Dico da anni che si tratta di “questione maschile“: il dominio degli uomini sulle donne, compreso il dispositivo della violenza per ricondurle “a ragione”, è il baricentro del disordine patriarcale, sistema millenario in agonia – un troppi-uomini che la Terra non sostiene più- che sferra colpi violenti mentre muore. E ci metterà ancora tanto a morire.
Gli attori protagonisti della violenza sono gli uomini e la soluzione deve venire da loro, non dalle loro vittime. Da un percorso di trasformazione -non sarà rapido, e non sarà indolore- che abbia come obiettivo un’idea dell’essere maschi libera dalla coazione al dominio: e che cosa, al posto di?
Mentre osservo la contabilità della strage, 58 femminicidi in Italia da inizio anno, 8.856 casi di violenza e 1.261 di stalking da gennaio 2015, e parliamo solo di quel 10 per cento denunciato (dati Telefono Rosa), ogni 12 minuti una donna uccisa nel mondo dal partner o da un familiare, 5 ogni ora (dati ActionAid), più di mezzo milione di vittime predestinate di qui al 2030, mi domando come mai a fronte dell’orrore di fatti come l’uccisione di Sara, strangolata e bruciata dal suo ex, la violenza sembri accelerare, come in un improvviso vortice di sangue.
Lo chiedo soprattutto agli uomini di buona volontà, perché una si aspetterebbe il contrario: per giorni e giorni si parla di Sara e del suo assassino, il caso viene raccontato e analizzato. Si discute, si ragiona, qualcosa che somiglia a un’autocoscienza collettiva. Tutto farebbe pensare che se un uomo sta covando questo proposito, di fronte alla tragedia che è avvenuta e alla sua beffarda inutilità -lei morta, lui in galera e intorno a loro solo un immenso dolore- possa fermarsi catarticamente a riflettere, rinunciare al suo piano, fermare la sua mano.
E invece capita il contrario, come in un mostruoso contagio: più si uccide, e più si uccide.
Perché si produce questo risultato? Che cosa c’è di sbagliato? C’è qui un indizio di cui dovremmo tenere conto?