La santificazione del migrante fa il paio con l’intolleranza.

Lo dico perché la notte di Capodanno ho fatto un giro in piazza Duomo a Milano, dove c’era musica. Dopo 10 minuti di sparatoria furiosa a opera di giovani maschi testosteronici, prevalentemente maghrebini e sudamericani e strabevuti o altro -ma c’erano anche molti italiani- e senza essere riuscita a sentire una sola nota ho preso la via del ritorno a casa camminando radente ai muri per evitare un botto in faccia.

Non mi è piaciuto. E non mi piace che ci si nasconda dietro un dito, temendo di essere politicamente scorretti.

Ho visto varie piazze festanti per Capodanno, da Napoli a New York. La tentazione di approfittare della circostanza per dare sfogo alle proprie rabbie e magari liquidare qualche conto sospeso c’è sempre e dappertutto. La differenza, spiace dirlo, la fanno le forze dell’ordine.

A New York presidiano Times Square e intervengono durissimamente di fronte a ogni genere di intemperanza: ho visto una coppia di fidanzati che si pigliavano a schiaffi davanti a un ristorante messi istantaneamente faccia a terra dai poliziotti. Se vuoi gestire una piazza con centinaia di migliaia di persone, o anche milioni (la calata a Manhattan è impressionante, da Brooklyn, Bronx, Queens, oltre alle decine di migliaia di turisti) non c’è altra strada. E funziona: mai nessun incidente, niente risse, nè feriti o peggio.

Io dico: sì alla festa in piazza, ma con presidio adeguato. E nessuna paura a dire che molti giovani  di Milano, soprattutto “stranieri”, la notte di Capodanno si sono comportati davvero da schifo. “Niente botti”, aveva ordinato il sindaco. E invece a Milano non si è mai sparato tanto. Il senso è stato anche quello di una sfida, e si deve prenderne atto.

L’anno prossimo, per favore, tolleranza zero.

 

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