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critica

esperienze, TEMPI MODERNI Marzo 5, 2009

DA SUBITO

Dopo la breve citazione del libro di Tolle, nei prossimi giorni vi parlerò di un altro libro molto importante, sempre in questa linea della fiducia. Che di questi tempi, mi rendo conto, è una parola grossa, e “grossa” lo intendo in un duplice senso -tutte le parole possono essere prese almeno in due versi-: cioè nel senso abituale di parola che oggi è arduo pronunciare, ma anche nel senso di qualcosa che, in mancanza di altro, prende spazio, diventa quasi l’unica cosa che conta e pesa, la più importante, e ci riporta all’essenziale del vivere. E tocca a chi, per propria natura o per particolari circostanze, di fiducia ne ha di più darne anche agli altri, spargerla, propagarla.

Qui io faccio spesso questa lotta, che ha i suoi fieri oppositori: di non lasciarmi mai andare più di tanto al peggio, di cederle soltanto una piccola parte delle mie e nostre attenzioni, di non lasciarmi rapire dall’ipnotica litania dell’elencazione dettagliata dei nostri guai. Perché, se ci pensate bene, ogni volta che lo facciamo perdiamo energie, non ce ne restano più per vedere il buono e per nutrirlo.

Vi dico che, per quello che vedo io, una volta fatto questo salto non si torna più indietro, il guado è passato, la rivoluzione è fatta per metà. E le categorie che ci sono servite fino a quel momento, organizzate intorno al predominio assoluto dello spirito critico, diventano zavorre di cui liberarsi prima possibile.

Dice per esempio sempre Tolle -qui lo cito non letteralmente- che finché, pur con tutte le migliori intenzioni, la metteremo nei termini di “fare la guerra a” (alla fame, alle ingiustizie, alla droga, eccetera), la cosa che conta è che continueremo a praticare la guerra e il suo linguaggio. Quello che c’è da fare, se la guerra non la si vuole, è smettere di farla da subito, depotenziarne e svuotarne il senso qui e ora, volgendo il consapevolmente nostro sguardo sul presente libero dalla guerra, facendo immediatamente esistere un mondo che la guerra non la fa, o meglio rendendoci noi stesse e noi stessi mediatrici e mediatori di quel mondo. Dandogli fiducia. E quello esisterà.

esperienze Novembre 21, 2008

IL DIAVOLO, PROBABILMENTE

Il fascino del negativo (parlo per me stessa, anzitutto) è irresistibile.

Ore, giorni, anni, vite intere spesi a scovare il male, a cercare tutto quello che non va, e a descriverlo minuziosamente, a farne una mappatura estenuante: i partiti, e i vecchi, e i corrotti, e la burocrazia… E quindi a servirlo, dedicandovisi con zelo e passione. Una vita intera non basterebbe, e se bastasse ci sarebbe subito pronto dell’altro male a cui dedicarsi, rapiti dal vortice, senza possibile via di fuga. Tutto il nostro tempo e le nostre energie investite nell’indagine adorante di quello che non va, quando lo sappiamo già tutti benissimo, l’abbiamo detto più e più volte, e da sempre, nei secoli dei secoli. Cambiano i particolari, ma la storia è sempre la stessa, e noi che collaboriamo con zelo a propagarla e perpetuarla.

il diavolo (rosalinda celentano) in "la passione di cristo" di mel gibson

Il diavolo (Rosalinda Celentano), da "La passione di Cristo" di Mel Gibson

Il diavolo, probabilmente: basterebbe dire questo, e sarebbe detto tutto. L’angelo caduto e invidioso che non può che tentarci e distrarci dal bene -dalla notte dei tempi non dispone di altre armi-, per abbagliarci e farci precipitare insieme a lui. Che ci impedisce di credere e di costruire, e ci consente come unica possibilità di illusorio movimento il cerchio snervante e soffocante di una rabbia e di un’indignazione sterili, sempre uguali a se stesse.

Ma è solo il bene a fare la differenza. E’ sul bene -o su Dio, sul Logos, su Amore, ognuno ha il suo modo di chiamarlo-che si dovrebbe tenere fisso lo sguardo, per mettersi al suo servizio e farlo crescere. Ed è così difficile. Ci vogliono occhi così limpidi, guariti da ogni male, e una tale fervida fiducia nella buona novella che ci si annuncia di continuo, e che chiede che la diffondiamo…

Se ci si riuscisse con continuità, a volere bene con tutto il nostro cuore, il più sarebbe fatto. E amen, o Om, che poi è dire lo stesso: sia ciò che E’, ora e sempre.

esperienze, Politica Novembre 12, 2008

MI DOMANDO

La domanda che mi faccio (e che vi faccio): quanto ci si sente sfiniti dopo aver investito un’enormità di energie nella critica, per quanto legittima? Non si dovrebbe fare lo sforzo di ridurre l’investimento di attenzione e passione polemica su ciò che non va, per aumentarlo su ciò che va, e che potrebbe andare da subito?

Se questo è il segreto per trovare equilibrio e serenità nella vita quotidiana, e per renderla feconda -fare correre lo sguardo su quello che abbiamo, e disdegnare quello che ci manca-, perché non dovrebbe funzionare anche per la vita collettiva, per la politica (spostarsi, schivare i colpi, togliere attenzione a ciò che è scadente, deludente, sbagliato, svuotarlo di significato)?

Non si potrebbe fare di questo piccolo luogo un posto edificante, in cui uno viene a prendere energia per propagarla e fare il suo mondo, anziché un luogo di critica negativa -che nel negativo finisce per intrappolarci?-

Non è bellissima la mobilitazione Not in my name, che segnalo qui sotto? Non delinea un modo nuovo e sorprendente e sorprendentemente partecipato e non violento di fare politica?

Non so, mi domando….

Archivio Agosto 2, 2008

IL BENE HA BISOGNO DI NOI

Il mio maestro di yoga è un uomo molto positivo e cerca di parlare di cose buone appena può. Un giorno, finita la lezione, si mette a dire bene della medicina, dei suoi progressi, del fatto che certe patologie, fino a poco tempo fa mortali, sono sempre più curabili, e di quella vecchietta sua allieva che poco dopo la sostituzione della testa del femore è già in piedi e si muove agevolmente.
Un paio di ragazze, le gambe ancora incrociate nel “loto”, protestano vivacemente: “Non sempre le cose vanno così”. “Potrei raccontarti storie ben diverse”. Certo. Potrei raccontarle anch’io, violando la mia privacy. Di quella volta che nessuno seppe per lungo tempo diagnosticarmi un serissimo problema ginecologico, ed è quasi un miracolo che io abbia potuto avere un bambino. Di quell’altra che a causa di un banalissimo intervento, la rimozione di una neoformazione benigna al collo, per l’imperizia del chirurgo ci ho rimesso una spalla, che da allora soffre di dolori cronici e non ha più ripreso la sua mobilità.
E invece mi viene da raccontare dell’incontro successivo con un ginecologo che mi ha salvato la capacità riproduttiva, oltre alla pelle. E del fatto che con la pratica costante di alcuni esercizi la mia spalla si muove e fa meno male di un tempo.
Dire il bene è farlo essere, dargli spazio e toglierne al male, farlo dilagare e contagiare quello che c’è intorno. Ma al bene si fa una grande resistenza, come per non dargli soddisfazione. E’ la “magica forza del negativo”, per rubare il titolo a un libro a firma delle filosofe di “Diotima”, che rende bene l’idea. E’ la trappola della critica, scambiata come l’unica possibilità di esercizio della libertà: e certo può esserlo, ma non sempre, comunque e in via esclusiva, portando vias spazio al resto.
Dire bene oggi può essere uno scandalo, nel senso etimologico di intoppo, inciampo, nel senso di qualcosa che ci impedisce di continuare nel nostro percorso di distruzione. Può scatenare rabbia e senso di impotenza. Mentre, a ben guardare, un potere più grande non c’è.

(pubblicato su “Io donna” – “Corriere della Sera”  il 2 agosto 2008)