Dunque: Berlusconi non vuole Gabriele Albertini, ma per la presidenza di regione Lombardia indica Bobo Maroni, e secondo me ha molte ragioni. Per il futuro nazionale ma anche per presente lombardo: l’ex ministro degli Interni ha entusiasmato i gazebo leghisti, può catalizzare un processo di rifondazione popolare del centrodestra che né Albertini né Maurizio Lupi avrebbero la forza di condurre.

Nell’altro schieramento Umberto Ambrosoli, rifiutando la candidatura dopo attenta e responsabile riflessione, ha rimesso la palla al centro. Nella sua intervista a “Repubblica”, che paradossalmente è un vero manifesto politico, dice molte cose condivisibili: in particolare là dove sostiene di non voler essere, in quanto figlio dell’eroe borghese, “la figurina perfetta” -anche questo, dei figli e delle mogli dei martiri, può costituire una forma di familismo amorale, e Ambrosoli fa benissimo a prendere le distanze- e che non si deve “delegare nulla al salvatore di turno, indicando la necessità che il candidato si presenti da subito con la sua squadra, facce, nomi e cognomi.

Di solito non va così. Di solito chi vince poi fa i conti con i suoi alleati, e distribuisce gli incarichi secondo complesse logiche spartitorie che spesso prescindono del tutto dalla competenza, a danno dei governati.Visto un sacco di volte.

A me invece, da elettrice, piacerebbe sapere prima quale assessore alla sanità, alla cultura o al bilancio mi ritroverò, se scelgo quel candidato, e non dover ingoiare bocconi amari ex-post, come è capitato più volte. E mi piacerebbe poter vedere definitivamente smantellata, almeno a centrosinistra, la retorica insopportabile dell'”uomo forte”, del “salvatore”, come lo chiama Ambrosoli, a tutto vantaggio della rete e della squadra, in chiave leadershit.

C’è però una cosa, tra quelle che dice Ambrosoli, che non mi convince per niente: e cioè che “l’iniziativa non deve scattare dai partiti“. I partiti sono sì delle bestie tremende, da controllare a vista, ma la società civile può essere la notte in cui tutte le vacche sono nere. In nome di una non meglio identficata società civile si sono già viste condurre operazioni ben peggio che partitocratiche, o addirittura autocratiche: l’uomo solo, per l’appunto, che decide senza contrappesi.

I finti “non-partiti” spesso adottano le logiche dei partiti, peggiorandole.

 

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