Armine Harutyunyan, modella di Gucci, non è bella. E dire che non è bella non è bodyshaming. Attente al business, e al pensiero unico queer
Mi costringo a scriverne, obtorto collo e in ritardo. Parlo della disastrosa videointervista ad Alessandra Moretti, d’ora in avanti e per sempre LadyLike, candidata a competere con Luca Zaia, che è osso ben duro, per il governo di Regione Veneto. Che sarà pure “scalabile”, come lei dice in gergo leopoldesco, ma certo non in questo modo: elettrici irritate, elettori eccitati nella loro misoginia più crassa, cosa che, mi permetto di dire, fa male a tutte.
Già c’è un bel po’ di roba da far digerire: le giravolte da Bersani via Cuperlo fino a Renzi, e troppe poltrone in pochi mesi, Camera, Europarlamento, Regione Veneto: e “la gente mica è scema, capisce”, come dice lei. Esatto. E ora l’estetista settimanale, le meches e i peli: non esattamente quello che serve per farsi votare dai veneti incazzati.
Moretti non può essere definita una simpatica naturale: algida, supponente, ragazza perfetta. Forse, dicendo peli ai peli, pensava a un’operazione friendly. Ma non basta, come si è visto, diventare renziane per acquisire l’astuzia comunicativa del capo: la trappola tesa dai giornalisti era evidente, e lei ci è cascata in pieno, con meches e tutto il resto (non voglio nemmeno pensare che si sia trattato di una strategia di comunicazione, a meno che i consulenti fossero gli spin doctor di Zaia).
Ma quello che avvilisce, al netto dell’insopportabile riferimento a Rosi Bindi –ancora???-, è il misunderstanding sul femminile in politica. “Io non voglio acquisire lo stile maschile di fare politica” dice Moretti a un certo punto dell’intervista. “Voglio avere il mio stile, femminile”. Qui si accende la speranza. Subito tradita: “La cura di me stessa, la voglia di essere sempre a posto…”. In verità tutti quanti, da Obama a Razzi, un’occhiatina allo specchio prima di uscire se la danno. Come ha ricordato Massimo Cacciari, “lo diceva anche Platone che bisogna tenere all’aspetto esteriore”.
Il “femminile in politica” è ben altro. E’, per esempio, non ricorrere a quel gergo da ad di provincia (il Veneto “scalabile”). E’ non lisciare il pelo ai cacciatori asserendo che “La caccia tiene in vita il territorio” per assicurarsi i voti della lobby: troppo femminile la caccia non è mai stata. E’ l’etica della cura (non di se stessa, ma del mondo) e della responsabilità. E’ un’idea di bellezza che poco ha a che vedere con la manicure. E’ non permettere che la propria grazia fisica venga usata dalla politica maschile come specchietto per le allodole. E’ trovare ben altri fondamenti per la propria autorità, e saperla esercitare con fermezza materna. E’ relazione con le altre. E’ provare a cambiare le priorità dell’agenda politica: primum vivere. E’ faticosamente rompere con la logica delle correnti, e non navigarle tutte. E’ la definitiva fuoruscita dall’anti-estetica televisiva berlusconiana, quanto di meno femminile ci sia sulla faccia della terra. E’ la minima eleganza di non autodefinirsi bella, brava, intelligente, capocannoniera e cicciobombardona: “Nella Nazionale mandi i migliori “(cioè lei, ndr. sob…). E’ rifiutarsi cortesemente di rispondere a domande tendenziose dei giornalisti (che pure, mossi a pietà, a un certo punto avvertono: “Su questa cosa la massacreranno sui social…”), dicendo che certi temi sono inessenziali a fronte dei problemi del Paese. In particolare se sai che il sospetto generale è che tu sia lì solo perché sei carina, e non per altro. La bellezza che serve è quella di un pensiero luminosamente differente contro l’eccesso di maschile nella nostra politica, non la licenza di un antibindiano tacco 12.
Anche solo tatticamente: non è una furbata parlare di “estetista una volta la settimana” in un momento di difficoltà così grandi e di rabbia sociale trattenuta a stento, quando la gente, altro che estetista, fatica a garantirsi il panettiere. Perché dovrebbero fidarsi di te se tu sei così lontana dai loro problemi e dai loro drammi, se ostenti di vivere spensieratamente in quel detestato mondo parallelo dove il colore dello smalto e la crema idratante diventano temi di cui occuparsi? Dov’è l’intelligenza politica, si chiedono in molte e in molti, e se qui manca così clamorosamente, perché dovrebbe essercene per governare il Veneto?
Altro che capocannoniera chiamata in Nazionale: quell’intervista “ladylike” è un clamoroso autogoal, e potrebbe costare cara.
Questa di cui vedete uno scorcio è la Chiesa Rupestre di Pizzo Calabro, scavata nel tufo, affacciata su una piccola baia turchese. Pochissimi la conoscono: varrebbe un viaggio da Oltreoceano. Ci penso continuamente da quando mi ci hanno portata. Pensiero che è fonte di energia e di gioia.
Dappertutto nel nostro Paese, a pochi passi dalle nostre case, abbiamo bellezza e bontà. Mi sono chiesta com’è che è capitato proprio da noi. Com’è avvenuto che un terzo di tutte le bellezze artistiche del pianeta siano state edificate sulla nostra penisola.
Credo che sia andata così: che le bellezze naturali erano tali e tante, così varie e sovrabbondanti, che chiunque sia nato in mezzo a tanto splendore o si sia trovato a passare di qui ha provato a emularle e a gareggiare invidiosamente, arrivando spesso a sfiorare il sublime.
Se noi perdiamo il senso della bellezza, se, per esempio, e come in gran parte è accaduto, ci affidiamo alla misura unica del denaro, perdiamo tutto. Ma se lo riguadagnamo, e siamo in tempo per farlo, ricominceremo a primeggiare.
Qualunque cosa facciamo, di qualunque cosa ci occupiamo, e lo dico in particolare alle amiche e agli amici del Sud, con tutta la sua magia, aggrappiamoci alla bellezza, contempliamola, fidiamoci dell’istinto che ne abbiamo, produciamola, offriamone al mondo.
Nutriamo il pianeta!
Questo è il mio augurio -e il mio manifesto politico- per il 2014.
p.s. Si chiama proprio “La Grande Bellezza” il film di Paolo Sorrentino che sta conquistando le platee di tutto il mondo. E’ un segno, ed è un auspicio. Jep Gambardella torna alle sue radici e si aggrappa alla bellezza per rinascere. E’ quello che dobbiamo fare tutti.
“Scuorno!”, direbbero a Napoli, che sta lì giusto a pochi chilometri da Pompei. Sento personalmente la vergogna e l’umiliazione per la reprimenda in qualche modo provvidenziale dell’Unesco (leggere qui) che ci intima di trovare soluzioni entro la fine dell’anno allo stato di abbandono di quello stupefacente sito. Un richiamo fortemente simbolico, al quale ci dovremmo aggrappare come a una zattera di salvataggio.
Qualche settimana fa raccontavo della chiesa rupestre di Piedigrotta a Pizzo Calabro, gioiello seicentesco di arte votiva affacciato su una piccola baia dalle acque turchesi, edificata a celebrare il miracolo di un naufragio scampato. Scavata nel tufo dorato, la navata centrale dai soffitti affrescati, le cappelle laterali, le statue che la popolano fittamente come stalagmiti dalle sembianze umane, scolpite da Angelo Barone e poi dal figlio e dal nipote. Ebbene, durante la visita avrei potuto portarmi via quello che volevo: un frammento di affresco, un pezzo di statua o una intera, il tufo è leggero. O farmi prendere da un acting out iconoclasta. Il custode-bigliettaio non c’era. Se ne stava tranquillamente al bar, un centinaio di metri sopra.
Poco più a Sud, in una sala del Consiglio Regionale della Calabria, giacciono da tre anni i Bronzi di Riace, sdraiati su catafalchi come malati terminali, malamente esposti insieme ad altri preziosissimi reperti restituiti dal mare e dal tempo. A quanto pare non hanno una sala dove rimetterli in piedi. Vorrei rapirli di notte e metterli in mostra a casa mia. E chissà quante altre meraviglie ignorate, tra Pizzo e Reggio, e nel resto della Penisola, quante cantine e quante soffitte piene di tesori accatastati.
Io non me lo dimentico, no, il progetto scellerato di una discarica contigua a Villa Adriana (era appena ieri, governo Monti: salvati giusto in tempo dall’indignazione del mondo). E il fatto che gli investimenti per la cultura sono calati dal 39% al 19% del Pil nel giro di una decina d’anni.
Stiamo andando rovinosamente contromano. Le rose sono il nostro pane. La bellezza e la qualità per noi sono tutto, sono il lavoro, il nostro new deal, il futuro, la felicità, la salvezza. Siamo il super-brand. Siamo il posto del mondo in cui tutti vorrebbero vivere, anche a costo di doversela vedere come capita ogni giorno a noi con la corruzione, il gigantismo burocratico, la non-certezza del diritto, il costo folle dell’energia etc. etc. E tutti quegli osservatori internazionali che continuano a ripeterlo: è la bellezza che potrebbe fare dell’Italia la prima economia in Europa.
Sepolti a Pompei ci siamo noi, soffocati dalla lava della cattiva politica. Quei Bronzi ammalati e legati al catafalco siamo noi. Dalla politica non aspettiamoci niente. La politica, come sempre, arriverà per ultima e di malavoglia. La politica, destra e sinistra -il partito trasversale del cemento- il nostro territorio, le nostre bellezze, li hanno solo sfruttati, sfregiati e devastati per farci affari. La cosa importante è che lo diciamo a noi stessi e ai nostri figli, e che ce ne convinciamo profondamente, fino a trasformarci, e a cambiare il nostro sguardo e i nostri gesti: la bellezza salverà quel pezzetto di mondo che siamo.
E’ questo il compito che ci è stato assegnato: testimoni del qualis contro la logica rovinosa del quantum.
E’ questa la lotta che c’è da fare. Non perdiamo altro tempo.
Il corpo nudo della donna è così bello. E’ la madre in cui siamo nati, è il giardino a cui tutt*, donne e uomini, vogliamo tornare.
Il profumo del seno, il tepore del grembo, la dolcezza della bocca.
Il corpo nudo bello e buono della ragazza che ci ha partorit* e nutrit*, ritratto ossessivamente dall’arte, fin dalle Dee madri e dalle Veneri primitive.
Quel corpo che le donne ritroveranno nel proprio, e gli uomini cercheranno e ricercheranno con struggimento.
Il senso di morte del corpo sacro esposto per alzare l’audience, per fare aumentare i fatturati, per fare crescere il desiderio e riempirlo di cose, automobili, schiume da barba. Ridotto a merce fra le merci, mortificato e depotenziato.
E’ la cosa più blasfema che si possa immaginare.
Altro che moralismo e bigottismo. Si dovrebbe avere paura dell’inferno.
(hey però, guardate qui -e fino alla fine, dura un minuto e mezzo-: sentite cosa dice questo giovane rapper!)
Libertà di una donna è anche quella festosa raggiera ai lati degli occhi sorridenti di Meryl Streep (“…Oh my God!”) premiata come migliore attrice alla notte degli Oscar. Una splendida sessantenne che non ha rinunciato all’espressività del suo viso, parte fondamentale del suo talento d’attrice, tenendosi alla larga dall’orribile botulino.
“Botulin-free” –ci cascano ancora in troppe, alimentando un business di fantastiliardi e rischiando la salute: il botulino è una tossina potentissima- è la bellezza femminile autentica, fatta di luce, di armonia e delle giuste cure.
Antonino Di Pietro, dermatologo e fondatore di Isplad, società internazionale di Dermatologia Plastico-estetica e Oncologica, conduce da anni la sua battaglia fin troppo solitaria per la bellezza e contro quel veleno.
E ha scritto un libro “Botulin Free” (Sperling & Kupfer) -proventi interamente devoluti alla ricerca- in cui spiega i rischi connessi all’uso della tossina, raccontando alcuni casi che dovrebbero farvi passare definitivamente la voglia di provarci, per intraprendere altre strade, più sicure e più efficaci.
Lo presenta domani sera, 29 febbraio, a Milano, Palazzo Visconti, via Cino del Duca 8, ore 18, con l’aiuto di Daria Bignardi, Victoria Cabello e Isabella Ferrari.
E vi aspetta tutte.
In tempi di crisi, gli italiani riscoprono il valore della responsabilità collettiva: il 57,3% è disponibile a fare sacrifici per l’interesse generale del Paese. Anche se il 46% di questi lo farebbe solo in casi eccezionali.
Risulta da un’indagine del Censis contenuta nel Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2011. Secondo il rapporto, il 65,4% indica la famiglia come elemento che accomuna gli italiani, mentre l’81% condanna duramente l’evasione fiscale. A fronte poi di un 46% di cittadini che si dichiara «italiano», c’è un 31,3% di «localisti» che si riconoscono nei Comuni, nelle regioni o nelle aree territoriali di appartenenza, un 15,4% di «cittadini del mondo» che si identificano nell’Europa o nel globale e un 7,3% di «solipsisti» che si riconoscono solo in se stessi.
Ancora oggi i pilastri del nostro stare insieme fanno perno sul senso della famiglia, indicata dal 65,4% come elemento che accomuna gli italiani. Seguono il gusto per la qualità della vita (25%), la tradizione religiosa (21,5%), l’amore per il bello (20%).
Cosa dovrebbe essere messo subito al centro dell’attenzione collettiva per costruire un’Italia più forte? Per più del 50% la riduzione delle diseguaglianze economiche. Moralità e onestà (55,5%) e rispetto per gli altri (53,5%) sono i valori guida indicati dalla maggioranza degli italiani.
Emerge poi la stanchezza per le tante furbizie e violazioni delle regole. L’81% condanna duramente l’evasione fiscale: il 43% la reputa moralmente inaccettabile perchè le tasse vanno pagate tutte e per intero, per il 38% chi non le paga arreca un danno ai cittadini onesti.
Infine, il Censis sottolinea come il modello di sviluppo italiano abbia sempre trovato nella famiglia un punto di grande forza e la famiglia si sia sempre fatta carico dei bisogni sociali, andando a integrare se non a sostituire le prestazioni di welfare. Ma questo modello, avverte, comincia a mostrare segni di debolezza: se è vero che in proporzione al Pil la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane rimane una delle più rilevanti in Europa, in valore assoluto si è assistito a una erosione significativa di questo patrimonio tra il 2006 e il 2009, il cui ammontare è passato da 3.042 miliardi di euro a 2.722 miliardi. Inoltre, dal punto di vista della capacità di assistenza informale delle famiglie, il numero dei potenziali caregiver (persone che si prendono cura dei familiari) andrà riducendosi in modo netto: se nel 2010 c’erano 18,5 persone autosufficienti in età compresa tra 50 e 79 anni (fascia d’età nella quale rientra la gran parte dei caregiver) per ogni ultraottantenne non autosufficiente, entro il 2040 questa proporzione è destinata a dimezzarsi, scendendo a 9,2 caregiver per ogni anziano potenzialmente bisognoso di assistenza.
La crisi economica in Italia ha colpito in particolar modo i giovani. Lo sottolinea il Censis riferendo: «La crisi si è abbattuta come una scure su questo universo: tra il 2007 e il 2010 il numero degli occupati è diminuito di 980.000 unità e tra i soli italiani le perdite sono state pari a oltre 1.160.000 occupati». «Investita in pieno dalla crisi, ma non esente da responsabilità proprie, la generazione degli under 30 – si legge nel Rapporto Censis – sembra incapace di trovare dentro di sè la forza di reagire. La percentuale di giovani che decidono di restare al di fuori sia del mondo del lavoro che di quello della formazione è in Italia notevolmente più alta rispetto alla media europea: se da noi l’11,2% dei giovani di età compresa tra 15 e 24 anni, e addirittura il 16,7% di quelli tra 25 e 29 anni, non è interessato a lavorare o studiare, la media dei 27 Paesi dell’Ue è pari rispettivamente al 3,4% e all’8,5%. Di contro, risulta da noi decisamente più bassa la percentuale di quanti lavorano, pari al 20,5% tra i 15-24enni (la media Ue è del 34,1%) e al 58,8% tra i 25-29enni (la media Ue è del 72,2%)». Nonostante l’occupazione resti al palo, «non si registra l’emergere di atteggiamenti più intraprendenti». Per esempio gli italiani sono in assoluto i meno propensi, tra i giovani europei, a lavorare in un altro Paese europeo: si dichiara desideroso o disposto a farlo solo il 40,9% degli intervistati. Inoltre i giovani, che dovrebbero rappresentare il segmento più avvantaggiato da una maggiore liberalizzazione dei licenziamenti, «già oggi – rileva ancora il Censis – sono quelli su cui più grava il costo della mobilità in uscita». Nel 2010, su 100 licenziamenti che hanno determinato una condizione di inoccupazione, 38 hanno riguardato giovani con meno di 35 anni e 30 persone con età compresa tra 35 e 44 anni. Solo in 32 casi si è trattato di persone con 45 anni di età o più.
Una società «fragile, isolata ed eterodiretta», con una dialettica politica «prigioniera del primato dei poteri finanziari»: così ci vede il Censis, nel suo 45/mo Rapporto sulla situazione sociale del Paese. I nostri antichi punti di forza non riescono più a funzionare, dice l’istituto, che avverte: è «illusorio» pensare che i poteri finanziari disegnino sviluppo, perchè lo sviluppo «si fa con energie, mobilitazioni, convergenze collettive». È quella dunque, secondo il Censis, la direzione da seguire.
«Mentre l’occupazione ufficiale stenta a dare segnali di ripresa, quella sommersa sembra al contrario dare prova di tenuta e trarre semmai un nuovo stimolo di crescita dal difficile momento». Lo evidenzia il Censis. A partire dal 2008, a fronte di un calo generalizzato dell’occupazione regolare (-4,1%), quella informale aumenta dello 0,6%, portando il livello di irregolarità del lavoro nel 2010 alla soglia del 12,3% e lasciandosi alle spalle i positivi risultati di un decennio.
«I cittadini e le imprese si trovano a fare i conti con un sistema dei servizi che mostra evidenti segnali di criticità»: lo sottolinea il Censis nel 45/o Rapporto sulla situazione del Paese spiegando che «la politica di riduzione della spesa pubblica che ha contrassegnato gli ultimi 3 anni, e che segnerà anche il biennio 2012-13, realizzata in molti casi attraverso tagli lineari, sta lasciando il segno». In particolare il trasporto pubblico locale, già «inadeguato» è stato «drasticamente ridimensionato».
La crisi economica degli ultimi anni ha ridotto il reddito disponibile delle famiglie e ha provocato conseguentemente una «caduta della propensione al risparmio» anche «a causa dell’irrigidimento» di alcuni consumi. In questo contesto la riduzione della quota di risparmi sembra però non avere colpito gli investimenti fissi, come le abitazioni. È quanto emerge dal 45/o Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese del Censis. In 10 anni risulta inoltre raddoppiato il valore delle abitazioni.
«In un quadro economico stagnante, le esportazioni sono una delle poche variabili in crescita: +15% nel 2010 e +16% nel primo semestre del 2011»: lo riferisce il Censis nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese sottolineando che «molti comparti del made in Italy possono fungere da puntello attraverso cui evitare un ulteriore scivolamento dell’economia nazionale». Per il Censis il commercio estero «può e deve rappresentare il volano della ripresa».
La tv resta il mezzo più diffuso del panorama mediatico italiano (lo usa il 97,4% della popolazione), ma al suo interno è avvenuto un «ampio rimescolamento» dovuto all’arrivo del segnale digitale terrestre. Lo evidenzia il 45/o Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del paese. E se l’ascolto della radio resta stabile, a confermarsi è il «periodo di grave crisi» della carta stampata. I quotidiani a pagamento perdono il 7% dei lettori nel periodo 2009/2011, cresce poco la free press, resistono i settimanali, tengono i libri, mentre non decollano gli ebook. Ed è l‘utenza del web ad aumentare: nel 2011 ha superato la fatidica soglia del 50% della popolazione arrivando al 53,1%: l’87,4% tra i giovani, il 15,1% tra gli anziani. Con una particolarità: l’affermazione progressiva di percorsi «individuali dei contenuti e l’acquisizione delle informazioni da parte dei singoli».
Non sono Mario Monti, o Prodi, non sono Mario Draghi e nemmeno Rosy Bindi. Sono niente di niente, solo una donna che si dà la libertà di pensare e di comunicare quello che ha pensato, e a cui interessa più la nostra casa comune che la sua propria. E che ha bisogno di capire di che cosa stiamo parlando quando parliamo di economia, che cosa si intende per crescita, ad esempio, e per sviluppo. Una che, come quasi tutti -salvo quei pochi che della confusione si giovano e speculano, facendo ballare il resto del mondo-, vorrebbe sapere da che parte spingere per andare incontro al meglio, per noi e soprattutto per i nostri ragazzi.
E allora quando penso al nostro paese, penso due cose: che ce la faremo, ce l’abbiamo sempre fatta, purché cresca il numero di donne e uomini di buona volontà che impegnino le loro energie e il loro desiderio in questa direzione; e che si deve accettare il nuovo che arriva, nel suo bene e nel suo male, e aprirgli la strada. Mi immagino un paese, è quello in cui vorrei vivere, in cui penso che convenga vivere, e provo a raccontarvelo. Se tu sai quello che vuoi, se lo vedi, se lo pratichi, è come se lo mettessi già al mondo -la mia diletta Mary Daly parlava di “campi morfogenetici” ingenerati dal desiderio-.
Io la vedo così: un paese che ha come risorsa non il petrolio, non l’oro, ma il bene della bellezza in tutte le sue forme. Un piccolo paese a cui la Provvidenza, se ci credete, ha dato il compito di testimoniare il qualis, più che il quantum. E’ questo che ci viene bene, è questo che il resto del mondo viene a cercare qui, senza dubbio: la bellezza naturale e artistica nella sua stupefacente varietà, la capacità di trasformare la materia in bellezza, il piacere, la dolcezza di vita che ne viene.
Di questo potremmo avere il privilegio di vivere. Di bellezza, di wellness. E’ in questa risorsa che dovremmo investire. E’ a questo, in tutte le sue declinazioni, che dovremmo preparare le ragazze e i ragazzi. A valorizzare, a produrre, ad amministrare bellezza in tutte le sue declinazioni. Agevolando in ogni modo l’apprendistato delle nostre belle arti. Favorendo e sostenendo la libera impresa in tutti i settori che hanno a che vedere con questa risorsa, dal turismo alle attività culturali, all’agricoltura, all’enogastronomia, all’artigianato. Creando tutte le infrastrutture necessarie. Finanziando ricerca, anche biomedica, che abbia a che vedere con la sana alimentazione, con il buon vivere (per es. nel settore della medicina preventiva e antiaging).
Insomma, ne ho dette solo alcune e in ordine sparso, per capirci. Volendo, qui ci sarebbe l’embrione di un programma di sviluppo. Ma finché le dico solo io… Sarebbe bello che la politica della rappresentanza -o politica seconda-, con la più ampia convergenza, assumesse se non proprio questa visione, che mi convince molto, quanto meno UNA visione, facendone il goal del lavoro di ricostruzione che ci tocca, come ci toccò dopo la guerra, la stella polare di quel “retto vivere” invocato dalla Chiesa, esortazione a cui tutti dobbiamo corrispondere, a cominciare naturalmente da chi si è assunto le più onerose responsabilità pubbliche e che la retta via l’ha del tutto smarrita.
Temo che per tutto questo servirà un rinnovamento radicale -non parlo solo di alternanza politica, oggi sarebbe troppo poco– una nuova classe di amministratrici e amministratori, capaci di assumere una visione -io la mia modestamente l’ho presentata qui- di renderla chiara a tutti, il che sarebbe già un grande passo, e di agevolare la sua materializzazione.
E credo che Expo 2015, evento sul quale vi invito a porre la massima attenzione, potrebbe costituire il laboratorio del nostro Paese nuovo.
Ci svegliamo in una città nuova, stamattina, nata ieri sera in una festa meravigliosa a cui avrei voluto davvero invitarvi tutti. Ma è anche la città che conosco, è la città di quando ero bambina, e che mi mancava tanto. L’ho riconosciuta. Una città a cui la provvidenza ha dato il compito di moltiplicare i doni (laurà), di accogliere, meticcia continua, di correre con frenetica e stralunata allegria, di non dormire mai.
Sono così stravolta, stamattina, ma voglio dire in due parole quel che è stata, questa lotta.
Senza soldi: abbiamo avuto la prova che il desiderio può davvero tutto, e si fa beffe di quell’illusione che è il denaro. Nemmeno un centesimo dell’investimento dell’avversario, ed è bastato.
Senza odio: una piccola (piccola?) rivoluzione che, come ho già detto, ha fatto a meno della violenza, e si è fatta bastare l’ironia. Non c’è stato bisogno del sangue di nessuno.
Con i ragazzi: tantissimi, che hanno lavorato indefessamente, nativi digitali, che hanno convinto i più vecchi a stare in rete. Miti, la lezione del non odio ci è venuta soprattutto da loro. Ecco il tesoro che questa generazione silenziosa e gentile nascondeva, e ci ha offerto! E noi a loro, in cambio, abbiamo dimostrato che si può fare, che non ci si deve rassegnare perché le cose possono cambiare. Glielo dovevamo. Adesso è finalmente bello avere vent’anni.
Con le donne: che hanno dato una prima prova della forza del desiderio, capace di riempire le piazze del paese come vi ho detto, appunto. Senza organizzazione, senza soldi, senza potere. La prova generale di tutto questo l’hanno fatta loro.
Con la rete: senza il web tutto questo non sarebbe stato nemmeno lontanamente immaginabile.
Con la bellezza: lo vedete dalle immagini che trovate online. La bellezza, la luce, l’arancio radioso ci hanno nutrito e incoraggiato.
Con gratitudine: noi grati a Giuliano Pisapia, e anche a Stefano Boeri, a Valerio Onida e a Michele Sacerdoti, che si sono offerti generosamente come guide, e loro grati a noi. Ieri sera Giuliano Pisapia nel suo discorso “obamiano” ha detto “Sono il vostro sindaco. Sono il mio sindaco”. E ha ribadito: “Non lasciatemi solo. Ho bisogno di voi!”. Tutti abbiamo bisogno di tutti. Da soli non siamo nulla. La politica oggi si fonda su questo reciproco bisogno, è questo che potrà cambiarla.
La mia mamma: che ieri mi ha detto con quella semplicità abbagliante, quella vicinanza alla luce dei vecchi: “Il bene ce la fa sempre, hai visto. Ma ades gh’è de laurà, c’è da lavorare” . Ecco, tanto per cambiare!
Non avendo altri problemi da risolvere il ministro della Difesa Ignazio La Russa –uomo notoriamente bellissimo– durante una cena elettorale del Pdl a Milano a sostegno della ricandidatura di Letizia Moratti -altra vera bellezza– ha detto che nessuna eletta nel centrodestra è brutta quanto quelle del centrosinistra.
Ecco uno stralcio del luminoso discorso: “Dicono che Berlusconi fa eleggere solo le donne belle. Non è vero, ci sono alcune elette non belle anche da noi, ma certo non raggiungono l’apice della sinistra, di donne di cui non faccio il nome”. L’aveva già detto il coordinatore lombardo del Pdl, Mario Mantovani che, sempre ad una cena elettorale aveva nominato Rosy Bindi e Paola Concia (non a caso, due donne che per ragioni diverse non mettono gli uomini al centro della loro vita).
Come sempre, silenzio da parte delle donne del Pdl, e la ministra Carfagna non fa un plissé.
Non si tratta di semplice scostumatezza e di pochezza di argomenti, ma di vera strategia comunicativa. Messaggio: elettrice, se voti il centrosinistra vuole dire che anche tu fai parte della schiera delle cesse, perché quelle belle e quindi di successo stanno dalla nostra parte.
In quest’ultimo scorcio di campagna elettorale -e ancora di più, come pare ormai assodato per Milano, se si andrà al ballottaggio- la linea propagandistica del centrodestra sarà “back to basic”: soldi, sesso, paura, zona Cetto Laqualunque. Dagli al clandestino, tasse quasi a zero -mentre il centrosinistra vuole addirittura reintrodurre l’Ici prima casa!-, solo bonazze -e perché non, suggerisco, interventi estetici gratis?-, e qualche killer application dell’ultimo minuto, serie: tutti a Sharm a nostre spese.
Ma il Palasharp semivuoto di ieri, nonostante le barzellette del premier e il pregevole show di dancing Letizia, deve avergli fatto tremare le vene dei polsi.
Teniamoci pronti, perché da un certo punto in poi le battutacce e il populismo potrebbero non bastargli più.