La domanda che mi faccio (e che vi faccio): quanto ci si sente sfiniti dopo aver investito un’enormità di energie nella critica, per quanto legittima? Non si dovrebbe fare lo sforzo di ridurre l’investimento di attenzione e passione polemica su ciò che non va, per aumentarlo su ciò che va, e che potrebbe andare da subito?

Se questo è il segreto per trovare equilibrio e serenità nella vita quotidiana, e per renderla feconda -fare correre lo sguardo su quello che abbiamo, e disdegnare quello che ci manca-, perché non dovrebbe funzionare anche per la vita collettiva, per la politica (spostarsi, schivare i colpi, togliere attenzione a ciò che è scadente, deludente, sbagliato, svuotarlo di significato)?

Non si potrebbe fare di questo piccolo luogo un posto edificante, in cui uno viene a prendere energia per propagarla e fare il suo mondo, anziché un luogo di critica negativa -che nel negativo finisce per intrappolarci?-

Non è bellissima la mobilitazione Not in my name, che segnalo qui sotto? Non delinea un modo nuovo e sorprendente e sorprendentemente partecipato e non violento di fare politica?

Non so, mi domando….

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