, sembra fatto apposta. Ero sicura che la scelta del centrodestra sarebbe stata di questo tipo: ragionevole e televisionabile.

Ho incontrato per caso nel fine settimana il neoassessore all’ambiente della giunta Toti in Liguria, Giacomo Raul Giampedrone. Uomo giovane, fattivo, ambizioso, eccitato dal grande spirito unitario -anche solo tattico- che si respira in regione e che sta prendendo piede un po’ ovunque nel centrodestra, in preparazione delle nuove sfide elettorali.

Nel frattempo il centrosinistra è triturato, la prospettiva ventennale di Matteo Renzi -colpa solo sua- si è ridotta a un biennio, non ne imbrocca una neanche a piangere, manda i capataz al Nord a fare disastri -l’ex-sindaco di Lodi che dà ordini a Milano! Roba da Cinque Giornate-, e lo “spara a Renzi” potrebbe diventare la specialità delle prossime amministrative, stile Venezia. Le primarie si faranno, anzi no. Si faranno a dicembre o gennaio, anzi no, vanno fatte subito. I candidati saranno due, 18, 50. Il sindaco ha annunciato dimissioni un anno prima, e la giunta lavora con l’affanno da campagna. E la vicesindaca De Cesaris pensa bene di dimettersi: gesto non esattamente responsabile, se vogliamo, con un sindaco già dimissionario. Mezzo Pd le vota contro su un’area cani da 20 mila euro, lei si imbufalisce definitivamente e sbatte la porta. Un pezzo del Pd esulta, la dirigenza la supplica di restare, le reazioni in giunta sono tra l’indignato e il tiepido, dicono che lei voleva candidarsi sindaca ma non è stata sostenuta, e ora che cosa farà? Ci proverà lo stesso? oppure no? Quante liste civiche ci saranno? E quante liste civetta? Insomma, un vero rebelot, come si dice con un francesismo dialettale.

Amiche e amici romani, del Sud, di ogni dove, che mi dicono: Milano è bella. E’ la prima volta, in tanti anni, che me lo sento dire. Ieri sera sono stata a una festa dance nello spirito della storica discoteca Viridis. Un caldo atroce, tanti vecchi amici, una strepitosa vitalità. La città è in gran forma, nevrile, allegra, i motori al massimo, finalmente un ciclo positivo, clima anni Sessanta. Verrebbe voglia di passarci l’estate, come la si passa a Londra e NY, non c’è modo di annoiarsi, a parte il gran caldo spiace partire.

Basterebbe dire questo: Milano è bella, ora fateci finire il lavoro. Per farla diventare ancora più bella. Per dedicarci a quelle che cretinamente si continuano a chiamare periferie, valorizzando il bello che già c’è e portandocene di nuovo. Facendo di Milano una metropoli modello. Siamo sulla buona strada, è cominciato un nuovo ciclo virtuoso. Basterebbe questo, e una riduzione complessiva del tasso dei narcisismi, vera peste della politica.

Il tempo per cambiare musica è pochissimo.

 

16 luglio: ottimo commento dell’amico Ivan Berni, La Repubblica

DE CESARIS, L’IRRESPONSABILITA’ DELL’AMBIZIONE

Da Repubblica, Milano, 16 luglio 2015

Le dimissioni della vicesindaco e assessore all’urbanistica Ada Lucia De Cesaris sono un guaio molto serio. Lo sono per la forma, i tempi e la sostanza, tuttora misteriosa, a meno di considerare una ragione seria il voto del Pd su un’area per i cani a Santa Giulia, alla quale De Cesaris era contraria. Sono un guaio per il centrosinistra milanese, per Il credito del sindaco uscente Giuliano Pisapia e lo sono per una città che deve fare i conti con il dopo Expo, la grande partita delle aree Fs, la destinazione dell’ex trotto a San Siro, i docks della Stazione centrale, i progetti sulle aree ex Enel al Monumentale. Una città che fra dieci mesi dovrà votare per la nuova amministrazione di Palazzo Marino. Pisapia deve metterci una pezza rapidamente, aprendo un confronto aperto con la città sui grandi nodi irrisolti dell’urbanistica e dando un segnale di saldezza. Ma sia che il sindaco riesca a convincere De Cesaris a tornare sui suoi passi sia che nomini un nuovo responsabile dell’Urbanistica, un danno enorme è già stato fatto. L’uscita di scena della vicesindaco ha infatti incrinato pesantemente la credibilità dell’amministrazione su due punti chiave: l’affidabilità e la responsabilità. La destra se n’è accorta e infatti brinda. Sul primo punto vale poco o nulla dire, come è stato fatto, che sull’urbanistica “il lavoro è stato completato”. Non è così, con tutta evidenza, considerando non solo le urgenze come il dopo Expo, (che scatta dal 31 ottobre di quest’anno, non nella prossima legislatura) ma anche la quantità di progetti che attendono scelte definite e di problemi tuttora aperti. Quanto alla responsabilità c’è da rimanere attoniti di fronte alle motivazioni fornite da De Cesaris sulle dimissioni. Sarebbe venuto a “mancare il rapporto di fiducia” con una parte della maggioranza. Per l’area cani a Santa Giulia? Ma se si tratta di questo c’è da domandarsi di cosa sia fatta la fiducia di cui lamenta il crollo l’ex vicesindaco. Chi governa con responsabilità di primissimo piano una città come Milano non può (non dovrebbe, si intende) abbandonare l’incarico per una quisquilia simile. E se lo fa vuol dire, banalmente, che si tratta della persona sbagliata al posto sbagliato. Ma se c’è dell’altro occorrono spiegazioni pubbliche. Senza reticenze o titubanze di sorta. Dica l’avvocato De Cesaris a proposito di cosa, quando e in che circostanze sarebbe crollata la fiducia. Lo dica subito, bloccando la spirale dei sospetti e anche una grottesca corsa alla solidarietà che si sta sviluppando in questi giorni sui social network, per cui c’è chi la rimpiange aggiungendo che senz’altro ci sarà una buona ragione per andarsene, che tuttavia rimane oscura.
In realtà trapela in controluce un’altra spiegazione di questo vero e proprio colpo di teatro. De Cesaris, che ha lavorato moltissimo in questi anni prendendosi sulle spalle anche responsabilità istituzionali, avrebbe voluto, in qualche modo, una sorta di benedizione da parte di Pisapia come naturale erede per la prossima legislatura. Avrebbe voluto partecipare alle primarie con questa investitura. Ma la benedizione non è arrivata e, di settimana in settimana, la convivenza in giunta con l’assessore-candidato Majorino si è fatta sempre più tesa. Di qui l’escalation dell’insofferenza. Fino alle clamorose dimissioni di martedì. Dimissioni che equivalgono a un’uscita di scena dal proscenio politico milanese, dato che a questo punto riesce difficile immaginare De Cesaris candidata a qualsiasi incarico elettivo dopo una simile sceneggiata. Ma del resto l’avvocato De Cesaris eletta non lo è stata mai: in giunta entrò da assessore “tecnico” per scelta del sindaco. Forse, se avesse dovuto rendere conto ai propri elettori, sarebbe andata diversamente.

Ivan Berni

 

Politica Giugno 15, 2015

Venezia: la sconfitta di Casson e i 5 Stelle Non-Podemos

Qualche considerazione sull’amara sconfitta di Felice Casson, magistrato integerrimo, scopritore di Gladio, in lotta contro la corruzione e contro gli avvelenatori di Porto Marghera e candidato sindaco del centrosinistra a Venezia.

1. Casson ha perso perché ha perso il Pd (-12 punti percentuali), diventando il terzo partito a Venezia. La città va al centrodestra di Luigi Brugnaro, detto il Berluschino -da alcuni anche il Renzino- con il 53.2 per cento dei consensi contro il 46.7 di Casson.

2. dopo più di vent’anni di amministrazione di centrosinistra il Pd cola a picco per almeno due ragioni: una locale, lo scandalo Mose che ha travolto il sindaco di centrosinistra Giorgio Orsoni, costato ai veneziani l’umiliazione bruciante del commissariamento; una nazionale: l’ardita operazione renziana del Partito-Nazione non paga. Quando la destra, come qui e nel caso ligure, è coesa e unita, si riprende i suoi voti. Tra la copia e l’originale sceglie l’originale. Il Partito-Nazione quindi perde sia a destra sia a sinistra, fermandosi a Venezia a un miserabile 16 per cento (il Pd perde anche la roccaforte di Arezzo, Nuoro, Matera, Chieti, Lamezia Terme e Fermo).

3. Casson avrebbe potuto vincere al ballottaggio se il M5Stelle lo avesse sostenuto. Ma non è bastato che Casson sottoscrivesse i 5 punti proposti dai grillini, e che si impegnasse contro le grandi navi in Laguna. Il M5Stelle ha scelto nuovamente il no. L’effetto Podemos (la nuova sindaca di Madrid Manuela Carmena governa grazie all’alleanza tra Podemos e i socialisti) non c’è stato. Il M5Stelle non è Podemos, o meglio, il M5Stelle è Non-Podemos, inchiodato al negazionismo infantile di una fase destruens che non si chiude mai, all’inseguimento di un onnipotente maggioranza assoluta. Per chi continua a pensare ai 5 Stelle come a una formazione di sinistra -nonostante le sue dichiarate simpatie per l’ultradestra di Farage- è la definitiva disillusione.

4. Casson -forse- avrebbe potuto vincere se l’astensionismo non avesse raggiunto il 50 per cento: metà delle veneziane e dei veneziani non è andata a votare. A livello nazionale è andata anche peggio, i votanti sono ormai la minoranza dei cittadini, sotto il 50 per cento, nonostante la battaglia per il sindaco sia politicamente tra le più coinvolgenti. Quindi più di un elettore su due non va a votare. E non è difficile capire perché, con particolare riguardo al Pd: se la gente ti vota su un programma e tu ne realizzi un altro, se diventa chiaro che la voce e la volontà e il voto dei cittadini non contano un accidente di niente, se è proprio il partito dei lavoratori a tirarti la sberla dell’abolizione dell’art. 18, be’, anziché alle urne meglio andare a farsi un onesto spritz (o, a Matera, un piatto di lagane e ceci). 

italia, Politica Giugno 9, 2014

Matteo il già-ex-Magnifico

Scanalare stamattina radio e tv  -analisi dei ballottaggi– e sentire dappertutto il mantra che forse l’effetto Renzi è finito mi ha precipitato in un misto di sconforto e incazzatura. Non perché io tifi pro o contro il suddetto effetto, ma perché mi pare incredibile che in 15 giorni, dicasi 15, si possa passare dalle ole, dagli squilli di tromba e dai carri del trionfo -e chi lo ferma più, è il lìder maximo, scaravolterà l’Italia come un calzino, anzi, pardon, l’Europa, è il nostro toreador- ai quasi-coccodrilli politici -visto? era solo paura di Grillo, era un risultato drogato, tutto è tornato com’era prima, etc. etc.-.

Dico proprio gli stessi sbandieratori di due settimane fa che ora si esercitano in mesti necrologi.

Le nostre vite sono una cosa seria, il destino del nostro Paese è una cosa seria, sarebbe bello che anche le analisi politiche fossero una cosa seria, e non una semplice appendice dello showbitz. Senza la notizia da strillare di volta in volta e da far scandagliare al carrozzone degli ospiti -anche loro, quasi sempre gli stessi- i talk diventano una palla pazzesca. E allora vai con l’ottovolante, dalle stelle alle stalle a breve giro per fare un po’ di share.

Ma natura non facit saltus, la realtà nemmeno: se uno era l’Imperatore-mondo il 26 maggio non può trovarsi in affanno il 9 giugno. O si esagerava prima o si sta esagerando ora.

Questa isteria crea un problema. Anzi: fa strutturalmente parte del problema. Come insegna la psicoanalisi con i suoi tempi canonici, se ci sono voluti trent’anni per costruire il guaio in cui ti trovi, difficile pensare di poterne uscire in un mese.

Vale anche per la politica: diamoci i tempi giusti per fare le cose (giuste) e per giudicarle. E basta con le strida. Basta con il consumo compulsivo di qualunque cosa.

Se poi la gente la prima domenica d’estate invece che a votare va al mare è anche perché delle strida ha fatto il pieno. E non le si può certo dare torto.

Politica, TEMPI MODERNI Maggio 12, 2011

FATEMI UN PIACERE PERSONALE

Amiche e amici, vi tengo compagnia come posso, ogni giorno siamo qui a discutere insieme, anche la sera, il sabato, la domenica, le feste comandate e in piena estate. Potreste ricambiarmi con un favore personale?

Andate a votare. A Milano, Torino, Bologna, Napoli, Cosenza, ecc.: andateci.

Massimo rispetto per l’astensione, ci sono circostanze in cui è la cosa giusta. Ma questa volta non lo sarebbe. Frugate nel cassetto del comodino -io lo tengo nella credenza-,  tirate fuori il certificato elettorale, verificate la scadenza della carta di identità, e andateci, domenica o lunedì mattina. E vi dirò di più: fate in modo che il vostro voto sia un supervoto, indicate anche una candidata o un candidatoscrivendo il suo nome in corrispondenza della lista che scegliete. Voi sapete che alle politiche non si può scegliere, le liste sono bloccate, non perdiamo l’abitudine a farlo anche quando si può. La persona giusta conta forse più del partito giusto.

Non ne potete più della politica, vediamo tutti cose stomachevoli, ma ne vedremo anche di più se riununciamo alla piccola ed enorme prerogativa di scegliere. La vostra passione politica è sfibrata, appannata, infiacchita, sopita. Ma c’è: una delle nostre pregevoli caratteristiche di italiani è una grande attenzione a quello che capita politicamente, forse con una discutibile propensione alla rissosità. ma siamo animali a sangue politicamente caldo.

Andate a votare, perciò. E anzi, vi chiedo di più: datevi in questi due giorni l’obiettivo di convincerne almeno un altro, oltre a voi stessi. E farete il capolavoro se riuscirete a convincerlo a votare dalla parte giusta (se no lasciate stare, grazie).

E qual è la parte giusta? Io non lo dirò oltre, l’ho detto in abbondanza, e quel minimo di par condicio la devo pur rispettare. Se proprio non vi sovviene e vi interessa saperlo, fatevi un giretto in questo blog. Io so dove ci sono persone oneste, generose, capaci, in spirito di servizio, che non vogliono trarre un profitto personale dalla loro elezione, che non avrebbero nessuna ragione di prendersi questa rogna, perché la loro vita è già piena, la loro professione è già avviata… eppure lo fanno. Ne indicherò una.

Andate a votare, amiche e amici. Facciamo insieme questa parte significativa del nostro mestiere di cittadini,

Ne vale quasi sempre la pena. Ma stavolta di più.

Donne e Uomini, Politica Maggio 8, 2011

IGNAZIO LAQUALUNQUE

Non avendo altri problemi da risolvere il ministro della Difesa Ignazio La Russauomo notoriamente bellissimo– durante una cena elettorale del Pdl a Milano a sostegno della ricandidatura di Letizia Moratti -altra vera bellezza– ha detto che nessuna eletta nel centrodestra è brutta quanto quelle del centrosinistra.

Ecco uno stralcio del luminoso discorso: “Dicono che Berlusconi fa eleggere solo le donne belle. Non è vero, ci sono alcune elette non belle anche da noi, ma certo non raggiungono l’apice della sinistra, di donne di cui non faccio il nome”. L’aveva già detto il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani che, sempre ad una cena elettorale aveva nominato Rosy Bindi e Paola Concia (non a caso, due donne che per ragioni diverse non mettono gli uomini al centro della loro vita).

Come sempre, silenzio da parte delle donne del Pdl, e la ministra Carfagna non fa un plissé.

Non si tratta di semplice scostumatezza e di pochezza di argomenti, ma di vera strategia comunicativa. Messaggio: elettrice, se voti il centrosinistra vuole dire che anche tu fai parte della schiera delle cesse, perché quelle belle e quindi di successo stanno dalla nostra parte.

In quest’ultimo scorcio di campagna elettorale -e ancora di più, come pare ormai assodato per Milano, se si andrà al ballottaggio- la linea propagandistica del centrodestra sarà “back to basic”: soldi, sesso, paura, zona Cetto Laqualunque. Dagli al clandestino, tasse quasi a zero -mentre il centrosinistra vuole addirittura reintrodurre l’Ici prima casa!-, solo bonazze -e perché non, suggerisco, interventi estetici gratis?-, e qualche killer application dell’ultimo minuto, serie: tutti a Sharm a nostre spese.

Ma il Palasharp semivuoto di ieri, nonostante le barzellette del premier e il pregevole show di dancing Letizia, deve avergli fatto tremare le vene dei polsi.

Teniamoci pronti, perché da un certo punto in poi le battutacce e il populismo potrebbero non bastargli più.

Donne e Uomini, Politica Marzo 13, 2011

COPPIA POLITICA

Vedete, amiche e amici, che per femminilizzare la politica le quote non bastano? C’è da fare le liste, oggi a Milano, ma l’esempio milanese è buono per ragionare in generale.

Capita questo: che gli uscenti dei partiti (quasi tutti maschi) vogliono rientrare. Ci sono ottime probabilità che rientrino, disponendo ciascuno del proprio patrimonio consolidato di preferenze, e come voi sapete alle comunali c’è la preferenza unica. Quindi avete voglia a fare liste cosmetiche 50/50. I maschi uscenti rientreranno, e forse qualche rara donna in più, sempre se garantita dal partito in questione. E in genere le garantite dai partiti sono le cosiddette cooptate. Ovviamente cooptate da uomini e per i motivi più svariati (relazionali, familiari e anche, ahinoi, come abbiamo visto spesso, di questi tempi, sessuali). E quindi tenute alla fedeltà assoluta, sia all’uomo che le fa entrare, sia ai codici della politica maschile. E allora non si femminilizzerà un bel nulla, come si è già visto, anche perché la cooptata è separata dalle altre, e quindi da se stessa.

Se in politica si entrasse per concorso, ci sarebbero moltissime donne, probabilmente la maggioranza, come in magistratura e in avvocatura. Ma dove si entra per cooptazione, il risultato è sempre questo.

In ogni caso il 50 per cento di elette, stanti così le cose, ce lo possiamo sognare. E la promessa era questa: 50/50 a ogni livello, consiglio, squadra, municipalizzate, enti, eccetera. Per la giunta e il resto si può rimediare dopo: assessore, presidenti di municipalizzate ed enti possono essere pescate da fuori, non devono essere elette. E’ sufficiente la volontà politica. Ma il rischio che il consiglio sia nuovamente un club per solo uomini è molto concreto. E allora come si fa?

Io ho pensato questo: alcuni dei maschi uscenti lascino “cavallerescamente” il loro posto a una donna, e facciano convergere su di lei il loro patrimonio di preferenze. Un gesto generoso e responsabile, che significa assumere la questione dell’equa rappresentanza come una priorità politica. L’uomo in questione non dovrebbe sparire, ma restare in relazione politica stretta con la “sua” eletta, lavorare politicamente con lei (non c’è bisogno di essere eletti per fare politica), decidere insieme a lei, in un’ottica di doppio sguardo. La scelta della candidata dovrebbe avvenire per affinità: per esempio, un ambientalista dovrebbe promuovere e collaborare con una ambientalista, e così via. O anche in base ad altre affinità. Così si aggirerebbe almeno in parte il meccanismo umiliante e sterile della cooptazione: sia perché le ragioni della sostituzione sarebbero evidenti (merito, competenze, capacità di fare squadra, etc.), sia perché molte più donne si farebbero avanti spontaneamente, troverebbero la forza per dire il loro desiderio, non sapendosi certamente destinate alla sconfitta.

Oltre a garantire un effettivo numero di elette, il passo indietro di alcuni candidati garantiti che decidono di continuare a lavorare fuori dalle istituzioni ma in stretta relazione con la “loro” eletta inaugurerebbe un modello interessante, quello del doppio sguardo politico, della relazione politica di differenza, riproducibile in ogni snodo dell’amministrazione. Già capita in molti luoghi di lavoro: per esempio è sempre più frequente che direttori di giornali, parlo del mondo che io conosco meglio, scelgano una donna per il ruolo della condirezione o vicedirezione (più raramente capita anche il contrario) proprio a significare l’opportunità e la fecondità del doppio sguardo. Anche la politica se ne arrichirebbe notevolmente.

Questa è la proposta che ho abbozzato, consapevole di tutte le difficoltà, la prima delle quali è che alcuni si convincano a fare un passo indietro. Un conto è solidarizzare con le donne in piazza, altro conto è assumere il problema personalmente.

Un’altra possibilità, non praticabile per queste imminenti elezioni, è la doppia preferenza di genere: ovvero l’indicazione anche di una donna ogni volta che si esprime la preferenza elettorale per un uomo, e viceversa. Ma qui manca un aspetto che io ritengo decisivo: quello della relazione politica di differenza, che costituisce la sostanza forte ed efficace della “coppia politica”.

Politica Gennaio 4, 2011

TRADIRE LE PRIMARIE

Così Giovanni Sartori sul Corriere di ieri:

“… chi va a votare nelle primarie è di solito più coinvolto nella politica, e quindi più «intenso», più appassionato dell’elettore medio, dell’elettore normale. In tal caso il candidato scelto dalle primarie è un candidato sbagliato, un candidato perdente. Se, per esempio, Vendola trionfasse nelle primarie della sinistra, la mia previsione è che per il Pd sarebbe una catastrofe“.

E ancora: “A lume di logica i partiti con primarie dovrebbero piacere agli elettori più dei partiti senza primarie. Ma in Italia non è così. Agli elettori di Berlusconi sembra (dai sondaggi) che delle primarie non importi un fico“.

Massimo D’Alema ha tutte le ragioni quando dice che dopo le primarie ci sono le secondarie, obiettivo che viene volentieri smarrito. Sulla base di queste considerazioni vorrei chiedervi due cose:

a) Nichi Vendola ha buone probabilità di vincere le primarie, e nessuna di vincere le secondarie. Evitare il passaggio delle primarie di coalizione sarebbe, in questa chiave, anche un gesto di responsabilità. Voi che cosa ne pensate?

b) se si constatasse che dove si sono tenute primarie di coalizione (a Milano, e presto a Bologna e a Torino) il candidato che ha vinto non ha nessunissima possibilità di vincere la sfida con il centrodestra, mentre uno di quelli che ha perso avrebbe buone chance, ci si dovrebbe comunque attenere fedelmente all’esito della consultazione, o è pensabile “tradirlo” per realpolitik?

Vi chiedo gentilmente di discutere con ordine, attenendovi ai due quesiti che pongo. E anche di fare rispondere amici, colleghi e parenti interessati alla questione.