Anch’io sto con te, cara Caterina, ragazza coraggiosa che lotti contro la tua complessa malattia, e dici che senza sperimentazione sugli animali te ne saresti andata da bambina. E trovo ributtanti e inumani gli attacchi e gli auguri di morte che hai ricevuto sulla tua pagina Facebook: chi si batte a favore del cruelty-free non può essere tanto crudele nei confronti dei propri simili. La non violenza non è un abito che si mette e si smette a piacimento.
Però sbagli a definire “nazi-animalisti” i tuoi detrattori: si tratta di semplici professionisti dell’ hate-speech, odiatori di cui il web è pieno, e che colgono qualunque occasione, specie quando si discute di temi sensibili, per provare a sentirsi meglio scaricando la propria rabbia su qualunque bersaglio mobile (tecnica fallace: una volta che l’hai fatto, sei ancora più rabbioso, in un circolo che si autoalimenta).
Lasciamo perdere l’animalismo, quindi. Qui siamo su tutt’altro piano. E il rischio è che in seguito a questa brutta storia, “animalista” diventi sinonimo di disumano. Tipo quei gerarchi che nei campi di sterminio affamavano bambini ma garantivano carni scelte ai propri cani.
La gran parte dei ricercatori sostiene di non poter rinunciare alla sperimentazione su animali. Va tuttavia registrata anche l’opinione non meno qualificata di chi ritiene che questi test siano sostanzialmente inutili: come la biologa Susanna Penco, ricercatrice presso il dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università di Genova, malata di sclerosi multipla da vent’anni e convinta “che sia proprio la sperimentazione animale ad allontanare le soluzioni e quindi la guarigione per i malati”. Il futuro, afferma, è “la medicina personalizzata, che sfrutta le differenze genetiche interindividuali per capire il funzionamento delle malattie umane”.
La cosa importante, Caterina -e su questo siamo certamente d’accordo- che si colga ogni occasione per diminuire la sofferenza di ogni vivente. Che non si trascuri la ricerca costante di possibili alternative ai test su animali, che non si abbandonino i tentativi di trovare soluzioni diverse e altrettanto efficaci: secondo alcuni, come vedi, perfino più efficaci. La cosa importante è che non cada questa tensione a ridurre il danno per il maggior numero.
Esserci intesi come titolari, in quanto umani, di maggiori diritti (avere anzi inventato la nozione di “diritto”, e con ciò anche quella di esclusi dai diritti), ci carica di grandi responsabilità nei confronti delle creature piccole, umane, animali e vegetali che abbiamo collocato ai gradi più bassi della piramide gerarchica.
Forse siamo pronti per cominciare a ripensarci, noi stessi e il resto del mondo, “in rete” e non più in chiave di gerarchia e di dominio. La strada è questa, per quasi tutto.
Ti abbraccio Caterina, esci presto dall’ospedale, per un 2014 più sereno possibile.