Il prossimo 26 novembre a Roma ci sarà una grande -speriamo grandissima- manifestazione contro la violenza alle donne, Non Una di Meno, indetta dalla rete D.iRE, dall’UDI e da Io Decido. Alla manifestazione ha aderito una miriade di associazioni e di sigle da ogni parte del Paese. Come sempre quando si è in tante, il percorso di costruzione è stato ricco, tumultuoso e accidentato. Ma una cosa è certa, anzi due: anche se disgraziatamente la data è a ridosso del voto del 4 dicembre, il tema divisivo del referendum con relativi sì e no è escluso dai contenuti della manifestazione, così come i simboli di partito. La seconda cosa è che gli uomini che intendano partecipare alla manifestazione dovranno stare in coda al corteo. 

Anche se questa decisione non fosse stata presa formalmente, per molte donne la presenza degli uomini costituirebbe un ostacolo alla loro stessa partecipazione, ragione sufficiente per accettare di accomodarsi in coda.

Dice per esempio M.G., che si definisce “sopravvissuta alla violenza maschile“: “Quello che mi chiedo come sopravvissuta alla violenza maschile e come attivista che lavora in un gruppo dove ci sono sopravvissute alla prostituzione com’è possibile che una manifestazione femminista non garantisca uno spazio sicuro per le donne? Perché non possono le donne femministe sopravvissute manifestare senza essere zittite, imbavagliate dagli uomini? Che a quanto pare dettano l’agenda politica!Nelle manifestazioni dove ho partecipato io c’erano donne che subivano violenza dai mariti e compagni che venivano in manifestazione e ovviamente il separatismo serve anche a proteggere, a garantire protezione a queste donne. Non a caso il corteo era scortato dalla polizia in coda proprio per motivi di sicurezza. Molte ragazze come me avevano cartelli con frasi pronunciate dai loro stupratori (che di solito sono persone di famiglia mariti, compagni, amici) che garanzia hanno le persone come me in un corteo misto?“. 

Basterebbe la sola richiesta di M.G. a chiudere il dibattito. Che invece il dibattito sui social è furioso (tanto per cambiare). Uomini che non accettano il posizionamento in coda, che rivendicano una posizione centrale per il loro proprio femminismo e per il loro stare “dalla parte delle donne”.

Qualche esempio. C.N.: “Sono francamente sconcertato da questo integralismo femminista che non fa certo onore alle donne e spero che qualcuno si pronunci contro questa affermazione antidemocratica e anticostituzionale e offensiva Non e’ che si sta facendo strada un fascismo femminista?“.

D.C., paternalista: “Rileggendo i toni di questo lungo dibattito mi pare evidente quanti pochi passi avanti si sono fatti nel movimento nonostante l’ impegno profuso dalle donne e da una parte degli uomini”. Leggi: voi femministe siete rimaste indietro rispetto a noi femministi.

G.C.: “In pratica io che mi batto ogni giorno per le questioni di genere e che sono femminista non devo partecipare al corteo? me lo “chiedi” tu, perchè è richiesto dagli organizzatori (al maschile, ndr), da chi?”. C’è anche chi propone la lotta contro il femminismo per dare avvio all’era del femminilismo (che non esclude gli uomini).

Insomma: stare al centro per forza, contro la violenza. 

A parte la questione dirimente del queer politics e della decostruzione dei sessi, su cui rinvio ad altri post, in queste discussioni si vede molto bene l’incapacità maschile di tollerare non dico l’esclusione tout court, ma perfino il doversi posizionare in coda o a latere. Perdere il privilegio della posizione centrale, anche solo per le poche ore di un corteo, scatena dal minimo dell’indignazione fino a un risentimento che sconfina nella prepotenza.

Non dimenticherò mai, in un luogo femminista, il gallismo di un giovane uomo ammesso in forza delle sue buone relazioni con le donne: piazzato comodamente in prima fila, pretendeva di governare il dibattito, stabilendo l’ordine degli interventi e la priorità delle questioni. E la sua reazione rabbiosa e piagnucolante, quando una lo mise, come si dice, “a posto”. O le molte volte, sempre in occasioni pubbliche di donne, del maschio che interviene a “fare ordine”, dispensando consigli paternalistici, del genere “dovreste fare questo”, “sbagliate a fare quest’altro”.

Del separatismo si pensi ciò che si vuole: io dico che è stato indispensabile, e almeno in alcune circostanze lo è ancora, perchè una donna possa dis-alienarsi, radicarsi nella propria differenza e, nel caso della violenza, attivare con il sostegno di altre le risorse interiori indispensabili per uscirne.

Ma qui vorrei dire altro: che quegli uomini “dalla parte delle donne” dovrebbero attentamente riflettere sulle loro spropositate reazioni di fronte al sentimento di essere esclusi, dolorosamente simili alle reazioni di quegli uomini che esclusi e abbandonati dalla loro compagna, manifestano il terrore che provano nella forma della violenza, fino al punto di uccidere.

Se davvero stanno “dalla parte delle donne” qui c’è un ottimo spunto per ragionare ed auto-analizzarsi.

p.s.: c’è un’altra ragione per la quale sarebbe necessario che gli uomini si posizionassero in coda al corteo, ed è una ragione di sicurezza. A pochi giorni dal 4 dicembre non si può del tutto escludere che a qualche “antagonista” venga la bizzarra idea di approfittare dell’occasione per scatenare casini. E quelli che animano queste performance, che piaccia o meno, sono quasi sempre uomini.

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