Gianmaria Volonté, La classe operaia va in paradiso

La vittoria dei sì al referendum a Mirafiori (54 per cento) non è una sorpresa. Eppure lo è, per com’è avvenuta. Ci si aspettava una valanga di sì, sotto il segno del terrore. E invece abbiamo assistito a una vittoria di misura, per la quale a quanto pare il voto degli impiegati è stato decisivo. Almeno la metà dei blue collar, questo è certo, qualunque cosa si pensi del piano Marchionne, ha scelto di rischiare il lavoro in cambio della dignità e di una qualità decorosa della propria vita, anche alla catena. Per un lavoro che restasse umano, che salvasse quel poco di relazioni, che non annullasse, in cambio di un salario, buona parte dei diritti politici.

“Se vincono i sì, che vita è?”, ho sentito dire a una giovane operaia e mamma. Dieci ore di turno durissimo senza interruzioni, e un’ora e mezza per andare e tornare, neanche il respiro di quei 10 minuti, tutti in coda in bagno o alla macchinetta del caffè. Hanno vinto i sì, ma hanno vinto soprattutto il coraggio e la dignità. E proprio mentre ci tocca leggere con ripugnanza delle indegnità e della viltà del potere, di bambine sacrificate a una lussuria luciferina che non ammette limiti, dello smarrimento assoluto della coscienza di ciò che è bene, la lezione che ci arriva da Mirafiori è insieme amara e confortante. Un pezzo, un culo, come diceva Volonté. Un plus di umanità, a compensare lo spettacolo tragico di quel meno, di quel niente, di quella cosa putrida che un uomo può diventare, di quel morto che può essere fin da vivo.

La classe operaia va in paradiso, altri sono già all’inferno.

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