Browsing Tag

silvio berlusconi

Politica Aprile 26, 2013

Poi alle urne vi espelleranno gli elettori

E insomma, viste da oggi le vicende del Pd di appena ieri e dell’altroieri appaiono più chiare: Bersani ha lottato strenuamente -magari anche goffamente e non sempre avvedutamente- contro la prospettiva di un governo con Berlusconi. E non ce l’ha fatta.

In poche parole, nel Pd ha vinto chi sull’inciucio non si è mai fatto troppi problemi, o magari di più, lo ha voluto proprio con determinazione (senza dirlo apertamente, beninteso). E perché lo ha voluto? Per sopravvivere personalmente, in buona parte dei casi. Ma forse, why not?, c’è anche chi crede in buona fede che la strada giusta sia questa.

La bizzarra situazione è quella di un partito in cui il 90 per cento dell’attuale classe dirigente vuole qualcosa che ripugna al 90 per cento dei suoi iscritti ed elettori: e ripugna è la parola esatta. Si può anche pensare di farla fuori, la base, come suggeriva Bertolt Brecht: “Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo”. Non è forse questa la logica quei dirigenti che invitano a ignorare Facebook e Twitter, dove il “popolo” riottoso si manifesta minuto per minuto? Si possono anche espellere quei parlamentari, Laura Puppato, Pippo Civati e forse perfino Rosy Bindi, che manifestano la loro contrarietà a un governo Berlusconi tris (esagero ma neanche troppo).

Sta di fatto che prima o poi quei dirigenti con il loro popolo riottoso dovranno reincontrarsi, e convincerli a rivotarli. Ma domani è un altro giorno, e poi arriverà Renzi-salva-tutti -immagino che il ragionamento sul futuro sia questo, ammesso che ve ne sia uno-. Intanto per ora nessuno ci schioderà di qui, ed è quello che conta: il qui-e-ora.

I colpi di coda del vecchio che non vuole morire possono essere terribili, perfino violenti. Si tratta che chi il cambiamento lo vuole davvero -e in particolare quei parlamentari che non intendono dare la loro fiducia a qualcuno di cui non si fidano affatto– non receda, e sappia che c’è un’altra nottata da passare, un ulteriore tempo supplementare. E adotti la postura adatta a questo difficile passaggio. E sia politicamente creativo.

L’amica filosofa Luisa Muraro, nel suo nuovissimo saggio “Autorità” (Rosenberg & Sellier) propone questo: l’autorità, che “può agire sulle persone senza mezzi materiali… coltivare il senso dell’autorità è una scommessa in favore di qualcosa di meglio per l’umanità e la civiltà, una scommessa senza limiti al meglio ma consapevolmente alternativa al culto del dio potere“.

Suggerisco la lettura e la meditazione del suo pensiero.

Politica Aprile 26, 2013

5 Stelle, ultima chiamata

Incontro Enrico Letta- Movimento 5 Stelle

Per carità, non voleva dire quello, ma quell’altro: affermando che il 25 aprile è morto, Beppe Grillo non intendeva dire che la festa della Liberazione è ormai una celebrazione retorica e priva di significato, ma che oggi, di fronte a questo sistema dei partiti che la usurpa, “i partigiani piangerebbero”. Sta di fatto che tutti hanno capito quell’altro, bell’autogoal, e la colpa non si può dare ai riceventi, ma è tutta dell’emittente.

Poi quellincontro in streaming con il presidente incaricato Enrico Letta, “Pd-M5S, il Ritorno”. Una cosa stanca, film bruttino che ti rivedi in tv giusto perché non hai altro da fare, Crimi-Lombardi & C fiaccati dalla seduttività pacata e un po’ ipnotica del “giovane” Letta. Lui che li incoraggia a discutere, ad abbattere i muri, a scongelarsi, e li mette di fronte ai risultati dei loro “niet”. Lombardi che a un certo punto, disorientata, se ne esce totalmente fuori contesto con la questione dei doppi incarichi: suggestiva, per carità, ma che nulla aveva a che vedere con il tema in oggetto, governo e programmi.

Insomma: brutta giornata per il M5S. Una delle peggiori, forse, da quando il Movimento è entrato nelle istituzioni rappresentative, a conferma di quell’arietta che ha cominciato a spirare in Friuli Venezia Giulia, con il deludente risultato del candidato di Grillo alla presidenza della Regione. La sensazione è che Grillo sia un ottimo leader di lotta, ma non altrettanto di governo. Confermata da tutti quelli/e (e sono tanti/e, anche tra i giovani, il loro principale bacino elettorale) vanno dicendo che “la prossima volta non li voto più”.

Questi sono tempi strani: oggi porti un milione di persone in piazza, domani ti ci ritrovi solo con i parenti stretti. Pensate a quello che è capitato con Se Non Ora Quando: l’enorme potenziale del 13 febbraio sperperato per assoluta incapacità politica, e ridotto a ufficio romano di collocamento di 4 candidate 4. Potrebbe capitare anche ai 5 Stelle: cosa che spiacerebbe ad alcuni -per esempio a me, che attribuisco allo scossone benefico della loro presenza quel poco di innovazione che stiamo portando a casa- e invece piacerebbe ad altri.

Al di là di ogni valutazione, è ora che il M5S cambi registro, e anche in fretta. Da tempo suggerisco meno rabbia e un po’ di mitezza gandhiana. Ora mi permetto di suggerire anche una logica di maggiore efficacia qui-e-ora. Che consenta di dire: questo risultato lo abbiamo portato a casa noi, e anche questo e quest’altro.

In caso contrario, i successi del Movimento resteranno affidati unicamente agli insuccessi, agli errori -e alle malefatte- dei partiti.

E tutti continueremo a ballare al ritmo battuto da quel signore che ieri, dal Texas, telefonava a Roma per dettare le sue condizioni, questo sì e questo no, e che resta, al momento, il principale protagonista della politica italiana.

Politica Aprile 18, 2013

PdmenoellemenoPd e M 5000 Stelle

Ora non si potrà più dare dei disfattisti ai 5 stelle, che per il Colle al Pd hanno fatto una proposta di quelle che non si possono rifiutare –Stefano Rodotà– lasciando intravedere che subito dopo si sarebbe parlato di governo.

Nei colloqui di qualche settimana fa, nomi per la premiership dai 5 Stelle il presidente Napolitano non ne aveva voluti sentire. Come fanno i bambini, sapete, quando si tappano le orecchie e ululano. Ma stavolta ha dovuto ascoltarli, lui e tutti gli altri. E i nomi erano -sono- tutti degnissimi, da quello di Milena Gabanelli, che con grandissimo stile si è sfilata dalla partita, a quello di Rodotà, che ha accettato la sfida. Talmente degni che ieri sera davanti al teatro Capranica -e dappertutto in rete- i militanti del Pd sono andati a dire che per quello che li riguarda il candidato è Rodotà, e a ribadire che l’inciucio non lo vogliono: “Le salsicce alle feste del Pd annassero a cocersele loro” dice un manifestante, vedere qui). Per quello che riguarda il gruppo dirigente del partito, invece (tolto un centinaio di dissidenti: i renziani, Pippo Civati, Laura Puppato e altri) il candidato è Franco Marini. Cosa che ha comportato a Pierluigi Bersani la spiacevolezza di dover sgattaiolare dall’uscita secondaria del teatro, il che dovrebbe bastare a fargli capire che se la dirigenza del partito si è relativamente compattata, il partito non c’è più, e non è fatto poco rilevante.

Inciucio doveva essere, fin dal principio, e inciucio è stato. Il nome di Franco Marini, la grande “sorpresa” preannunciata poche ore prima dalla zelante Alessandra Moretti, è quello che si presta meglio a garantirlo: meglio di D’Alema, che comunque attende nell’ombra, non si sa mai, ieri circolava il suo nome anche per la presidenza del futuro governo, meglio di Giuliano “31 mila euro” Amato, meglio di Anna “Ikea” Finocchiaro. Il nome che, secondo i conti di Bersani, avrebbe ridotto il dissenso al minimo fisiologico. Non è andata così, a quanto sembra.

Berlusconi è stato abilissimo, Grillo pure, Bersani molto poco. Quel “buon senso” che tanti gli hanno sempre riconosciuto sembra smarrito, in vertiginoso calo dalle primarie a oggi, se per buon senso si intende la capacità di captare gli umori del Paese.

Salvo raffiche dei franchi tiratori, tra un’ora o due il Presidente della Repubblica potrebbe essere Marini. Con 4/5 degli elettori di sinistra che non smettono candidamente di chiedersi: ma perché non Rodotà?

Franco Marini, veterano della politica politicante, colui che ammise: “E’ vero, io e D’Alema complottammo contro Prodi” (vedi qui). Marini, “nome di garanzia per tutti”: non per Sel, però, né per i 5 Stelle, che evidentemente di garanzie non ne meritano. Non per la grande maggioranza di elettori e iscritti del Pd. E non per la grande parte dei cittadini, che -questo è certo- avrebbero voluto un presidente di svolta.

Potrebbe esserci ancora qualche sorpresa. Stiamo a vedere. Tutto sommato converrebbe anche al PdmenoellemenoPd, che rischia di vedersi sbranato alle prossime urne da un Grillo alle 5 mila stelle.

Politica Aprile 4, 2013

Tentazione Renzi (piacione come pochi)

A un certo punto la prospettiva di vincere facile sbaraglia tutte le riserve, o forse è semplicemente la possibilità di mettere finalmente in piedi un governo in quattro e quattr’otto, con una maggioranza senza se e senza ma. Sta di fatto che nel Pd -parlo degli iscritti e degli elettori, non delle truppe parlamentari- la tentazione Renzi cresce in modo palpabile. Ma cresce anche fuori dal Pd: tra gli elettori di centrodestra, che nel renzismo vedono una possibile evoluzione del vecchio berlusconismo -e un’emancipazione dall’ormai troppo vecchio Berlusconi-, e tra molti di quelli che hanno provato a votare il M5S per vedere di nascosto l’effetto che fa.

Insomma, un piacione come pochi.

Ieri Renzi, a cui va riconosciuto un gran senso del timing, è partito con decisione all’attacco: basta manfrine, il Paese sta soffrendo, o ci si allea con il Pdl o si va subito al voto. E per dimostrare che fa sul serio, scatena i suoi senatori, che depositano una proposta di legge per abrogare interamente il rimborso elettorale ai partiti.

Bersani, intanto, incassato il rifiuto definitivo dei 5Stelle, sta giocando la sua partita definitiva, quella del Quirinale. Al governissimo continua a dire no, ma sul tema del Colle il dialogo con il Pdl è aperto. E da ieri, l’abbraccio tra Bersani e Berlusconi si è fatto anche più stretto: Renzi potrebbe fare molto male a tutti e due (anzi, a tutti e tre: pure ai 5 Stelle).

Dal punto di vista estetico, la scena è suggestiva, un seducente trompe-l’oeil, il bel giovane contro tutti quei vecchi. Uno che fa sembrare vecchio pure Grillo. Una chiave passepartout, che apre tutte le porte e scardina gli schieramenti.

C’è da queste parti qualcuno che non ha votato Renzi alle primarie e che oggi invece lo sosterrebbe? E ha voglia di raccontarci perché ha cambiato idea?

 

 

 

Politica Marzo 29, 2013

#Governo: extreme consulting

Non tengo affatto fede ai miei buoni propositi. L’ansia politica mi divora, in questo freddissimo venerdì di passione. Il Presidente li sta risentendo tutti, e le cose da dire sarebbero molte: su Berlusconi che dice di volere un governo solo politico e non tecnico, in modo da poter andare al voto prima possibile: la paura sta spingendo il Paese destra, come da copione, e il Pdl cresce; sul Pd letteralmente nel panico da rischio implosione; sui 5 Stelle che cominciano a misurarsi con il fatto che la strategia puri-e-duri potrebbe non pagare, anzi, potrebbe costare voti sonanti; su Renzi che scalda il motore, passando da Maria De Filippi, per la presumibile vittoria d’autunno (guardate qui).

Di cose ne dico solo un paio. Una su Renzi, e una sui 5 Stelle.

Su Renzi. Dopo quella che potrebbe essere l’amara fine politica di Bersani -gli errori, purtroppo, dal trionfo delle primarie a oggi, sono stati tanti, dall’aver rallentato il rinnovamento all’essersi ostinato su una sua premiership che aveva pochissime chance, irritando il Paese con un'”esplorazione” durata troppo a lungo- anche i più severi detrattori di Renzi si stanno arrendendo al fatto che per il Pd la carta vincente è lui. E che vincerebbe, scusate il pasticcio, proprio perché è un natural born winner, un vincitore nato, capace di sparigliare gli schieramenti e di oscurare definitivamente la stella fatalmente al tramonto di Berlusconi, prendendosi anche un bel po’ del suo elettorato e infiacchendo i 5 stelle. Sarebbe un altro Pd, certo. Ma sarebbe forse l’unico Pd che oggi potrebbe vincere.

Sul M5S. Le cose da dire sarebbero molte. Attendiamo l’esito dell’incontro con il Presidente. Ma una può essere detta a prescindere. Quello che, a mio parere, è mancato ai 5 Stelle, è un po’ di mitezza. Quella aggressività a tutto campo, quelle facce dure, quelle dichiarazioni sempre contro, hanno finito per danneggiarli forse anche più del loro oltranzismo anti-partito. Che sia stato per l’imprinting -il sarcasmo feroce di Beppe Grillo- o per il fatto che si tratta di un web-movimento -la rete è violentissima, chiunque la frequenti lo sa-, quell’estremismo verbale, quella maschera feroce sono stati un boomerang.

La rabbia è un sentimento preziossimo, un  carburante formidabile. Ma presa la spinta, dalla rabbia si deve saltare fuori, o la sua distruttività finisce per distruggere anche te.

E ora disponiamoci in paziente attesa. Ancora qualche ora per sapere.

media, Politica Febbraio 4, 2013

#Propostachoc: le prime reazioni. Sbagliate

Oggi rebloggo un post fresco fresco di Giovanna Cosenza che analizza le reazioni degli avversari politici alla #propostachoc di Berlusconi su Imu e tutto il resto, e dice che al momento queste reazioni mancano l’obiettivo. Che poi, fino a prova contraria, sarebbe quello di impedire che i consensi a Berlusconi crescano, o più precisamente di fare in modo che diminuiscano.

“E alla fine, di domenica mattina, Berlusconi se ne esce con la “proposta choc”: una volta al governo, dice, non si limiterà ad abolire l’IMU ma la restituirà subito. Con un bonifico sul conto corrente o addirittura in contanti, a uno sportello postale.

A chi si rivolge Berlusconi? Anzitutto ai suoi ex elettori, come osserva anche Pierluigi Battista oggi sul Corriere, quelli che nel 2008 l’hanno votato ma poi, delusi da ciò che non ha fatto o ha fatto male, turbati dai suoi mille festini e scandali, hanno pensato di non votarlo più. In particolare poi (attenzione!), si rivolge ai suoi ex elettori dei ceti medio-bassi, quelli che negli ultimi cinque anni si sono impoveriti e hanno paura di impoverirsi ancora. Berlusconi cerca di recuperarli, ovvio, ma parte da una posizione molto più svantaggiata del 2008, dunque è assai meno temibile di allora. Eppure…

Eppure ieri hanno tutti dato immediatamente grande valore all’uscita di Berlusconi – proprio come lui voleva e prevedeva – perché, pur bollandola come “ridicola”, “irrealizzabile”, “demagogica”, “populista”, hanno dato mostra di agitarsi molto. E così è scattato subito il paradosso: dici che qualcosa non vale niente, ma cominci a girarci attorno come una mosca sul miele. Dici di sottovalutarla, ma in realtà stai dandole un gran valore. Inoltre, se pensiamo a quanto detto sopra – che Berlusconi è meno temibile di un tempo perché sta solo cercando di recuperare i voti persi, non di guadagnarne nuovi – stai addirittura facendo un errore di sopravvalutazione.

Ma andiamo poi a vedere cosa implicano le etichette che i vari leader hanno affibbiato alla “proposta choc” per svalutarla. Dici che è “irrealizzabile”, ma non spieghi bene perché, dunque resta il dubbio che possa essere realizzata. Dici che è “ridicola”, e finisci per dare implicitamente del ridicolo a tutti quelli che l’IMU l’hanno pagata a fatica, o non sono riusciti a pagarla; li ferisci, li offendi: “ridicola” una proposta che li aiuterebbe? Dici che è “demagogica” e “populista”, ma dimentichi che da anni tutti accusano più o meno tutti di “populismo” e “demagogia”: oggi a te, domani a me. Il che ha ormai svuotato queste etichette: è come dire “nobbuono”. E perché “nobbuono”? Perché lo dico io, punto.

E allora torniamo a pensare a tutti quelli – che sono molti – a cui la restituzione dei soldi dell’IMU non farebbe solo “comodo”, come si dice: ne hanno un bisogno enorme, urgente. Cosa offrono gli altri partiti a queste persone? Hanno qualcosa di altrettanto concreto e immediato da promettergli? No, perché «non raccontano favole», gli si dice. Ma quelle persone in realtà pensano che le favole le raccontino tutti, pure i partiti che dicono di non farlo. E allora, favola per favola – pensano quelle persone – tanto vale seguire la favola che mi promette un vantaggio spicciolo e concreto, qualcosa che mi arrivi subito in tasca, vedi mai che si avveri. Ma Berlusconi ha fatto mille promesse e non le ha mai mantenute, gli si dice. Non è vero – pensa chi ha urgenza di cash – quella volta l’ICI la tolse davvero, e pazienza se un anno dopo le cose andarono a catafascio, pazienza se fra un anno tornerà l’IMU o altro: io intanto so che, se Berlusconi vince, quei soldi mi tornano indietro. Questo pensano i molti, moltissimi, che in questi anni si sono impoveriti e sono sempre più poveri. Gente a cui Berlusconi sa parlare e altri no.

Sicuri che siano solo suoi ex elettori? Io non ne sarei così sicura. Per questo sbaglia chi sottovaluta la proposta di Berlusconi. Ma sbaglia pure chi ci gira intorno a vuoto, senza riuscire a parlare a quelle persone come sa fare lui. Occorre mentire a questa gente? Certo che no, ma anche per dire la verità a qualcuno bisogna pur parlarci”.

Questo articolo è uscito anche sul Fatto quotidiano

Politica, tv Gennaio 11, 2013

Servizio Pubblico. A Berlusconi

Ora aspettiamo di vedere i sondaggi: ma ieri sera mi pareva che 1 punticino, anche 2, il Cavaliere se li era portati a casa (ne trovo conferma nell’ottima analisi di un’addetta ai lavori, l’amica Giovanna Cosenza). E li ha presi in un colpo solo. Proprio in quell’arena, Servizio Pubblico, che avrebbe dovuto vederlo sulla graticola.

Michele Santoro sembra pensare più allo share che all’editto bulgaro, alla sinistra e a tutto il resto. Si lascia -volentieri?- trascinare nell’atmosfera da avanspettacolo, con tanto di tormentone (le scuole serali): ma sul palcoscenico da rivista il mattatore è B., gli altri possono fare solo da spalla. Marco Travaglio è preciso, ma sembra intimidito. Berlusconi riesce a imporre il ritmo comico e politico. Anche le brave interlocutrici, Costamagna e Innocenzi, sembrano convitate pietrificate. Lo show è molto godibile, con rari momenti di noia.

Dal punto di vista degli antagonisti politici di B., una vera dèbacle.

Ho incontrato Silvio Berlusconi qualche sera fa in un’emittente locale. Ho constatato su me stessa l’effetto che fa. Tolta la sordità, l’uomo, 76 anni, appare invincibile. Una forza psichica formidabile, che percepisci subito: di gente, con il mestiere che faccio, ne ho incontrata e intervistata tanta, ma raramente mi è capitato uno così. Il Cavaliere è sorridente, sicuro di sé ma senza apparente strafottenza, non ne senti l’aggressività, il che smorza anche la tua. E’ simpatico, in un duplice senso: è capace di farti sorridere e di stabilire un contatto immediato con te. E’ un seduttore -che non rinuncia  all’ardimentoso progetto di sedurre perfino Santoro: vedi la postura nella foto sopra-. Nelle pause pubblicitarie ti impartisce la sua lesson number one, che è la seguente: se tutti votassero per lui, finalmente lui sarebbe in grado di cambiare l’Italia, il problema consiste nell’esistenza di un’opposizione. E se tu, con uguale cortesia, gli opponi che quella sarebbe una dittatura, lui sorride “ma va là! dittatore io?”. Solo di rado, in un lampo, in un’istantanea scopertura dei denti, intravedi il grande potenziale aggressivo, tenuto perfettamente sotto controllo.

Solo l’altra sera, in questo incontro ravvicinato, ho capito -io, che berlusconiana non sono mai stata nemmeno di striscio- come mai tanta gente, un grandissimo numero di italiani, e anche persone che conosco e che stimo sono state sedotte dall’ipotesi B. Opportunismi a parte, che pure costituiscono una quota rilevante dei suoi consensi: basta un suo sguardo, un suo sorriso a cambiarti la vita. A quel magnetismo naturale aggiungi il potere dei soldi, e il gioco è fatto.

Diversamente dai suoi competitor, che rischiano ogni volta che appaiono, B. guadagna consensi a ogni ospitata tv, che sia in un salotto amico o nemico.

Vado a rileggermi quello che Giorgio Bocca diceva di lui, e ve lo ripropongo qui:

“… Ho provato il fascino di questa onnipotenza quando lavoravo a Canale 5, nel suo regno. Ci arrivavo in auto attraversando la Milano puzzolente e rumorosa dei poveri, e varcati i cancelli di Milano 2, con i custodi in divisa, entravo nel mondo ordinato, lustro e fiorito sotto le grandi torri delle televisioni, simbolo di potere e ricchezza come le torri medioevali. E standoci sentivo, quasi fisicamente, la presenza dominante del padrone, la sua provvidenzialità. La segretaria di redazione teneva nel cassetto delle cravatte, nel caso uno di noi si presentasse al lavoro senza, perché tutti vestivano come lui voleva, bandito come blasfemo l’odore di aglio. Nessuno avrebbe recato danno alla sua immagine, riso delle sue debolezze. Come tutti gli imprenditori di questo mondo attorno a lui c’erano reti di protezione, di segretarie devote. E in più Berlusconi non è un tiranno feroce, ma un uomo, quando vuole, cortese, affabile, e per certi aspetti ammirabile; come dice il suo amico Fedele Confalonieri: “Lui è come Anteo, se lo butti a terra moltiplichi le sue forze”, e finché il miracolo funziona la gente applaude…. Un altro fascino di Berlusconi è il rischio calcolato, affronta i nuovi pascoli della ricchezza, prima i quartieri residenziali, poi la televisione, passando sopra, se occorre, alle regole e ai divieti, ma fermandosi sempre nei limiti della borghesia mercadora dei Buddenbrook, che in prigione non ci va mai, potendo assumere i migliori avvocati”.

E qui, in un’intervista rilasciata da Bocca poco tempo prima di andarsene:

“Io sono stato con Berlusconi per anni, ho lavorato insieme con lui a Canale 5 e lo trovo anche molto simpatico, divertente. La sera suonava il campanello, si autoinvitava e veniva a mangiare a casa nostra. Se uno era ammalato lo aiutava… non sa nulla di che cos’è la democrazia, si comporta come un piccolo ras… Alle cene raccontava le sue barzellette idiote. Una volta avevo scritto un articolo in cui dicevo che era un piccolo borghese con complessi di inferiorità. Lui si presentò sull’uscio di casa e disse: «Sono qui in punta di piedi per vincere i miei complessi di inferiorità». È autoironico, un cialtrone, simpatico come sono anche i malviventi. È gentile e spiritoso, finchè conviene alla sua figura di personaggio pubblico. Se poi qualcuno si mette di traverso al suo potere lo liquida senza pietà. Dietro Berlusconi c’è una profonda illiberalità”.

Politica, tv Dicembre 17, 2012

“Poi mi domandi…”

Ho acceso solo a un certo punto, i primi venti minuti me li sono persi. Di solito i contenitori della domenica pomeriggio non li guardo, ma stava montando una certa agitazione online.

Barbara D’Urso strizzata in un little black dress, maschera fissa, compresa, finto-neutra.  Silvio Berlusconi nel suo solito doppio petto, rigido e un po’ gonfio, la faccia sfigurata e inespressiva a seguito di un numero impressionante di interventi, versione “sono un padre di famiglia, come voi” e “lo faccio per il Paese, contro il rischio comunismo“, se almeno avesse vinto Renzi, ma c’è Bersani.

D’Urso si comporta come una spalla attiva. Non intervista, dà la battuta. Il copione appare concordato fin nei dettagli (“Poi mi domandi…” si sente dire lui, mentre lo studio stacca per la pubblicità). L’esito è una cosa cinese, albanese, rumena (altro che comunismo). Lei mostra di permettersi un piccolo “scarto”, dicendogli che “le donne si sono arrabbiate con lui”. Gli dà l’occasione di scusarsi con i suoi elettori, di dire che “in quel periodo -quello del Bunga-Bunga, ndr- ero molto solo: avevo divorziato, era morta mia madre, poi mia sorella…”. Gli permette di attaccare frontalmente la magistratura milanese, senza nemmeno provare a prendere le distanze. Gli lascia dire che “Ruby io l’ho salvata dalla prostituzione” (D’Urso tra l’altro è testimone a quel processo). Garantisce che con lei Lui è stato sempre corretto, insomma, eroicamente non ci ha mai provato. Parla di Marina e Piersilvio come di “persone straordinarie”. “Mi si è fidanzato?” gli domanda, ostentando una notevole intimità. Lui ammette ufficialmente (che scoop!) e si intenerisce. Lei ci dà dentro: “Che carino!” (sic).

Non una sola domanda sulle leggi ad personam, sull’inefficienza del governo, sulla deflagrazione del Pdl, sulla corruzione e sugli scandali che l’hanno travolto, sulla negazione della crisi fino all’ultimo, sul conflitto di interessi, sulle promesse disattese, sul “contratto con gli italiani”, sul milione di posti di lavoro che non sono mai arrivati, sulle tasse che non sono mai state ridotte, sulle favorite nei listini elettorali, sul Porcellum, sulla devastazione dell’immagine internazionale, sull’Europa che stigmatizza la sua ridiscesa in campo. Una cornice zuccherosa e natalizia (mancava solo il sottofondo di “Jingle bells”) a quell’attesissimo “Abolirò l’Imu”, copia scolorità dell’ “abolirò l’Ici” del 2006, ma pur sempre appealing, con la gente che alla prima settimana del mese comincia già a fare i conti. Con gran botto finale: il filmato di quel discorso del 2007, in un inglese scolastico, al Congresso Usa. Che, come sottolinea lui, gli guadagnò ben 7 standing ovation.

Di standing ovation nello studio di Domenica Live non se ne vedono. Gli addetti ai lavori fanno partire l’applauso, i figuranti in platea seguono stancamente. Non è che hanno tanta voglia di acclamare, anche se a pagamento.

Barbara D’Urso ha offerto una performance inquietante. Dovrebbe chiedersi come mai non si è sentita di porre nemmeno una domanda scomoda, o almeno non del tutto compiacente. Perché ha ostentato i suoi legami con l’intervistato. Perché ha esaltato le qualità umane dei suoi congiunti. Perché ha evitato ogni contraddittorio, accettando risposte che lo richiedevano. Perché tra tutti i filmati trasmissibili ha scelto il più celebrativo. Perché, se proprio non se la sentiva, visto che quel signore le dà un cospicuo stipendio e la cosa l’avrebbe messa in difficoltà, non ha lasciato che fosse un/a giornalista a intervistarlo, dato che lei non lo è. Vorrei chiederle se si rende conto della delicatezza della questione, che non riguarda lei e il suo datore del lavoro, ma i destini di questo Paese, quelli dei nostri figli, anche dei suoi. Che non è uno show della domenica, ma che richiede coraggio e senso di responsabilità.

Questa è l’intervista che vorrei fare a Barbara D’Urso.

P.S. (ma non è affatto un p.s., semmai sarebbe un a.s.): non essendo stata mai approvata la legge sul conflitto di interessi, si dovrà congegnare un sistema per garantire un’effettiva par condicio tra competitor politici, uno dei quali possiede direttamente o influenza cospicua parte di tv e carta stampata, e si appresta a corazzarsi anche in rete.

Donne e Uomini, Politica Luglio 18, 2012

Cara Daniela Santanché, perché Nicole Minetti….

Cara Daniela Santanché,

è estate, e le domande si fanno via via più spesse:

1) era capace di intendere e di volere Sara Tommasi mentre girava il suo cliccatissimo pornofilm?

2) riuscirà la nuova consigliera regionale lombarda, la Pdl Paola Maria Camillo appena subentrata al decaduto Giorgio Pozzi, a ottenere i 250 mila euro di stipendio arretrati (soldi nostri) che, a suo dire, le spettano, e che sono stati oggetto del suo commovente discorso di debutto in consiglio, saggio di disinteressato amore per la cosa pubblica?

3) si dimetterà Nicole Minetti dal medesimo consiglio regionale?

Quanto a quest’ultima domanda, come lei saprà ieri il Palazzo della Regione è stato assediato da giornalisti e fotoreporter. Di ritorno dalla Costa Smeralda Minetti era abbronzata, con un paio di labbra esorbitanti e la tinta da rifare. E ha dichiarato, prima di offrire un caffé alla tribuna stampa, che “per il bene di tutti” era meglio che tacesse. Infine è andata a infilarsi un abitino da cocktail per una cenetta di chiarimento (niente bunga-bunga, solo affari) ad Arcore. Per portare a casa il congruo vitalizio da consigliera, Minetti dovrebbe tirare fino a ottobre: ovviamente se ne andrà solo con qualcosa di altrettanto sostanzioso, una liquidazione milionaria, un bel contrattone Mediaset. Non dovrebbe esserle complicato ottenerli, il Cavaliere non ha mai avuto il braccino corto. E’ solo questione di quanto. Di conseguenza verrà il quando. Salvo sussulto finale di dignità, tipo Generale Della Rovere. Una cosa come: “che vi piaccia o no, resterò fino alla fine del mio mandato. E mi metterò a lavorare duramente, e vi dimostrerò di avere amore per la polis e grandi qualità”.

Qualità, gentile Daniela, più volte esaltate pubblicamente dal Cavalier Berlusconi: la laurea di qua, le lingue di là. Il Cavaliere si è sempre molto fidato di lei, al punto di affidarle la nipotina di Mubarak che si era messa nei pasticci, come ricorderà. Ora, lei sostiene che Nicole Minetti sarà anche una ragazza preparata, ma “non è adatta alla politica”. Ci si deve intendere sull’essere “adatti alla politica”. Siamo adatte, lei e io? E’ adatta Paola Maria Camillo, che non si dà la pena di nascondere che per lei la politica è un modo per fare soldi? Forse ci si deve capire anche su quello che si intende per politica.

Quando l’ha scoperto, Daniela, che Minetti non era adatta alla politica? Il giorno in cui  su richiesta di Berlusconi fu inserita nel listino del presidente Formigoni, che era inadatta non lo disse nessuno. Nemmeno lei, se non ricordo male. Forse, anzi, ora è un po’ più adatta di prima, qualcosa l’avrà pure imparato. Sono molte le donne che leggono le dimissioni di Minetti come una restituzione di dignità a loro stesse. Posso capirlo, anche se non condivido. Sono donne che giustamente pretendono di onorare la loro legittima ambizione evitando di “compiacere” gli uomini, diciamo così, e di sfigurarsi dal chirurgo estetico come in questi ultimi vent’anni hanno dovuto fare in tante, tantissime. Che pensano alle dimissioni di Minetti come a una punizione esemplare. Ma è un grave errore, volere la strega al rogo. Significa guardare il dito e non la luna. Significa permettere agli uomini di perpetuare il loro dominio, di decidere a piacimento dei nostri destini, di prenderci e di buttarci secondo la loro convenienza, di stabilire le regole del gioco e poi violarle quando gli fa comodo. Le dimissioni di Minetti fanno guadagnare gli uomini, non noi -se mi permette il noi- che restiamo prede e pedine per i loro disegni.

Ma una domanda vorrei fargliela, gentilissima Daniela. Una domanda sola, semplice semplice, e a cui ancora non ha risposto nessuno tra quelli che nel suo partito pretendono le dimissioni di Nicole Minetti: perché mai dovrebbe dimettersi? quali sono le vere ragioni di questa improvvisa e martellante richiesta?

Le auguro una buona giornata.