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crisi

economics, esperienze, Politica Novembre 10, 2011

Grazie Presy

Be’, amici: giornata storica e terribile, quella di ieri. Finita, per quel che mi riguarda, con il surreale salotto di Bruno Vespa, raggiante lui, allegrissimi tutti, da Alfano a La Russa a Di Pietro: che cosa avranno avuto tanto da ridere? Sembravano sollevati: e da che cosa? da loro stessi? Si vede l’uscita, finalmente. Evidentemente danno tutti per scontato di rientrare e riaccomodarsi. Be’, non ne sarei così certa, al posto loro.

Se tutti spingeremo nella direzione giusta, capiterà al Paese quello che è successo a Milano: dopo l’interludio Monti, che sarà cosa dura per tutti, nessuna illusione, cambio radicale. E’ nelle cose. E io auspico che Milano dia un grande contributo alla svolta. E chi andrà, come è successo a Milano, troverà macerie, rovine, e casse vuote. Dovrà fare grandi pulizie, raccogliere i cocci, buttare quello che c’è da buttare e salvare quello che c’è da salvare. Sarà ancora dura per tutti. Sarà un cambiamento doloroso. Sarà un lavoro di anni.

Ma dateci una visione, dico, diamoci una visione per il nostro Paese, visualizziamola bene tutte e tutti, cominciamo a vivere come se quel Paese nuovo ci fosse già, facciamolo essere nei nostri gesti quotidiani, e vedrete che rifioriremo. Usiamo questo tempo per “vedere”, non limitiamoci a piccoli aggiustamenti, diamoci grandi sogni e grandi orizzonti , e vedrete che ce la faremo, vedrete che i nostri figli, a cui abbiamo dato molto e tolto quasi tutto, avranno di che ringraziarci: “Ben fatto, vecchi”.

P.S. E io dico grazie al nostro vecchio Presidente Napolitano, che con equilibrio, intelligenza e fermezza ha saputo trovare la strada. Grazie Presy. E prenditi un paio di giorni per andartene a Capri, appena puoi.

Donne e Uomini, Politica Novembre 9, 2011

Con il fiato sospeso

immagine tratta da Il Fatto.it

La parola attesa da tutti, dimissioni, è stata pronunciata. Ma le opposizioni non festeggiano, nessuno stappa lo champagne, le settimane che abbiamo di fronte saranno politicamente le più terribili dal dopoguerra a oggi, il terrore che l’interesse particolare prevalga disastrosamente sul bene generale è ben fondato.

Nessuno sa che cosa contenga il maxiemendamento che le Camere si apprestano a licenziare, a quanto pare non prima di dicembre (un tempo lunghissimo: riusciremo a sopportarlo? e nel frattempo, cose capiterà?). Molti si aspettano che alle opposizioni, che si sono impegnate a non fare ostruzionismo e a consentire l’approvazione del maxiemendamento, toccherà mandare giù il boccone amaro di qualche norma salva-aziende, di qualche norma sulla giustizia e altre ancora, inserite nel testo ad personam. Sul dopo, ognuno dice la sua: se Berlusconi si dimetterà, cosa sulla quale alcuni dubitano ancora, aspettandosi un nuovo colpo di teatro, un governo Monti, tecnico e di scopo, o un governo Alfano, a tempo o fino al 2013, o elezioni a gennaio, o elezioni in primavera. Opinioni divergenti che lacerano gli schieramenti anche al loro interno, perché gli interessi dei singoli partiti sono diverse, e all’interno dei sigoli partiti ognuno gioca la sua partita, pro domo sua.

La prospettiva di una campagna elettorale natalizia ed emergenziale è rovinosa e spaventevole. Potrebbe essere una campagna a dire poco inquieta, nel disordine sociale, non priva di violenze, roba che il finale del Caimano ci fa solo il solletico. Si andrebbe a votare con questa legge elettorale, il che significa in buona sostanza che ci ritroveremmo a rivedere le stesse facce, decise dai capibastone dei partiti, per un altro quinquennio: ancora loro, sempre gli stessi. E non si vede perché “loro” dopo il voto dovrebbero essere diversi da “loro” come sono ora, più capaci, più responsabili di quanto sono ora. Questo vuole dire che ogni speranza di rinnovamento sarebbe definitivamente perduta. In una situazione del genere, di primarie, di aria nuova, di partecipazione delle donne e dei giovani non parlerebbe più nessuno: abbiamo lottato tanto invano? E in questo il “loro” interesse, l’interesse delle attuali dirigenze politiche, è sicuramente convergente. E questo è il dramma vero, allora davvero non ci sarebbe più speranza, perché il Paese non reggerebbe altri 5 anni di immobilismo e gattopardismo.

Questo, amiche e amici, è il tempo terribile con cui dobbiamo fare i conti, e io personalmente prego lo Spirito Santo -voi fate come ritenete meglio- perché ci illumini, perché dica a ciascuno di noi che cosa deve fare, e lo dica soprattutto a chi ha maggiori responsabilità sul bene pubblico. Ma non mi sento esentata dl compito di fare io stessa, insieme ai miei concittadini, quello che è giusto.

Donne e Uomini, economics, Politica Novembre 1, 2011

La spallata delle donne. Subito

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Spread Btp-Bund al 4.34 per cento, e Piazza Affari in picchiata, stamattina, magnifiche notizie fresche fresche.

Bossi che riparla di secessione e vuole spaccare la faccia a noi giornalisti. La Russa che compra Maserati. Sacconi che sparge benzina sul fuoco. Tremonti che inanella sonetti new age: “«Sta venendo il tempo per mettere il cuore, la ragione al posto del saggio di interesse, per mettere il pane al posto delle pietre, per mettere l’uomo al posto dei lupi». Ma a mettere qualcun altro al posto suo non ci pensa proprio. Le ministre che non esistono. E il premier Berlusconi che dice che il disastro non dipende da lui: anche se tutti ormai sappiamo, lui compreso, che i mercati saluterebbero con i fuochi d’artificio la notizia delle sue dimissioni.

Ci dev’essere un modo per mandarli via. Ci dev’essere la possibilità istituzionale di chiamare questi irresponsabili al Quirinale. Ci dev’essere qualcuno in grado di prendere questa decisione. Non c’è più un solo minuto da perdere. Ultimo giro di giostra. Questa giornata di festa sarà decisiva.

Io chiedo alle mie amiche di Se non ora quando di indire al più presto una piazza enorme, pacifica e responsabile, di assumerla con coraggio, questa responsabilità, di dare la spallata che serve. Di mostrare al mondo che in questo Paese le donne, e con loro gli uomini di buona volontà, sono credibili, sono forti, sono pronte. Il soggetto politico oggi siamo noi. Facciamolo per noi, facciamolo per i nostri ragazzi. Facciamolo subito!

economics, Politica Ottobre 27, 2011

Buon appetito!

La letterina all’Europa è piaciuta. Bene! Tra i provvedimenti che dovrebbero rilanciare la crescita c’è anche la sostanziale libertà di licenziamento “per ragioni economiche”. Non è molto chiaro perché Umberto Bossi faccia il ganassa ergendosi a paladino delle pensioni, e poi nemmeno un plissé sul tema licenziamenti (però ribadisce che sul voto decide lui: meno male): ascoltare Radio Padania. I sindacati sono sul piede di guerra in difesa dell’articolo 18: ma che cosa si può fare, ormai? L’Europa ha detto ok, l’accendiamo.

Il presidente Napolitano parla del coraggio di misure impopolari: beh, sarà contento, più impopolare di questa non ce n’è. Altro che regolarizzazione dei precari: qui siamo alla precarizzazione dei regolari. Di motivi economici per licenziare un’azienda ne ha sempre, a iosa, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Intanto a Palazzo Chigi si assume una trentina di persone e più, in deroga al blocco delle assunzioni e nonostante si parli di tagli agli statali. Detto tra parentesi: che cosa ne dite del lauto pasto al Senato, 19 ottobre, a 7 euro e 50? ma  che c’entra con le misure economiche? ci mancherebbe altro!

L’Europa ovviamente raccomanda misure di sostegno -un’indennità di disoccupazione?- per chi resta senza lavoro. Non sa che dalle nostre parti cose del genere non usano. Come per la manovra, che parifica l’età pensionabile delle donne: non è che in cambio siano aumentati sostegni e servizi. Il welfare siamo noi!

Buona giornata, e buon appetito!

esperienze, Politica Ottobre 26, 2011

Il Diavolo della Sfiducia

Ehm, ehm: In queste ore solenni e decisive -Gesù! un’altra volta!- per le sorti del nostro governo…

Due binari che non si incontrano mai

la politica che in grande parte è impegnata a farsi gli affaracci suoi, solo pochi che invece di pensare al loro personale destino (ovvero: se vado a casa qui non ci torno più/ mi toccherà mettermi a lavorare/ non ho ancora maturato la pensione/ mi processano/ ho ancora dieci anni di mutuo/ devo tornare da mia moglie a Cuneo e non ne ho voglia, ecc) pensano al Paese

la gente a cui frega sempre meno di tutto, che nella politica crede sempre meno, e nella rappresentanza, non avrebbe neanche il tempo di credere a qualcosa perché è costretta a ossessionarsi sulla pagnotta, sull’affitto, sull’assicurazione auto, sulle rate dell’università, perché affoga in questa mota viscosa, quello che in questo paese è sempre stato difficile lo diventa sempre di più, nulla che si muove, attendismo generale, hai in mente un’impresa e non ci riesci, vorresti vendere la casa e non ci riesci, le zavorre si moltiplicano, le speranze di cambiamento che si affievoliscono, quello che speravi capitasse che non capita…

Il Diavolo della Sfiducia torna a tentarci, cerca di sedurci, apre le sue braccia per accoglierci. E’ così bello! E’ così difficile resistergli…

 

Politica Dicembre 15, 2010

THE DAY AFTER

Due immagini, ieri.

Discorso di Silvio Berlusconi alla Camera:”… Oggi non è in gioco la persona del presidente del Consiglio...”. Fischi, boati. Berlusconi sorride. Poi francamente ride. Si “pinza” le labbra, come a dire: non fatemi parlare.

La seconda: quel bacio a Casini. L’ho percepito come un segno di sprezzo nei riguardi delle istituzioni e delle sue regole. Come a dire: e dai, non fare così, vedrai che ci sistemiamo Al momento Casini dice no. Al momento.

Due pensieri, stamattina:

i soldi possono davvero tutto, ma tutto-tutto. Hanno il potere diabolico di fermare ciò che deve andare avanti, di far sembrare vero ciò che è falso, di distrarci dalle cose che contano, di farci marcire. Non per sempre, ma molto a lungo. Anche qui a Milano, i soldi potranno moltissimo. Non dimentichiamolo.

Secondo pensiero: oggi mi sento molto più insicura di ieri. Berlusconi è oggettivamente più debole, sotto la spada di Damocle del voto della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento, e questo aumenta il pericolo. Lo scenario è confuso e inquietante, la cornice di Roma a ferro e fuoco rende bene. Molti si compiacciono parlando di “fase caimano“. Non penso a questo. Penso ai due scenarielezioni anticipate, in un clima infernale, con un’opposizione debolissima, berlusconizzata e senza idee. Il paese spaccato, la crisi economica; o maggioranza “esteticamente” allargata, l’ingovernabilità sostanziale, altri due anni di paralisi, il paese allo sbando, unica crescita: il debito pubblico. possibili:

Penso questo, e prego lo Spirito Santo di venire a ispirarci. Che ci dia la saggezza necessaria. Stavolta ci lasceremmo la pelle.

Donne e Uomini, Politica, TEMPI MODERNI, WOMENOMICS Dicembre 4, 2010

INCINTE DEL PAESE NUOVO

A proposito dell’ultimo rapporto Censis e dell’assenza di desiderio, scrive Dario Di Vico sul Corriere di oggi:

“… le donne italiane hanno un potenziale di aspirazioni quasi del tutto integro. Dopo lunghi anni di affermazioni frustrate si presentano sulla scena del mondo del lavoro con la giusta ambizione di far valere la propria presenza e il proprio punto di vista. Perché, allora, per risvegliare l’apatica società italiana descrittaci da De Rita, non attingiamo a questa straordinaria riserva?

Milita a favore del fattore D non solo il principio dell’elastico -ciò che è stato compresso a lungo, quando viene liberato fa un balzo in avanti- ma anche la capacità relazionale tipica del sesso femminile. Mai come adesso c’è da ricucire il tessuto delle relazioni umane, le reti per dirla con la lingua dei sociologi e dunque non c’è miglior protagonismo di quello delle donne“.

E’ quello che dicevo ieri, commentando il rapporto Censis: noi donne desideriamo. Siamo piene di desideri. Piene di questa grazia. Incinte del Paese nuovo. E’ il momento di tirarli fuori, di affermarli senza esitazioni. Il momento è proprio adesso. Ditelo a voi stesse, alle vostre amiche che ancora esitano.

Nessuno deve avere paura. Né gli uomini, né le donne. La politica deve lasciarci entrare.

Donne e Uomini, economics Settembre 12, 2010

MA CHE COLPA ABBIAMO NOI

Se c’è una cosa che fa impazzire le donne, tutte, è lo spreco. Poco propense all’azzardo, ammortizzatrici nate, carne viva del welfare familiare –che in casa ne entrino dieci, centro o mille, tocca a noi tenere comunque insieme il pranzo con la cena, e con le bollette, la rata del mutuo, le scarpe, i libri per la scuola-, quando leggiamo di certi buchi di migliaia di milioni nella sanità o in qualunque altro comparto pubblico ci parte il cervello.

Fa pertanto piacere sentire il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso dire, in perfetta sintonia con la signora Gina e la signora Luisa, che in Italia le cose non vanno così male, che il sistema bancario è solido, la situazione dei conti privati rassicurante, ma resta il problema dei conti pubblici e di una pessima governance economica.

Scusate la volgarità, ma a “pessima governance economica” aggiungerei l’attributo “maschile”, visto che di governanti economiche ce n’è pochine: noi governiamo e rigoverniamo il micro del pane quotidiano, tirando la coperta sforbiciata da quei simpatici giocherelloni dei nostri uomini e dalla loro avidità testosteronica. In altre parole darei una lettura sessuata della nostra bizzarra situazione, in crisi ma non del tutto.

Cio’ che resta fuori dalla crisi è più femminile che maschile. Un modello italiano che forse non è così male. Forse la tenuta del “femminile” contro gli appiattimenti paritari ed emancipazionistici, letta normalmente come una delle nostre miserie, è proprio quello che ci sta salvando. Quel moltissimo-poco che le donne governano (i conti di casa, tanto per dirne una, ma anche tante piccole imprese) funziona. Perché non fargli governare anche lo spazio pubblico, allora?

Ma se in quei posti di uomini, nei board, nelle varie stanze dei bottoni, ci arriviamo da emancipate, ovvero come uomini di riserva; se ci affanniamo per acchiappare in extremis l’ultimo vagone del treno della parità -vedo una singolare agitazione neo-paritaristica, di questi tempi…-; se in viaggio verso la polis perdiamo per strada proprio quello che ci sta salvando (il fatto di essere rimaste donne più che altrove)… be’, sarebbe un paradosso grandioso.

pubblicato su Io donna-Corriere della Sera l’11 settembre 2010

esperienze Maggio 9, 2010

PAPAVERI IMPERTERRITI

papaveri 1

Ieri guardo dal treno la bella campagna veronese, i campi e i filari sui colli. E tutti quei papaveri puntuali al loro appuntamento, nonostante l’aria gelida, nonostante la nube che blocca gli aeroporti, nonostante l’euro che trema, nonostante l’irresponsabile avidità di certi esseri umani  –l’intoccabile “mercato”-che mette a repentaglio la sicurezza di altri esseri umani.

Papaveri imperterriti, lì a fare il loro misterioso lavoro, pieni di fiducia. E li invidio. Vorrei impararla, questa loro fiducia. Vorrei conoscere la loro stessa imperturbabile libertà.

Senza categoria, WOMENOMICS Marzo 9, 2010

RIVOLUZIONE WOMENOMICS

Women-In-Business

“L’avesse detto Pompeo Magno…” (storico collettivo femminista romano), osserva un’arguta amica. Ma che + donne = ottimi affari, lo garantisce il fior fiore degli osservatori economico-finanziari internazionali, mica quelle adorabili vecchie ragazze in gonnellone. Il genere non è un più un problema delle donne, ma una questione del business. Detto con le parole ultimative di Lars-Peter Harbing, presidente di Johnson & Johnson Europe, “mettere a fuoco la questione del genere non è un’opzione. E’ questione di vita o di morte”. Delle aziende e del business, s’intende.
Vediamo. Le donne lavorano fuori casa sempre di più. 2009, data storica: negli Usa è il sorpasso, le lavoratrici diventano i lavoratori tout court. La crisi fa più male agli uomini che a loro. Che anzi, lavorando di più, guadagnano di più. Sempre di più: si stima, per esempio, che nel giro di una decina d’anni le signore del Regno Unito deterranno il 60 per cento delle ricchezze personali. Ma guadagnando di più, spendono anche di più, decidendo voluttuosamente e in proprio che cosa comprare. Negli Stati Uniti l’80 per cento delle decisioni d’acquisto -non detersivi, pelati e pannolini, ma automobili, computer, telefonini e assicurazioni- è preso dalle donne. Ma nel Giappone tradizionalista le cose non vanno diversamente. Tant’è che per accattivarsi le consumatrici la forza vendita nipponica di American Express è al 70 per cento femminile. Il malloppo, dunque, è in mano loro.
Riusciranno i nostri eroi –pressoché tutti maschi- alla guida di quasi tutte le aziende del mondo a intercettare questo filone d’oro? Sapranno farsi un’idea di che cosa vuole una donna, supremo busillis del marketing contemporaneo? Che cosa vuole comprare, soprattutto? Se nemmeno Freud si diede una risposta, come sperano di riuscirci tutti quegli uomini al top, caparbiamente convinti di poter continuare a fare conti e strategie tra loro, senza dover sopportare la noia della presenza femminile?
Una ricerca condotta sulle 500 aziende top di Fortune ha scoperto che le aziende “bilingui”, ovvero con una buona mixité ai vertici, offrono performance significativamente superiori, sia a livello di rendimento del capitale netto, sia di rendimento per gli azionisti. Ricerche di McKinsey e di altri osservatori confermano. Le aziende con 3 o più direttori donne segnano un aumento pari al +83 per cento del capitale netto, +73 per cento di utili sulle vendite e +112 per cento di rendimento del capitale investito –mica noccioline- rispetto a quelle con “soffitto di cristallo o, a scelta, pavimento adesivo”.
Goldman Sachs ha astutamente creato un paniere azionario, Women 30, con i titoli di azioni capaci di beneficiare del crescente potere d’acquisto femminile: azioni che hanno realizzato performance superiori agli indici globali. Gestori di fondi come il ginevrino Amazone Euro Fund hanno deciso di investire in aziende con un buon numero di donne al top. E così via, in un irresistibile crescendo.
Al Pompeo Magno non se lo sarebbero neanche sognato. Date piuttosto un’occhiata a “Rivoluzione Womenomics – Perché le donne sono il motore dell’economia”, (edizioni Gruppo 24ore), documentatissimo best seller di Avivah Wittenberg-Cox e Alison Maitland. Minaccioso distico in apertura, ripreso da “The Economist”: “Dimenticate la Cina, l’India e Internet: la crescita economica è trascinata dalle donne”. Una lunga serie di prove schiaccianti e inconfutabili del fatto che la “questione femminile” oggi è una “questione di business”.
Senza le donne, a quanto pare, oggi economicamente non si combina più nulla, e la febbre globale rischia di diventare cronica. Eppure nei board le donne continuano a essere mosche bianche. “Raramente la loro invisibilità nei vertici aziendali è stata così visibile”. Fate sparire quelle imbarazzanti foto ufficiali dei Cda tutti in grisaglia, così poco women friendly. Negli Stati Uniti le direttore esecutive sono il 15 su cento, sotto il 10 per cento in Europa, un misero 2 per cento in Asia. Quanto agli organismi di decisione: 16 per cento di presenza femminile in America, 4 per cento in Europa, il solito 2 per cento in Asia. In Italia ci sono 5 consigliere di amministrazione ogni 100 uomini, e il Cda è monosex in 6 aziende su 10.
Pensate a una seduta-tipo di uno qualunque di questi board. Questione “donne” al penultimo punto, appena prima dei gruppi etnici. La prima cosa da fare, dicono Wittenberg-Cox e Maitland, è proprio questa: smetterla di pensare la maggioranza del genere umano come una fra le tante minoranze.
Fosse facile. Anche noi post-emancipate che per un certo tempo siamo state uomini, possiamo benissimo renderci conto della difficoltà. Immaginiamo come ci si possa sentire: dover rinunciare a uno degli ultimi luoghi femmine-esenti di questa terra. Le donne sono strane. Rompono le scatole. Non separano ermeticamente pubblico e privato. Fanno irrompere dappertutto il fastidio della vita, figli e cose simili. Hanno il ciclo. Ragionano in quel modo astruso. Ma il fatto è che, secondo tutti gli indicatori, questa stranezza fa fare affari. La differenza produce valore.
Si tratta di “attraversare una vera e propria rivoluzione culturale per giungere a convincersi che le donne non costituiscono tanto un problema, quanto una gigantesca opportunità”, incoraggiano Avivah e Alison. Che distribuiscono equamente i manager in tre categorie. I progressisti, sensibili alla questione del genere anche per ragioni private -l’esperienza personale è sempre decisiva-: le crisi isteriche di una moglie in carriera, una figlia con 12 master che non viene mai promossa. Ecco poi i temporeggiatori, convinti che basti un po’ di pazienza e la cosa, nel giro di non più di mezzo secolo, finirà per aggiustarsi da sé: “voce fluttuante”, dicono le autrici. “Bisogna convincerli a confluire nel primo gruppo”. E infine i reticenti, apertamente ostili al lavoro e alle carriere femminili, che magari hanno convinto la moglie a starsene a casa e ora non possono permettersi di fare gli splendidi in ufficio.
Lo scoglio principale è il riconoscimento di una differenza di linguaggio, e la presa d’atto che “la variante femminile è parlata da una maggioranza economicamente molto forte”. Ma allora, in tutta franchezza: sono le donne ad avere bisogno di aiuto, di corsi, di supporto, di counseling, di tutoring, di mentoring, di tutto quel complesso apparato pariopportunitario messo in piedi da molte aziende per adattare le signore alla dura realtà del lavoro in terra straniera, come immigrate di seconda generazione? O non si dovrebbe piuttosto pensare a rieducare gli uomini che “inconsciamente perpetuano lo status quo, continuando a beneficiarne”?
La questione è complicata, perché anche ammesso e non concesso che i board aprano alle donne, non è affatto detto che le donne aprano ai board. In Commissione Finanze della Camera è a buon punto una proposta di legge, prima firmataria Lella Golfo, sul riequilibrio di genere nei cda delle società quotate: almeno un terzo andrebbe al genere meno rappresentato. In Norvegia, come si sa, da un paio d’anni è in vigore una legge che impone quote del 40 per cento. Eppure qui, a quanto pare, le performance delle aziende non sono affatto migliorate. Dovendo ottemperare in fretta e furia alla norma, pena severe sanzioni, le donne sarebbero state imbarcate in modo precipitoso, senza far troppo caso a preparazione e know-how.
Ma non è semplicemente questione di essere capaci. Si tratta anche di volerci andare. Qui pesa un’ambiguità del desiderio. Capita che le più brave –e anche le “più donne”-, una volta sulla soglia dell’agognato inferno facciano un passo indietro. Perché preferiscono fare altro. L’economia avrà anche bisogno di loro, ma loro non hanno tutta questa voglia di caricarsela in spalla per rimetterla in carreggiata. Si sa che una volta là dentro ti toccherà la pena più grande che possa toccare a una donna: ragionare, vivere, fare riunioni, attaccarsi al BlackBerry, correre da un aeroporto all’altro esattamente come gli uomini, però molto più infelici di loro. Non è un caso che ogni giorno 240 donne (il doppio degli uomini) aprano una nuova impresa, come nota Margaret Heffernan, autrice di “How She Does It”, guida all’imprenditoria femminile: “Aziende con una crescita, in termini di fatturato, utili e posti di lavoro, assai più rapida del settore privato nel suo complesso”.
Se in proprio funziona, nelle aziende maschili invece “è così faticoso essere se stesse!”, si lamenta la direttora generale di una grande multinazionale americana. “Bisogna resistere continuamente alla tentazione di cambiare i propri comportamenti”. La pioniera Bell Burnell, astrofisica irlandese scopritrice delle pulsar, all’apice della sua carriera in mezzo agli uomini si domandava: “Sono ancora una donna? O un uomo di serie B? Un transessuale? Una virago? Un’amazzone?”.
“Trainare la crescita economica” sarà anche fantastico, ma qual è il prezzo? E poi: cosa si intende precisamente per “crescita economica”? Ed è proprio indispensabile quel linguaggio alienante “zeppo di messaggi e metafore riferiti alla conquista militare… Incoraggiare le truppe, essere pronti per la battaglia”? Perché non si ragiona per obiettivi anziché in termini di orario? Come si fa a restare l’una che si è, senza essere ridotte in cocci da “conciliare”? Si può stare in quei posti a modo proprio, come donne-donne, e non come trans? Perché diversamente “perderemmo proprio ciò che andiamo a cercare” dice Paul Bulcke, Ceo di Nestlè, evidentemente un “progressista”: “vale a dire un’altra prospettiva, un altro modo di vedere le cose”. Ma questo modo di vedere le cose nelle imprese continua a non avere corso. Il gatto si morde la coda. “Di adattamenti alle esigenze delle imprese le donne ne hanno già fatti fin troppi” spiegano Avivah e Alison. “Ora tocca alle aziende cambiare le regole per adattarsi alle esigenze delle loro dipendenti”. E’ questo che serve al business.
Fosse facile. Buttare all’aria tutto, modelli organizzativi, tempi, business plan, stili di leadership: che, “qualora sia consentito alle donne di essere autentiche, noi sospettiamo siano per molti aspetti molto diversi da quelli dei loro colleghi uomini”. Ma c’è un’altra questione, anch’essa cruciale. Perché gli uomini dovrebbero farsi da parte, e in cambio di cosa? Che cosa guadagnerebbero, dal cambiamento (a parte buoni dividendi)? Che cosa potrebbe incentivarli a fare spazio? E’ davvero così strano che continuino a resistere, uno contro una –e al contrattacco, a quanto pare- non avendo ancora ben capito che cosa fare di se stessi e della propria identità?
Il business detta le sue priorità e i suoi tempi: ma quali sono i nostri, di donne e di uomini? Quanto potrebbe costarci, in termini esistenziali, questa rivoluzione copernicana, e come si fa a pagare meno? Domande difficili e scorrette che nell’economia non hanno campo, e nemmeno nella politica. Ma provare a porsele, per i nostri compagni, per i nostri figli, non è anche questo intensamente femminile?

(pubblicato su Il Foglio il 6 marzo 2008)