Browsing Tag

capodanno

Donne e Uomini, femminicidio, questione maschile Gennaio 7, 2016

Capodanno a Colonia: piazza Tahir nel cuore dell’Europa

Il più grande pericolo che corriamo dopo i fatti di Colonia -un migliaio di “arabi e nordafricani” che la notte di Capodanno si sono avventati contro tutte le donne che incontravano libere per strada, 90 denunce per molestie, 2 stupri-  è la sottovalutazione (episodi analoghi anche ad Amburgo, Francoforte, Düsseldorf e Stoccarda).

Si è trattato di un atto di guerriglia organizzato, eccitato dall’alcol e dai botti, in cui le donne hanno avuto la parte delle prede, come sempre in circostanze di guerra. Anzi, è stato molto di più. I predoni hanno rubato e hanno molestato: tra le cose e le donne non c’è stata alcuna differenza. Se degli attentati di Parigi si è parlato come di un atto di jihad nel cuore dell’Europa, dei fatti di Colonia si dovrebbe parlare come di una piazza Tahir esportata in Germania: non la piazza Tahir della primavera araba, quella dove le donne partecipavano da pari ai moti “rivoluzionari”, ma la piazza Tahir subito-dopo, quella in cui le donne venivano molestate, insultate, umiliate e palpeggiate per ricondurle brutalmente al loro stato di illibertà.

Tutte noi siamo state molestate almeno una volta nella vita. E ci è chiaro è il messaggio: sei solo una cosa a mia disposizione, specie se giri sola per strada, mostrando di non appartenere ad alcun uomo; nessuna libertà ti è consentita, se non quella di consegnarti a un padrone, e se non lo fai, se pensi di poter essere autonoma, di guadagnarti il pane, di guidare la macchina, di vestirti come ti pare, sei solo una puttana a mia disposizione. E devi avere paura.

“Essere una donna è pericoloso ovunque”, come scrive Mona Eltahawy (“Perché ci odiano”): deve tornare a esserlo anche in Germania, anche in Europa. E’ questo il messaggio che doveva arrivare, ed è arrivato. I balbettii della povera sindaca di Colonia (il consiglio alle sue concittadine di “tenersi alla distanza di un braccio, EineArmlaenge, dagli sconosciuti) sono lì a dimostrarlo. La pericolosità dell’essere nata donna, la paura che deve conseguirne –ovvero il preciso rovesciamento della paura che gli uomini provano per la potenza materna e l’illimitato godimento femminile- è il fondamento ineliminabile del patriarcato, il cuore della questione maschile. Se una sola donna mostra di non avere paura, tutto l’impianto è a rischio di crollo.

Gli uomini di Colonia non erano poveri astinenti sessuali che cercavano occasioni di “sfogo”: lo stupro e la molestia sono atti solo pseudosessuali, quello che si cerca non è il piacere, ma il dominio e l’assassinio simbolico della preda. Gli uomini di Colonia erano uomini che rimettevano le cose a posto, riaffermando un sistema di valori che nella postura del dominio -maschio sopra, femmina sotto- trova il suo fondamento, il suo suggello, la sua garanzia. Gli uomini di Colonia volevano dare una lezione agli uomini di Germania, che si fanno comandare dalle loro donne, che hanno addirittura un premier donna. Qualcosa di simile agli stupri etnici.

Si tratta, dicevo, di non sottovalutare: fare finta che gli uomini di Colonia non siano poi tanto diversi dagli ubriaconi dell’Oktoberfest significa lasciare alla destra xenofoba il compito esclusivo di interpretare la vicenda e di immaginare risposte politiche. E i maschi della destra xenofoba non sono certo paladini della libertà femminile.

Si tratta di saper leggere quello che è capitato la notte di Capodanno senza cercare riparo nella retorica della correctness. O, peggio, imbastendo patetiche e autoconsolatorie dietrologie, tipo: era tutto organizzato, anche il non-intervento della polizia, in modo da poter restringere le politiche di accoglienza, e altre cretinate simili.

Stiamo alle cose certe. E una cosa certa, come diciamo da sempre, è che il corpo della donna è il campo di battaglia definitivo. Quello che capita alle yazide, alle siriane, alle saudite ci riguarda, è molto più vicino di quanto vorremmo credere. E ridurre le nostre pretese di libertà, anche solo della misura di un braccio, significa ridurre anche le loro.

Tenere le donne al centro –a cominciare dalle politiche di accoglienza- è una primissima, ineludibile risposta. Più profughe di loro non c’è nessuno.

 

 

 

 

 

AMARE GLI ALTRI, esperienze, TEMPI MODERNI Gennaio 6, 2012

Non santificare il migrante

La santificazione del migrante fa il paio con l’intolleranza.

Lo dico perché la notte di Capodanno ho fatto un giro in piazza Duomo a Milano, dove c’era musica. Dopo 10 minuti di sparatoria furiosa a opera di giovani maschi testosteronici, prevalentemente maghrebini e sudamericani e strabevuti o altro -ma c’erano anche molti italiani- e senza essere riuscita a sentire una sola nota ho preso la via del ritorno a casa camminando radente ai muri per evitare un botto in faccia.

Non mi è piaciuto. E non mi piace che ci si nasconda dietro un dito, temendo di essere politicamente scorretti.

Ho visto varie piazze festanti per Capodanno, da Napoli a New York. La tentazione di approfittare della circostanza per dare sfogo alle proprie rabbie e magari liquidare qualche conto sospeso c’è sempre e dappertutto. La differenza, spiace dirlo, la fanno le forze dell’ordine.

A New York presidiano Times Square e intervengono durissimamente di fronte a ogni genere di intemperanza: ho visto una coppia di fidanzati che si pigliavano a schiaffi davanti a un ristorante messi istantaneamente faccia a terra dai poliziotti. Se vuoi gestire una piazza con centinaia di migliaia di persone, o anche milioni (la calata a Manhattan è impressionante, da Brooklyn, Bronx, Queens, oltre alle decine di migliaia di turisti) non c’è altra strada. E funziona: mai nessun incidente, niente risse, nè feriti o peggio.

Io dico: sì alla festa in piazza, ma con presidio adeguato. E nessuna paura a dire che molti giovani  di Milano, soprattutto “stranieri”, la notte di Capodanno si sono comportati davvero da schifo. “Niente botti”, aveva ordinato il sindaco. E invece a Milano non si è mai sparato tanto. Il senso è stato anche quello di una sfida, e si deve prenderne atto.

L’anno prossimo, per favore, tolleranza zero.