Scanalare stamattina radio e tv  -analisi dei ballottaggi– e sentire dappertutto il mantra che forse l’effetto Renzi è finito mi ha precipitato in un misto di sconforto e incazzatura. Non perché io tifi pro o contro il suddetto effetto, ma perché mi pare incredibile che in 15 giorni, dicasi 15, si possa passare dalle ole, dagli squilli di tromba e dai carri del trionfo -e chi lo ferma più, è il lìder maximo, scaravolterà l’Italia come un calzino, anzi, pardon, l’Europa, è il nostro toreador- ai quasi-coccodrilli politici -visto? era solo paura di Grillo, era un risultato drogato, tutto è tornato com’era prima, etc. etc.-.

Dico proprio gli stessi sbandieratori di due settimane fa che ora si esercitano in mesti necrologi.

Le nostre vite sono una cosa seria, il destino del nostro Paese è una cosa seria, sarebbe bello che anche le analisi politiche fossero una cosa seria, e non una semplice appendice dello showbitz. Senza la notizia da strillare di volta in volta e da far scandagliare al carrozzone degli ospiti -anche loro, quasi sempre gli stessi- i talk diventano una palla pazzesca. E allora vai con l’ottovolante, dalle stelle alle stalle a breve giro per fare un po’ di share.

Ma natura non facit saltus, la realtà nemmeno: se uno era l’Imperatore-mondo il 26 maggio non può trovarsi in affanno il 9 giugno. O si esagerava prima o si sta esagerando ora.

Questa isteria crea un problema. Anzi: fa strutturalmente parte del problema. Come insegna la psicoanalisi con i suoi tempi canonici, se ci sono voluti trent’anni per costruire il guaio in cui ti trovi, difficile pensare di poterne uscire in un mese.

Vale anche per la politica: diamoci i tempi giusti per fare le cose (giuste) e per giudicarle. E basta con le strida. Basta con il consumo compulsivo di qualunque cosa.

Se poi la gente la prima domenica d’estate invece che a votare va al mare è anche perché delle strida ha fatto il pieno. E non le si può certo dare torto.

  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •