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il fatto quotidiano

Donne e Uomini, Politica Aprile 25, 2012

Violenza veniale (numero 11)

andrea gibelli con renzo "trota" bossi

Dunque, l’altra mattina partecipo a un dibattito su La 7, con me in studio da Milano Andrea Gibelli, vicepresidente della Regione Lombardia, il numero due di Formigoni per intenderci.

Dire che l’uomo sia stato affabile non potrei. A un certo punto, per esempio, dichiaro di comprendere le ragioni e l’enorme delusione del popolo leghista, che per ragioni geografiche è anche il mio popolo, anche se un voto alla Lega non lo darei neanche col fucile alla nuca. E lui: “Meno male”. Durante la pausa pubblicità entra un suo assistente. Mi guardano e ridacchiano. Io non faccio un plissé. Ci vuole ben altro. A un certo punto mi trovo costretta a dirgli: “Crede davvero di farmi paura?”. Insomma, non un gran feeling.

Il giorno dopo una redattrice della trasmissione mi informa di un fatto che né io né lei conoscevamo. In effetti mi pare sia stato pubblicato solo dal Fatto quotidiano, non credo di aver visto la notizia altrove: in poche parole, Andrea Gibelli sarebbe accusato dalla moglie di minacce e percosse, ma non avrebbe partecipato a una recente udienza in quanto “irreperibile”. A quanto riferisce la collega Antonella Mascali (vedi l’articolo), l’irreperibilità sarebbe un espediente per allungare i tempi del processo e arrivare alla prescrizione del reato.

Se questo fosse vero:  non so come sia possibile per una persona con alto incarico istituzionale rendersi “irreperibile”. Quelli di La 7 lo hanno trovato, immagino che ogni tanto un giro in Regione lo faccia, e forse se il messo del tribunale va a suonargli il campanello alle 3 di notte prima o poi lo reperisce.

Secondo: se io fossi accusata ingiustamente di un reato così turpe non vedrei l’ora di andare a difendermi, non ci dormirei la notte, NON vorrei che il reato fosse prescritto, pretenderei l’assoluzione piena. Secondo voi è sbagliato aspettarsi che il vicepresidente della Regione Lombardia voglia difendere fino in fondo la propria onorabilità?

Ma la vera notizia è che fra tutti i reati -legati a soldi, affari, eccetera- di cui sono accusati molti rappresentanti in regione Lombardia (una decina) di questo eventuale undicesimo reato -fatta ovviamente salva la presunzione di innocenza- non si occupi quasi nessuno. Non ne parlano i giornali, non si sente alla tv. Come se l’accusa di avere malmenato e minacciato la propria moglie avesse a che fare con una giustizia “minore”. Un peccato veniale, cose che capitano nelle migliori famiglie.

Ricordo che molti anni fa lavoravo in una piccola impresa di sinistra. A un certo punto si prospettò che a dirigere l’impresa venisse un tale piuttosto chiacchierato per il suo machismo. Anzi, per una certa propensione alla violenza sessista. Alcune reagirono vivacemente. Ma i nostri colleghi, i nostri fratelli, i nostri compagni di lavoro e di avventure ci guardarono sbigottiti, come se non capissero. Come se, a fronte delle capacità professionali di quel signore, quel “tratto caratteriale” fosse quasi irrilevante. “E che cosa c’entra?” mi disse uno. “Quello che conta è che sia bravo”.

Lo ricordo ancora con spavento.

Politica Marzo 4, 2011

MOURIR POUR PISAPIA?

Ora, il mio massimo di non-trasparenza credo di averlo erogato.

Da giorni si sapeva quello che oggi ha scritto Il Fatto Quotidiano, ovvero che la famosa lettera disdetta dell’affitto inviata dalla compagna di Giuliano Pisapia al Pat non era roba di mesi fa, ma solo di pochi giorni fa, e precisamente dello stesso giorno -16 febbraio- in cui il Garante della Privacy aveva dato il suo ok alla pubblicazione dei nomi degli affittuari. Una cosa in extremis, dunque, serie effetto T.I.N.A.: There Is Not Alternative. Io l’alternativa l’avevo. Potevo scrivere quello che sapevo, e invece non l’ho fatto. Non ho avuto voglia e cuore di assumermi questa responsabilità, anche se sapevo che la cosa sarebbe uscita, questione di ore -infatti-, e avrebbe fatto male.

Mi sono limitata a chiedere trasparenza, convinta che sarebbe stato meglio giocare d’anticipo. E vi do una notizia, anzi, una pessima notizia: chiedere trasparenza è percepito da molti come insubordinazione, oltraggio, disfattismo, etc. Anche se provi a spiegare che c’è il web, che la casa è di vetro, e tutto quello che non dici ti ritornerà addosso come un boomerang.

Nel merito della cosa: la vicenda Cinzia Sasso/Pat è e resta spiacevole, non devono esserci super-cittadini e cittadini semplici, le regole devono valere per tutti, e le regole agevolate non sono una bella cosa. La gente si arrabbia molto su questo, e ha del tutto ragione. Ma è la gestione della vicenda che lascia molte perplessità: le cose andavano dette tutte, con semplicità seppure anche con il necessario rammarico, in un colpo solo e non a spizzichi e bocconi, e senza lasciare ombre.

Perché invece gridare assurdamente al fango? Perché parlare di una disdetta di due mesi fa, quando le cose non sono andate così? Perché aspettare fino all’ultimo, insinuando giocoforza il sospetto che se il Garante della Privacy non avesse consentito la pubblicazione dei nominativi, quel bell’affittino lo si sarebbe tenuto? Scrive bizzarramente nella lettera Cinzia Sasso, e suona come un’excusatio non petita: “Preciso che è da tempo che intendevo definire la pratica che mi riguarda, e che non mi è più possibile aspettare”: ma chi l’ha costretta ad aspettare? La disdetta si dà con una raccomandata A.R.: e non risulta che gli uffici postali respingano chi intende inviare raccomandate.

E ancora: a che serve risparmiare qualche centinaio di euro d’affitto, quando si ha la fortuna di godere, com’è il caso di Pisapia, di redditi professionali molto alti? Non suona come un po’ sprezzante nei confronti di chi, e ne conosco davvero tanti, per mettere insieme i soldi dell’affitto è costretto a pesantissime rinunce? Non autorizza a pensare che si ritenga di fare parte di una casta privilegiata che non corre mai il rischio di essere scoperta? Essendo stato Pisapia parlamentare, e parlamentare di Rifondazione Comunista, non avrebbe dovuto trovare imbarazzante quell’affitto della sua compagna già ben prima di candidarsi sindaco? Non prescriverebbe questo, una coscienza improntata alla giustizia sociale?

E -domanda delle domande- che cosa c’entra tutto questo con il centrosinistra? Perché mai dovrebbe pagarlo il centrosinistra?

Oggi esce anche la notizia ben più grave del loft del figlio della sindaca Moratti, che si è trovata regolarizzata dal PGT la trasformazione in residenza di una grande edificio industriale di sua proprietà. Vicenda attuale e ben più seria di quella che riguarda Pisapia, vero. Una trave contro una pagliuzza. Ma la pessima gestione della vicenda Sasso-Pat ha fatto diventare quella pagliuzza una trave. Ed è davvero strano che non si comprenda il fatto che a fronte di un centrodestra dilaniato dagli scandali e dalla corruzione, il centrosinistra non ha che una possibilità: quella di presentarsi senza macchia. O se una macchia, anche piccola, c’è, di smacchiarla al più presto, dandone ragione nel modo più trasparente.

Le cose non sono andate così. Il danno c’è stato (2 punti percentuali persi, secondo le prime valutazioni) e oggi si è ulteriormente aggravato: vedremo i sondaggi, ma il centrosinistra non ha ragione alcuna di aspettarsi qualcosa di buono. La storia gioverà al fronte dell’antipolitica, questo e certo, e forse a quel Terzopolo che oggi ha presentato il suo candidato sindaco in Manfredi Palmeri. Gli indecisi si sentiranno ulteriormente sballottati, la sfiducia crescerà.

Ma consentitemi una domanda –visto che sono stata poco trasparente prima, e me ne pento, adesso mi tocca dire con sincerità come la penso-: è vero, ci sono state le primarie, si è indicato un candidato, e questo candidato ha raccolto il sostegno di tutti; è vero, costruire un’ipotesi unitaria -oddio, le liste saranno almeno 8- non è una cosa facile, le alchimie politiche sono complicatissime, quello che capita a Milano non può prescindere dagli equilibri romani, anche se spesso è stata Milano a dare il la alla politica nazionale. Insomma, tutto questo è vero: ma se un candidato, per sfortuna, per leggerezza, per sbadatezza o per errore si è messo nei guai, e se i suoi guai o quelli della sua compagna rischiano di inguaiare tutto quanto il suo schieramento politico, che forse non se lo merita, e di seminare incertezza in molti dei cittadini che quello schieramento l’avrebbero sostenuto volentieri o che magari stanno già lavorando attivamente allo scopo; se la difesa della sua compagna rischia di entrare in rotta di collisione con gli interessi della città che si candida a guidare, sarebbe del tutto implausibile valutare l’ipotesi che quel candidato responsabilmente chieda al suo schieramento se è il caso che sia  lui ad andare avanti, visto che tutti siamo utili e anche utilissimi, ma nessuno è indispensabile? Non potrebbe provarci qualcun altro a rimettere faticosamente le cose in carreggiata, visto che si sta rischiando di finire fuori strada?

Insomma, come ho titolato, e duramente, mi rendo conto: è ancora il caso che si chieda ai milanesi di centrosinistra di mourir pour Pisapia?