andrea gibelli con renzo "trota" bossi

Dunque, l’altra mattina partecipo a un dibattito su La 7, con me in studio da Milano Andrea Gibelli, vicepresidente della Regione Lombardia, il numero due di Formigoni per intenderci.

Dire che l’uomo sia stato affabile non potrei. A un certo punto, per esempio, dichiaro di comprendere le ragioni e l’enorme delusione del popolo leghista, che per ragioni geografiche è anche il mio popolo, anche se un voto alla Lega non lo darei neanche col fucile alla nuca. E lui: “Meno male”. Durante la pausa pubblicità entra un suo assistente. Mi guardano e ridacchiano. Io non faccio un plissé. Ci vuole ben altro. A un certo punto mi trovo costretta a dirgli: “Crede davvero di farmi paura?”. Insomma, non un gran feeling.

Il giorno dopo una redattrice della trasmissione mi informa di un fatto che né io né lei conoscevamo. In effetti mi pare sia stato pubblicato solo dal Fatto quotidiano, non credo di aver visto la notizia altrove: in poche parole, Andrea Gibelli sarebbe accusato dalla moglie di minacce e percosse, ma non avrebbe partecipato a una recente udienza in quanto “irreperibile”. A quanto riferisce la collega Antonella Mascali (vedi l’articolo), l’irreperibilità sarebbe un espediente per allungare i tempi del processo e arrivare alla prescrizione del reato.

Se questo fosse vero:  non so come sia possibile per una persona con alto incarico istituzionale rendersi “irreperibile”. Quelli di La 7 lo hanno trovato, immagino che ogni tanto un giro in Regione lo faccia, e forse se il messo del tribunale va a suonargli il campanello alle 3 di notte prima o poi lo reperisce.

Secondo: se io fossi accusata ingiustamente di un reato così turpe non vedrei l’ora di andare a difendermi, non ci dormirei la notte, NON vorrei che il reato fosse prescritto, pretenderei l’assoluzione piena. Secondo voi è sbagliato aspettarsi che il vicepresidente della Regione Lombardia voglia difendere fino in fondo la propria onorabilità?

Ma la vera notizia è che fra tutti i reati -legati a soldi, affari, eccetera- di cui sono accusati molti rappresentanti in regione Lombardia (una decina) di questo eventuale undicesimo reato -fatta ovviamente salva la presunzione di innocenza- non si occupi quasi nessuno. Non ne parlano i giornali, non si sente alla tv. Come se l’accusa di avere malmenato e minacciato la propria moglie avesse a che fare con una giustizia “minore”. Un peccato veniale, cose che capitano nelle migliori famiglie.

Ricordo che molti anni fa lavoravo in una piccola impresa di sinistra. A un certo punto si prospettò che a dirigere l’impresa venisse un tale piuttosto chiacchierato per il suo machismo. Anzi, per una certa propensione alla violenza sessista. Alcune reagirono vivacemente. Ma i nostri colleghi, i nostri fratelli, i nostri compagni di lavoro e di avventure ci guardarono sbigottiti, come se non capissero. Come se, a fronte delle capacità professionali di quel signore, quel “tratto caratteriale” fosse quasi irrilevante. “E che cosa c’entra?” mi disse uno. “Quello che conta è che sia bravo”.

Lo ricordo ancora con spavento.

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