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donazione di gameti

AMARE GLI ALTRI, bambini, Corpo-anima, esperienze Ottobre 9, 2014

Perché ho dato il mio seme: parla un donatore

Anna ci ha raccontato la sua esperienza di ovodonatrice. Parliamo ora con Paolo, donatore di seme.

38 anni, Paolo è avvocato e vive a Catania. Sposato con una quarantenne, è in attesa della prima figlia che nascerà a novembre.

“Concepita con fecondazione assistita omologa” racconta. “Sei cicli, tre anni di tentativi, e infine mia moglie è rimasta incinta. Al centro restava una parte del mio seme congelato. Anziché distruggerlo ho pensato di donarlo“.

Anche se distruggere del seme non è come distruggere ovociti: produrne di nuovo è semplicissimo, e non richiede alcun intervento medico…

“Capisco che possa sembrare strano. Ma chi non vive queste situazioni non può comprendere fino in fondo. C’è troppa disinformazione, c’è paura, c’è l’idea che sia qualcosa di oscuro e di magico. Il 95 per cento della gente con cui parli non sa nulla di queste faccende. Il centro ci ha comunicato la possibilità di donare il seme residuo. E io mi sono detto: perché buttarlo?“.

Quindi ha deciso di donare.

“Prima della sentenza della Consulta che ha autorizzato l’eterologa in Italia mia moglie e io avevamo pensato anche a tentare un’eterologa all’estero, con donazione di ovociti. Nel nostro caso il problema era una scarsa qualità ovocitaria…”.

Forse perché la signora non era più giovanissima.

“L’età ha la sua importanza, certo. Ma questa condizione si può verificare anche in donne più giovani. In ogni modo, come dicevo: poco prima che lei rimanesse incinta anche noi stavamo considerando di ricorrere a eterologa, o in alternativa di adottare. Quindi avremmo potuto avere necessità di una donazione: quel bisogno l’ho conosciuto da vicino. Ecco perché ho deciso di donare“.

Ne ha parlato con sua moglie?

“Sì. E non è stato difficile decidere. Per me è come una qualunque altra donazione in vita: come donare sangue, o midollo... Certo, ha agevolato il fatto che quel seme era già lì, disponibile. Se avessi dovuto produrre del seme a questo scopo, non so… Forse avrei donato, forse no. Non saprei dire”.

La impressiona l’idea di bambini nati dal suo seme?

“No, affatto. Sarebbe come sapere che qualcuno vive grazie a un tuo rene“.

Ha chiesto di sapere se il suo seme verrà utilizzato e se si avvieranno delle gravidanze?

“No. Non voglio sapere nulla. Ho donato, e fine. Sono assolutamente sereno”.

E se un giorno volessero sapere loro? I bambini nati dal suo seme, intendo.

Se l’anonimato non fosse garantito non avrei mai donato. Non voglio essere rintracciabile. La cosa potrebbe turbare la mia serenità familiare“.

Anche la serenità di quei bambini potrebbe essere turbata dal fatto di non poter conoscere le proprie origini biologiche.

Non è un obbligo dirgli come sono venuti al mondo“.

Però la gran parte delle linee guida consiglia la strada della verità.

“I figli sono di chi li cresce. Se qualcuno di questi bambini volesse sapere chi è il padre biologico, purtroppo non potrà saperlo. Tutto qui”.

Lei sarà a conoscenza dei ricorsi presentati da molti figli di eterologa che hanno rivendicato il diritto di sapere.

“Questo non ha ostacolato la mia decisione. Ribadisco: impossibile capire se non ci si è passati”.

Dal fatto di non riuscire ad avere figli, intende?

“Sì. Per noi era un grosso problema. Una pesante privazione. Certo, se non ci fossimo riusciti alla fine ce ne saremmo fatta una ragione…”.

Una domanda delicata: posso?

“Prego”.

Non c’è anche un piccolo sogno di onnipotenza, dietro la scelta di donare il proprio seme? La volontà inconscia di massimizzare le occasioni per i propri geni?

“Ma no, mi creda. Si tratta di semplicissimo altruismo. Nessuna esaltazione. Insisto: chi non sa sulla propria pelle non può capire”.

 

(grazie a Aidagg, Associazione dei donatori di gameti, per il contatto con Paolo)

 

 

AMARE GLI ALTRI, bambini, Corpo-anima, diritti Ottobre 7, 2014

Perché ho dato i miei ovociti: parla una donatrice

Anna ha 32 anni, vive in Sicilia, è laureata in Scienze Politiche e lavora in una società finanziaria. Soffre di policistosi ovarica, e ha messo al mondo due gemellini con fecondazione assistita. Dalla stimolazione ovarica a cui si è sottoposta sono “avanzati” 11 ovociti congelati. Dopo averne parlato con suo marito, Anna ha deciso di donare i suoi ovociti: 6  a coppie con problemi di infertilità, 5 alla ricerca.

La interrogo sulla sua esperienza. Il tono di Anna è piuttosto infervorato:

 

“E’ stata una scelta di civiltà. L’ho fatto per il mio Paese, non sopporto che si debba andare all’estero per una donazione di ovociti o di seme. Un giorno potrebbe capitare anche ai miei figli. Bisogna passarci per capire che cos’è”.

Come è arrivata alla decisione?

“Avevo questi ovociti congelati, ne ho discusso con mio marito. Abbiamo deciso di donarli e mi sono rivolta a un centro per la fecondazione assistita”.

Gli ovociti sono già stati utilizzati?

“Ancora no”.

Come la sta vivendo?

“In modo del tutto sereno. Solo chi conosce il problema può comprendere. Gli altri magari lo capiscono di testa, ma è un’altra cosa, mi creda”.

Il resto della famiglia è a conoscenza del suo dono?

“I miei sì, e sono d’accordo. Poi magari ci sono zie e cugini che restano perplessi”.

Non è semplice come donare il sangue…

“Ovvio che ci sia qualche difficoltà, ma è solo questione di mentalità. Se posso aiutare una coppia perché non dovrei farlo? Avendo una policistosi ovarica la stimolazione mi ha fatto produrre molti ovociti. Non ho dimenticato nulla del mio percorso. Lì sì che è stata dura, non la donazione”.

Ha sofferto molto?

“15 giorni ricoverata con flebo di albumina. Non potevo camminare. Avevo liquido nell’addome che arrivava fino ai polmoni. Un calvario. Non capita sempre così con le stimolazioni ovariche. A me è successo per la mia patologia. Non voglio che altre soffrano come ho sofferto io”.

Secondo lei è possibile che qualcuna decida di sottoporsi a stimolazione ovarica all’unico scopo di donare i suoi ovociti?

“Molto difficile, credo. Ci saranno anche donne che lo fanno, ma ci vuole una grande motivazione, una grande consapevolezza. Più facile che le donazioni avvengano quando ci sono ovociti in più, come nel mio caso”.

Che effetto le fa l’idea di avere al mondo figli genetici che non incontrerà mai?

“Nessun effetto. Non ci penso affatto. L’unica speranza è che chi utilizzerà i miei ovociti lo faccia in piena consapevolezza, e voglia bene a quel bambino. La genetica non ha niente a che vedere con i sentimenti“.

Mi pare un’affermazione categorica. Per altri non è così.

Non penso a quei bambini come a miei figli e come a fratelli dei miei gemellini. Sono figli di chi li chiamerà al mondo”.

La sua donazione è anonima, la legge italiana dispone così. Ma se un giorno uno di quei bambini manifestasse il desiderio di conoscerla?

“Non so. Da un lato potrei essere incuriosita. Ma dall’altro non vedo la necessità di questo incontro”.

A quanto pare la vedono molti nati da eterologa. Proprio in seguito ai loro ricorsi le legislazioni di molti paesi sono passate dall’anonimato al non anonimato.

“Sinceramente non mi sono posta il problema. Ho pensato ai bisogni della coppia, non ai bambini“.

Il fatto è proprio qui. Le leggi e le convenzioni internazionali convergono sul superiore diritto del minore. Al centro dovrebbero stare i suoi bisogni, non quelli della coppia.

“Bisogna passarci per sapere cos’è, non riuscire ad avere un figlio”.

Immagino sia una grande frustrazione e un grande dolore. Ma i diritti di chi viene chiamato al mondo vengono prima di tutto.

“Ma se si può fare qualcosa per aiutare queste coppie perché non si dovrebbe?”.

Glielo diranno, quando utilizzeranno i suoi ovociti?

“Sì. Ho chiesto anche di essere informata sul decorso dell’eventuale gravidanza, e di sapere quando il bambino nasce“.

Perché?

“Per curiosità. Mi interesserebbe saperlo”.

Pensa che proverà qualche emozione?

“Felicità per la donna, per il fatto di essere riuscita ad aiutarla”.

E per il bambino?

“No, non credo. L’unica cosa che conta è che sia amato“.

 

(grazie ad Aidagg, associazione di donatori di gameti, per il contatto con Anna)

 

 

bambini, Corpo-anima, salute Giugno 11, 2014

#Legge40: ti regalo il mio ovocita

Non discriminare le coppie infertili meno abbienti, che non possono permettersi di sostenere i costi del “turismo procreativo”. E riconoscere il fatto che “non c’è differenza tra fecondazione eterologa e omologa (con gameti dei due partner)”: ovvero le famiglie non si costruiscono imprescindibilmente sulla genetica, così come già riconosciuto dalle norme per l’adozione.

Sono queste le motivazioni in base alle quali Corte Costituzionale ha giudicato illegittimo il divieto di fecondazione eterologa stabilito dalla legge 40.

Secondo la Consulta, inoltre, la fecondazione eterologa è praticabile da subito, senza che si renda necessario intervenire con nuove norme: dal momento della pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta Ufficiale, prevista a giorni, le oltre 9 mila coppie in attesa potranno rivolgersi a centri pubblici o privati per intraprendere il percorso medicalmente assistito.

Pochi giorni fa è stata annunciata la nascita della prima associazione italiana di donatori di gameti a titolo altruistico e gratuito (Aidagg). L’associazione non è un centro per la procreazione medicalmente assistita né una banca di gameti, ma un’agenzia che intende rendere nota alle coppie infertili la possibilità di procreare con donazione di seme o di ovociti, oltre a vigilare contro abusi e mercificazioni.

Potranno donare i loro gameti uomini e donne di età compresa tra 25 i 35 anni, in buone condizioni di salute e in totale anonimato, come prevede la legge. Il numero di donazioni sarà limitato e da ogni donatore non potranno risultare più di sei gravidanze. Le donazioni saranno gratuite e volontarie, salvo il riconoscimento di un minimo rimborso delle spese sostenute. Le coppie non potranno scegliere il donatore e la donna ricevente non potrà avere più di 50 anni.

“Per quanto riguarda la donazione di seme è tutto piuttosto semplice” spiega Laura Volpini, presidente di Aidagg.Per la donazione di ovociti, invece, abbiamo 3 modelli diversi: ci sono coppie che hanno già ovociti congelati che possono essere donati: a Catania 11 donne hanno già dato la loro disponibilità. Vi sono poi giovani donne che si fanno prelevare e conservare ovociti in vista di un futuro progetto di maternità: anche in questo caso parte degli ovociti possono essere donati in cambio della crioconservazione gratuita. Infine esiste la donazione incrociata: voglio donare un ovocita a un’amica o a una sorella, ma la legge non lo consente perché la donazione non sarebbe anonima e/o esiste un legame di parentela. Quindi dono il mio ovocita alla banca dei gameti che “in cambio” fornirà un altro ovocita alla mia amica o sorella”.

Lei non ritiene che sia anche necessario un lavoro, sia sociale sia sanitario, per la prevenzione dell’infertilità?

“Senza dubbio. Chiediamo che il Ministero della Salute promuova una campagna in questo senso, anche nelle scuole, in cui si parli di orologio biologico, si chiariscano i rischi connessi alle malattie a trasmissione sessuale e così via. Perché si impari come avere figli, e non solo come evitare concepimenti indesiderati. Ma è necessario anche un lavoro culturale per la diffusione di un modello di famiglia plurale”.

 Siete d’accordo sull’anonimato del donatore?

“La legge stabilisce che sia garantita solo la tracciabilità dei dati. Ma quello dell’anonimato è un falso problema. Il caso dell’adozione non può essere portato a paragone: lì c’è il trauma dell’abbandono da parte del genitore biologico, per elaborare il quale può essere necessario l’incontro e la conoscenza. Il caso del donatore di gameti invece è simile a quello del donatore di organi: conoscere chi ha donato può essere un’esperienza molto frustrante”.

Non può manifestarsi, anche in questo caso, il fantasma dell’abbandono?

“Ma un gamete non è un genitore biologico! Semmai è importante che il bambino sia precocemente informato sulle modalità con cui è venuto al mondo. Per questo proponiamo un supporto psicologico alle famiglie che hanno fatto ricorso a eterologa”.

 Quali sono le motivazioni profonde che spingono una donna o un uomo a donare i propri gameti?

“Alla base c’è un’adesione altruistica. Non distruggere i propri ovociti in sovrannumero e donarli è un gesto di pura generosità. Viviamo in una società in profonda trasformazione, anche da questo punto di vista, e non possiamo ignorare le possibilità che ci sono offerte dalle biotecnologie riproduttive”.

A breve Aidagg comunicherà i suoi contatti.

p.s.: fin qui i fatti. Per le opinioni (le mie) ci risentiamo più avanti.